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“Cpt 70%d’acqua” – Il nuovo spettacolo sul Cpt di Gradisca d’Isonzo

Una produzione firmata Ma++a+oioscenico

Una struttura come un Cpt ha molte ricadute sul territorio, sulla società e sulle sue espressioni. Ed è per questo che Ma++a+oioscenico, “un colletivo che si occupa di teatro” come loro stessi si definiscono, hanno realizzato lo spettacolo “Cpt 70%d’acqua”.
Siamo andati a Gradisca d’Isonzo, città “natale” del collettivo, per scoprire cosa spinge a portare un tema come quello dei Cpt nei teatri.

Cos’è Ma++a+oioscenico?
Ma++a+oioscenico è un collettivo che si occupa di teatro di rottura sia producendo autonomamente spettacoli e performance, che organizzando annualmente a settembre un festival dedicato ai linguaggi contemporanei a Gradisca d’Isonzo: Omissis festival. Inoltre siamo anche un’associazione culturale che collabora con diverse realtà nazionali e internazionali.
Facciamo parte di coloro che fanno spettacolo perché hanno qualcosa da dire e di solito per mettere su un nuovo progetto partiamo da argomenti di impegno civile.

Facciamo del teatro un atto creativo quotidiano, partendo magari dal particolare, per non dire dal “locale”, per arrivare all’universale, al macrocosmo, per usare un termine ormai usurato, al “globale”, come ad esempio è successo con . In sostanza ci interessa parlare del presente e dei problemi che ci sono sul territorio per poi, come dicevamo prima, dargli una dimensione globale.
Un’attenzione ai problemi del contemporaneo che spesso ci distingue dal teatro che in Italia gira di solito…

“Cpt 70% D’Acqua” è il vostro ultimo spettacolo?
Si, stiamo cercando di farlo girare ma l’ambiente del teatro italiano è molto chiuso. Soprattutto per spettacoli che parlano di questioni scottanti come il Cpt, cioè strutture finalizzate alla segregazione create dall’apparente mondo civile occidentale.
E’ una produzione di Ma++a+oioscenico, realizzata per la prima volta con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Assessorato alla Cultura e la collaborazione di diversi enti fra cui il Comune di Gradisca d’Isonzo e l’associazione culturale Dobialab di Staranzano.
Si parla di Cpt partendo da un’ottica particolare. Abbiamo analizzato il rapporto tra identità individuale e comunità di chi sta all’esterno, di chi crede di essere libero e l’impatto di una struttura del genere non solo sul tessuto sociale di una cittadina, ma all’interno di una cultura secolare e apparentemente “illuminata” come quella occidentale.
Non potendo entrare nel Cpt abbiamo cominciato a discutere con la gente, con la comunità che stava attorno, i cittadini “liberi”. Dal cittadino di Gradisca all’operatore sociale, dal Sindaco allo psichiatra che lavora là dentro, dal poliziotto all’ubriacone di paese, dagli “ospiti” ai gruppi di protesta. Abbiamo cercato di parlare sia con chi era in contatto con questa situazione, ovviamente, ma anche con chi non lo era e leggeva le notizie dal giornale locale. I testi sono nati più o meno così, cioè come una sintetizzazione del clima che sentiamo attorno.
L’approccio scenico comunque è particolare: lavoriamo molto sul corpo, sulle azioni, gesti semplici e quotidiani che noi reinventiamo calandoli in un altro contesto…
Utilizziamo sia video, che luci piuttosto inusuali in ambito teatrale, come i neon o i led di ultima generazione a bassissimo consumo.
Inoltre la colonna sonora elettronica è composta dal vivo dai Reset, un gruppo di Monfalcone.
I musicisti come gli attori stanno sul palco e partecipano allo spettacolo, non solo suonando.
Creare uno spettacolo ci sembrava il modo più giusto per porre l’attenzione su questo muro che ormai passa inosservato e abbiamo impostato il nostro lavoro su queste basi, visto com’era la situazione quando abbiamo iniziato a lavorarci: non potevamo entrare e tanti altri problemi

