Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Comunicato stampa dello Sportello Invisibili di Vicenza, dei Disobbedienti e del Tavolo Migranti

Cpt a Vicenza: Né qui né altrove

Le dichiarazioni recenti dell’on. Ascierto di AN sulla possibilità di aprire un Centro di Permanenza Temporanea (Cpt) a Vicenza sulla base di quanto previsto dalla legge Bossi-Fini, non possono non far riflettere quella parte della città che da tempo si batte per una politica sull’immigrazione d’impostazione non sicuritaria e non segregazionista, ma protesa piuttosto a fornire agli immigrati accoglienza e possibilità d’integrazione. L’istituzione dei Cpt è opera della legge Turco-Napolitano varata dal precedente governo di centro-sinistra. La Bossi-Fini conserva l’istituto e ne fa uno strumento di ulteriore controllo sulla vita e sulla forza-lavoro migrante. La sua strategia di funzionamento, infatti, va messa in relazione con la sostituzione del permesso di soggiorno col contratto di soggiorno, ossia con l’impossibilità per il migrante di entrare regolarmente in Italia senza essere in possesso di un contratto di lavoro e dunque con l’impossibilità di venire qui a cercarlo: questa libertà è stata soppressa.

In questo modo il migrante è ridotto a figura esclusivamente economica, privata di ogni altra dimensione dell’esistenza: merce. I Cpt, infatti, sono centri di detenzione amministrativa dove gli immigrati vengono rinchiusi senza aver commesso alcun reato, ma ‘colpevoli’ solo di non possedere un regolare permesso di soggiorno in Italia, ossia, secondo il dettato della Bossi-Fini, ‘colpevoli’ solo di essere disoccupati, dato che il permesso si può ottenere solo se si è in possesso di un contratto di lavoro. La verità è che questa legge considera la disoccupazione un reato. Definirli lager non significa confonderli o peggio identificarli con i campi del nazismo, ma ritenere che se i campi sono stati possibili nel passato (a cominciare dall’esperienza spagnola a Cuba) e ritornano a essere possibili oggi, ciò implica l’istituzione di un doppio binario giuridico (regole diverse per italiani e stranieri) e laddove inizino a prender corpo le legislazioni speciali i binari del diritto si moltiplicano facilmente originando una piramide fatta di corporazioni che dispongono gli individui all’interno di una scala sociale gerarchica basata sui privilegi. I Cpt sono l’emblema del modello segregazionista che, nelle intenzioni del governo di centro-destra, dovrebbe caratterizzare la società del prossimo futuro e, di fatto legittimano il razzismo e nuove forme di schiavitù.

Nel momento in cui la globalizzazione si presenta come abbattimento delle frontiere per merci, capitali e fasce sociali privilegiate, per cui le frontiere nazionali non dovrebbero più essere il confine esclusivo dello Stato, i Cpt svolgono invece la funzione di confini interni, che hanno il loro corrispettivo nella militarizzazione delle frontiere, per profughi e migranti. La libertà di movimento che i migranti esprimono, talvolta anche con la volontà di sottrarsi a condizioni di lavoro assai dure, viene negata attraverso nuovi confini, nuove forme di detenzione, nuove forme di esclusione, attraverso le quali si pensa di poter controllare la forza-lavoro e tramite questa la vita.

La legge Bossi-Fini, infatti, oltre ad aumentare i termini di detenzione nei Cpt da trenta ad un massimo di sessanta giorni, accentua il loro ruolo di esclusione e controllo dei migranti. Il legame strettissimo tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno pone il migrante sotto la minaccia di una perenne condizione di clandestinità, per cui il lavoro stesso diviene clandestino e la condizione di clandestinità ciò che deve essere riprodotto: i Cpt funzionano, da un lato, come una camera di decompressione del mercato del lavoro, che permette un controllo della forza-lavoro secondo le esigenze del padrone, dall’altro perpetuano un rituale di umiliazione e sfruttamento del migrante, escluso dalla società e recluso nei centri e così trasformato di nuovo in forza-lavoro costretta a vivere in condizioni di esclusione e marginalità.

Questa legge, infatti, porterà nei Cpt anche migranti regolari che vivono da tempo in Italia, contribuendo a precarizzare anche la vita di coloro che a fatica si erano integrati nella società italiana unitamente alle loro famiglie. Si mira a isolare socialmente il migrante rendendolo sempre più debole e ricattabile. In definitiva, la Bossi-Fini punta a clandestinizzare tutti i lavoratori migranti, regolari e non, e cerca di fare del lavoro-merce-migrante la leva per una trasformazione complessiva del mercato del lavoro italiano, in linea con le ristrutturazioni europee e con i dettati degli accordi di Schengen. La clandestinità del migrante, dunque, è solo l’altra faccia della clandestinizzazione a cui si vorrebbe condannare il lavoro (straniero e italiano), rendendolo, in tutte le sue forme, anche se con sfumature diverse e specifiche, sempre più precario.

Non va dimenticato che questa città ha espresso nel passato recente esperienze importanti che si sono poste e si pongono in assoluta controtendenza con la prospettiva sopra ricordata: partendo dall’occupazione della “Rocchetta” da parte dell’associazione Razzismo stop e di una sessantina di immigrati che rivendicavano un centro di prima accoglienza permanente in città; alla polemica sviluppatasi per più inverni consecutivi sul “centro di prima accoglienza” invernale che la Caritas è costretta a gestire in una situazione caratterizzata dall’emergenza freddo, con poche risorse e basandosi solamente sull’aiuto di volontari; alla manifestazione degli immigrati del giugno 2001 (?) fino al primo sciopero italiano dei lavoratori migranti del 15 maggio 2002, [. altro.], alle numerose iniziative di solidarietà e di appoggio agli immigrati che le molte associazioni di volontariato (cattoliche e non) rendono possibile attraverso un lavoro quotidiano tanto prezioso quanto invisibile ai più. Rivendicando la possibilità di un approccio diverso alle tante questioni poste dal fenomeno migratorio, che va ormai considerato un dato strutturale e non più congiunturale, esprimiamo il nostro netto dissenso all’apertura di un Cpt a Vicenza e nel Veneto, in sintonia con le lotte che si stanno proponendo a livello nazionale per la chiusura dei 14 centri già esistenti (non ultima la manifestazione di Torino del 30 novembre scorso). Sollecitiamo quindi tutte le forze presenti sul territorio e contrarie alle politiche che si basano solo sulla criminalizzazione dell’immigrato al fine di poterlo liberamente sfruttare dal punto di vista economico a far sentire la loro voce. Per questo invitiamo tutti il giorno 30 gennaio a ritrovarsi in un’assemblea cittadina, che si terrà presso i chiostri di Santa Corona alle ore 20.30, per discutere dei modi con i quali contrastare l’ennesimo progetto razzista e schiavista delle destre e riproporre il tema sempre attuale di un centro di prima accoglienza a Vicenza, che sia degno di tal nome.