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Crimini di guerra nel Mediterraneo

Dall’inizio dell’anno si susseguono tragedie al largo della Libia: il fallimento del codice di condotta di Minniti

Il Mar Mediterraneo continua ad essere un campo di battaglia, dove si accumulano feriti, morti e dispersi. La guerra che l’Europa sta portando avanti contro i migranti – solo a parole contro i trafficanti di uomini – ha causato altre vittime sabato 27 gennaio. Due donne sono state dichiarate morte dal team dell’Acquarius, nave gestita da SOS Mediteraneè e da Medici Senza Frontiere, dopo un’operazione che l’organizzazione definisce come “uno dei giorni più tragici dall’inizio dell’impegno dell’organizzazione nel Mediterraneo, 2 anni fa”.
Un gommone è stato raggiunto dai volontari già mezzo affondato, con numerose persone in acqua e/o prive di sensi. Un lavoro continuo dei medici che hanno affrontato un’emergenza dietro l’altra ha permesso di salvare molte vite, tra cui quelle di due bambini. Non ce l’hanno fatta le loro madri che lasciano due bambini orfani, e restano numerosi anche i dispersi, tra cui un bambino di un anno e mezzo. Una tragedia evitabile, direttamente causata dalle politiche criminali di questi anni che hanno prima portato alla chiusura dei canali legali per entrare in Europa e, più recentemente, costretto la maggior parte della navi delle ONG a lasciare la zona di ricerca e soccorso delle imbarcazioni in avaria.

Ma non è tutto: venerdì notte la stessa nave ha incontrato un gommone a circa 15 miglia dalle coste libiche, piene acque internazionali, con un centinaio di persone a bordo. Mentre si stava accingendo a soccorrerle è stata bruscamente interrotta da una motovedetta della Guardia Costiera libica che gli ha ordinato di non avvicinarsi né di intromettersi nelle operazioni. La ONG ha poi riportato che l’MRCC di Roma, il centro di comando italiano delle operazioni in mare che coordina ogni salvataggio, avrebbe informato i volontari che la Guardia Costiera libica aveva assunto il comando dell’operazione. Quello che fino a poco tempo fa avrebbe creato uno scandalo è oggi attuato alla luce del sole, senza nemmeno il tentativo di nascondersi. Il fatto che Roma consegni il comando di un’operazione di ricerca e soccorso ai libici e, consapevolmente, il beneplacito al ritorno dei migranti in Libia è una gravissima violazione del diritto internazionale. Quelle persone sono state riportate in luoghi che senza dubbio non possono essere considerati “porti sicuri”: l’Italia si sta nuovamente 1 rendendo complice di queste deportazioni. Uno solo di questi episodi dovrebbe essere sufficiente a rialzare l’indignazione e la rabbia nei confronti di chi su queste prigionie e questi decessi ci specula, prima dopo e durante la campagna elettorale.

Foto Laurin Schmid / SOS MEDITERRANEE
Foto Laurin Schmid / SOS MEDITERRANEE

Mesi di campagne diffamatorie nei confronti delle ONG e in primis dei migranti stessi – con un’incredibile impennata della criminalizzazione delle migrazioni tanto quanto della solidarietà – ha portato a una sorta di anestesia totale nell’opinione pubblica italiana. Ciò si traduce in uno scenario sconfortante: da un lato, una destra dal razzismo spudorato e senza vergogna, tanto che inneggia alla superiorità della razza bianca; dall’altro, una sinistra securitaria, ben esemplificata dalla figura di Minniti. Quest’ultima produce un lessico che continua a confondere e sovrapporre migranti, trafficanti e terroristi, nell’assurda sfida al ribasso con i 5 stelle, per contendersi il voto del “non sono razzista ma…”. Gente che si vergognerebbe a votare lega, ma che non può che elogiare la realpolitick del PD nei confronti delle orde africane che vanno aiutate sì, ma non certo tutte qui da noi. Anche perché siamo in uno stato di perenne d’emergenza e forse ormai siamo già oltre: siamo in guerra.

Il Premier Gentiloni ci consegna questa idea quando alla vigilia di Natale decide di trasmettere il suo messaggio alla Nazione proprio a bordo della nave militare Etna impegnata nell’operazione Sophia, in mezzo del Mar Mediterraneo. La flagship si troverebbe lì con lo scopo dichiarato di combattere i trafficanti di uomini. Un discorso dai caratteri orwelliani, che nella conclusione vede il Presidente del Consiglio impegnarsi a portare la pace nel mondo ed aiutare a consolidare Paesi stranieri, attraverso l’esercito e i militari.
Il discorso di Gentiloni si è poi tradotto, quasi un mese dopo, nell’approvazione della missione militare in Niger con l’invio di 470 soldati che opereranno con il mandato di bloccare le rotte migratorie. In tempo di guerra l’aula di Montecitorio è stata convocata nonostante lo scioglimento delle Camere. Il voto può essere letto come un’anticipazione di quello che potrebbe accadere dopo il 4 marzo, con un fronte parlamentare che salda il Pd a Forza Italia, e in questo caso fino a Fratelli d’Italia.