State parlando del Cpt di Gradisca d’Isonzo?
Si, della struttura di Gradisca. Ma quello che succede a Gradisca, succede a Guantanamo, succede a Padova, succede in Israele, succede un po’ ovunque. Ci stiamo abituando a situazioni “anormali”. Esattamente come una menzogna diventa verità se ripetuta un milione di volte, così esattamente ci si abitua alla riduzione dei diritti universali, se questo avviene in modo impercettibile ma inesorabile e se, ovviamente, questo riguarda esseri umani che consideriamo degli “estranei”. Ma quello che la gente non capisce è che quello che oggi succede ad un “altro”, ad un “diverso”, domani potrebbe succedere a te. E se lotti per i diritti degli altri, lotti anche per te stesso.
Il problema grosso non è che a Gradisca esista questa struttura ma che nessuno sembra accorgersi che ci sia. Il Cpt di Lampedusa passa nel telegiornale delle otto o nell’inchiesta dell’Espresso mentre quello di Gradisca c’è e tutti fanno finta di non vedere, continuano a fare come se non esistesse un problema reale, un non luogo sul territorio, un muro che separa la vista o la conoscenza.
Per l’attuale stato delle cose, per la globalizzazione che riguarda solo le merci, è chiaro che l’immigrazione è un problema, però questo non è il modo giusto di risolverlo. Ma la risposta non spetta al cittadino comune, ma a qualcuno che è pagato, e molto bene, per pensarci meglio.
Il fenomeno dell’immigrazione è talmente gigantesco e globale che non ci sentiamo di offrire una soluzione, noi offriamo uno spaccato dell’approccio della comunità di fronte alla realtà ineludibile del Cpt. Uno spunto d’analisi.
Non siamo così ipocriti, come tanti spettacoli fanno, di parlare di problemi dei migranti in prima persona. Non siamo immigrati e non vogliamo fingerlo di esserlo, non siamo pietisti o benpensanti e non vogliamo neanche che il pubblico subisca un messaggio di questo tipo che serve solo a mettere a posto la coscienza e a dimenticare in fretta.

Quindi voi intendete lo spettacolo come un’occasione per far riflettere…
Appunto, ma una riflessione su te stesso, perchè il problema nasce anche da te. Nessuno ti chiede di trovare la soluzione ma devi renderti conto che sei parte del problema. Il Cpt parla principalmente di identità, e ai diritti e alle responsabilità a essa connessa. Il Cpt non inteso come spettacolo, ma proprio la struttura in sè parla di identità.
E poi è ipocrita parlare dell’esperienza di migranti, andare in giro mentre loro vengono rispediti a casa. Preferiamo che ci sputino in faccia e ci dicano che non va bene, che stiamo sbagliando, ma intanto scatta una reazione. Qui non ci sono reazioni, c’è una calma piatta allucinante.

Ormai sembra in effetti che in questo territorio il Cpt sia diventato “consuetudine”…
Si è vero, le persone fanno finta di non vedere, passano davanti per andare a fare la spese nel vicino centro commerciale…
La reazione diretta non c’è, ma c’è quella condizionata. Non è un caso che il Cpt l’abbiano fatto qui a Gradisca d’Isonzo, un paesino di seimila abitanti, in Friuli piuttosto che in un’altra regione. In questa zona c’è l’avanguardia del presente, l’esempio di come vogliono ridurre tutto l’occidente a essere gente che lavora, non pensa, giudica senza approfondire dalle poche informazioni che le vengano fornite dai media “mainstream”. Noi invece spesso approfondiamo notizie e argomenti passando ore sui forum di internet, quando non possiamo averne un’esperienza più diretta.
Questa reazione condizionata, comunque, nasce dalla storia del territorio: le persone non si lamentavano per la cortina di ferro, un mondo separato dal resto, un mondo abitato anche da parenti e amici, e oggi abbiamo un neo, un tumore in casa e molti sembrano non accorgersene.
Anche se dallo spettacolo non esce abbiamo cercato le radici di questo modo di pensare nella storia plurisecolare di Gradisca che era una fortezza dove richiudevano gli stranieri, gli irredentisti. Erano italiani ma a quel tempo per gli abitanti erano stranieri. Insomma si parla tanto di abbattimento dei confini, di macro-regione e poi non siamo in grado di accettare la diversità, non solamente l’extracomunitario, ma la diversità del nostro stesso vicino. Non siamo stati in grado di farlo per sessant’anni, è ora di cambiare.

Intervista a cura di Marco Visintin,
Redazione Meltint Pot Fvg

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