Tuttavia va ricordato che non sono mancate le critiche al processo di esternalizzazione delle frontiere. Specialmente dopo un’altra tragedia, avvenuta il 19 gennaio, quando la ONG Proactiva si è ritrovata completamente sola dopo un salvataggio. Con già due corpi senza vita sul ponte, i medici si sono trovati a lottare per tenere in vita una donna e un bambino in condizioni critiche, chiedendo nel contempo un trasferimento d’urgenza. L’assenza di altre navi umanitarie non ha permesso il trasbordo e ha fatto sì che il piccolo Haid Aman, di 3 mesi, sia morto su quella nave. E se le cause che hanno portato quel bambino su quella nave sono imperscrutabili, chi segue la storia di queste traversate sa che la responsabilità politica di questa morte è da attribuire al codice di condotta sulle ONG di Marco Minniti. Per chi ha a cuore la vita umana e non è in grado di trovare priorità più alte, un solo morto è abbastanza per rendersene conto. Ma anche per chi è in grado di trovare altre variabili su cui misurare “l’efficacia” del codice, i numeri parlano chiaro.

Prendiamo per chiarezza i dati relativi agli arrivi e alle morti registrate nel mese di gennaio dal 2014 ad oggi. Secondo l’UNHCR gli arrivi nel 2014 sono stati 2.171, nel 2015 erano 3.528, nel 2016 invece 5.273, nel 2017 se ne contavano 4.467 e infine nel 2018, aggiornati al 26 gennaio, sono 2.731.
Un calo senza dubbio, che riporta gli arrivi quasi al livello del 2014. Ma ricordiamo che il calo degli arrivi non è identico al calo delle partenze: in tantissimi ancora partono ma vengono catturati dalla Guardia costiera libica e riportati nei centri di detenzione. Se non peggio.
Questi, invece, sono i numeri dei morti sempre nel mese di gennaio secondo l’OIM: 12 nel 2014, 82 nel 2015, 370 nel 2016 e 254 nel 2017. Dall’inizio di quest’anno la stima dell’UNHCR raggiunge 188 tra morti e dispersi.
Nonostante appaia evidente, occorre sottolineare quanto il numero di morti in rapporto agli arrivi sia aumentato durante questo inizio di anno. Nel 2014 circa una persona ogni 180 perdeva la vita nella traversata. Nel 2018 siamo arrivati al triste primato di una morte ogni 14 persone.
Questo numero è evidentemente aumentato sia per il ritiro dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri dalle attività di salvataggio in mare, e sia per la lotta contro le ONG: già molti rapporti, come il celebre “Blaming the rescuers” di Charles Heller e Lorenzo Pezzani, o “Border Deaths in the Mediterranean: What We Can Learn from the Latest Data” di Steinhilper, E. e Gruijters, R. (2017), hanno evidenziato come la presenza delle navi non sia un fattore di pull-factor, allontanarle ha causato quello che avevamo preventivato come inevitabile: l’aumento dei decessi.
Se consideriamo che anche nel periodo precedente al codice di condotta, in cui più di 10 navi umanitarie si trovavano al largo delle coste libiche, supportati dal comando di Roma e con supporto aereo, c’erano naufragi di cui nessuno sapeva niente, e che venivano segnalati da pescatori o navi container che si trovavano di passaggio, oggi quante navi realmente affondano con tutto l’equipaggio senza che se ne abbia alcuna notizia? E’ impossibile da escludere che ciò non sia accaduto e accada tutt’ora. Di solito, un solo gommone soccorso trasporta dalle 100 alle 200 persone. Quindi uno solo di questi naufragi basterebbe a raddoppiare il numero di morti ufficiali durante questo mese.

Ed è qui che risiede il cardine della strategia del Governo. Il problema non sono i morti in mare, anzi essi sono potenzialmente un ottimo deterrente alle partenze o a legittimare l’ipocrisia del blocco delle partenze per salvaguardare le vite umane.
Il problema sono ancora una volta i testimoni scomodi, coloro che non chinano la testa e agiscono là dove necessario. Al di là dei tanti limiti e delle tante contraddizioni, ancora oggi le ONG se fossero presenti in forza nel Mediterraneo sarebbero in grado di squarciare il velo di menzogne imposto all’opinione pubblica. La loro presenza riuscirebbe a far percepire, spesso con l’aiuto delle immagini, la tragedia che avviene in quei luoghi e la crudeltà di chi ci vorrebbe incuranti e anestetizzati.
Ogni volta che si raggiunge un picco, o forse per così dire si tocca il fondo, ecco che riscopriamo che non c’è fine al peggio. In tanti, col senno di poi, appoggiano le commemorazioni e le giornate celebrative. Ma in pochi si muovono quando la tragedia è ancora in corso. E proprio mentre tutte le istituzioni celebrano la giornata della Memoria, non potremmo sembrare più smemorati di così.

  1. http://www.meltingpot.org/Respingimenti-verso-la-Libia-L-Italia-condannata-dalla.html

Redazione

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Tommaso Gandini

Racconto migranti e migrazioni dal 2016, principalmente tramite reportage multimediali. Fra i tanti, ho attraversato e narrato lo sgombero del campo di Idomeni, il confine del Brennero, gli hotspot e i campi di lavoro nel Sud Italia. Nel 2017 ero imbarcato sulla nave Iuventa proprio mentre veniva sequestrata dalla polizia italiana. Da allora mi sono occupato principalmente del caso legale e di criminalizzazione della solidarietà.