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«Crisi» migratoria o crisi delle politiche europee?

Cristina del Biaggio e Raphaël Rey, Asile.ch - 27 luglio 2016

La parola «crisi» ci circonda, ci invade, quasi. Uno sguardo incompleto della presenza della «crisi» nel panorama mediatico svizzero. Da questa estate, con le immagini di centinaia di uomini, donne e bambini bloccati sulla «rotta dei Balcani», l’espressione «crisi dei rifugiati» è apparsa evidente. «L’UE applica delle nuove misure per affrontare la crisi dei rifugiati » (RTS, 24.09.2015); «Le immagini choc della crisi dei rifugiati arrivano sull’emiciclo» (La Liberté, 09.09.2015); «L’UE resta divisa sulla gestione della crisi dei rifugiati» (Tribune de Genève, 15.09.2015). La parola «crisi» è stata introdotta nei dibattiti anche quando i media hanno commentato il piano d’emergenza elaborato dalla Confederazione, «in caso di crisi migratoria» (RTS, 20.04.20164). O per commentare l’accordo che l’Unione europea (UE) ha firmato con la Turchia : «La crisi dei rifugiati, una leva per la Turchia di fronte all’Europa 5» (Tribune de Genève, 06.03.2016).

Soffermiamoci su questi termini e precisiamo gli effetti del loro impiego nel contesto migratorio. Parlare di crisi è insistere innanzitutto su un cambiamento improvviso e profondo di una situazione di stabilità e di presunto equilibrio. È anche insistere sul cambiamento presente, sulla futura catastrofe, tacendo sulle «crisi » passate e sulle continuità storiche che implicano i fenomeni attuali.
Per attenuare l’eccezionalità della situazione attuale, ricordiamo, in primo luogo, che i movimenti di persone sono sempre esistiti e la loro importanza è legata principalmente ai contesti socio-politici dei paesi d’origine o di provenienza. Così, il numero degli arrivi che la Svizzera ha conosciuto nel 2015 è ancora al si sotto di quello del 1990 (vedere il grafico 1).
Nuove domande d’asilo in Svizzera, 1986-2015. Fonte: SEM
Ricordiamo inoltre che non è la prima volta che la retorica della crisi e dell’emergenza si è mobilitata in Svizzera. Di natura ciclica, essa si ripresenta ogni volta che si constata la crescita delle domande. Dagli inizi degli anni 80, è stata il motore di numerose revisioni della Legge sull’asilo e dell’adozione di misure sempre più restrittive (2).
Possiamo attenuare anche l’allarmismo esposto dalle politiche e dai media, allargando la visuale: se la Siria e i paesi che la circondano possono parlare di crisi, l’Europa ne é toccata soltanto in parte: il numero dei richiedenti asilo arrivati in Europa nel 2015 corrisponde a circa lo 0,3 % della popolazione totale europea (UNHCR, “L’OCDE et le HCR appellent à améliorer l’intégration des réfugiés”, 28.01.2016).

Immagine: Banksy
Immagine: Banksy

Sdoganarsi dai propri obblighi?

Parlare della crisi dei rifugiati vuol dire ignorare le ragioni umane e politiche per le quali le persone lasciano i loro paesi, negando loro il bisogno di protezione. Si dimentica facilmente che gli obblighi internazionali si applicano e che gli Stati non possono respingere in continuazione le persone che chiedono protezione. Associata ad altre « crisi » – della sicurezza o economica – quella dei rifugiati non fa che rinforzare l’immagine dell’invasione dell‘Europa e appoggiare delle pratiche che vanno contro il diritto internazionale ed europeo in materia d’asilo, come testimoniano i recenti accordi tra l’UE e la Turchia.

Parlare della crisi dei rifugiati vuol dire ancora insistere sul fatto che la crisi viene da altre parti e mostrare i paesi europei come vittime dei conflitti e delle guerre che si svolgono «altrove». Togliendo tutta la responsabilità ai politici e alle istituzioni europee, evocare la «crisi» fa passare inosservata l’implicazione dei paesi occidentali nelle disastrose situazioni di numerosi paesi del Sud. Fa dimenticare gli ostacoli legali alla migrazione, fin dagli anni Ottanta, e i dispositivi di controllo alle frontiere sempre più perfezionati che contribuiscono all’aumento della mortalità (3) delle rotte migratorie. La retorica della crisi vela in realtà le carenze sistemiche delle politiche migratorie e del sistema d’asilo europeo, che però vengono allo scoperto (4).

Le parole non servono solo per descrivere, ma anche a fondare delle politiche e delle azioni, parlare della crisi dei rifugiati vuol dire far appello a delle misure urgenti ed eccezionali – spesso normalizzate in seguito – e a giustificare la chiusura delle frontiere come unico mezzo di gestione delle mobilità umane. Una chiusura che provoca la «crisi» che pretende curare. Le immagini sensazionali delle persone ammassate ai confini dell’Europa sono riprese dai media sotto l’etichetta « crisi » e legittima delle nuove forme di controllo.

Se bisogna parlare di crisi, parliamo allora di crisi delle politiche migratorie e dei sistemi d’accoglienza, o della crisi dello Stato di diritto. In questo modo la crisi acquisisce un nuovo senso: non è più solamente disequilibrio o catastrofe, ma diventa un momento critico che rivela le incapacità delle nostre politiche a prendere delle decisioni ragionevoli e adeguate per affrontare la situazione. Un momento in cui le sfide e le tensioni sono messe in evidenza e in cui ciò che sembrava normale fino ad allora viene rimesso in discussione. Un momento in cui devono essere fatte delle scelte e devono essere prese delle decisioni per ripensare radicalmente ai regimi migratori.

Cristina del Biaggio e Raphaël Rey

  1. Vivre Ensemble: Statistiques en Suisse
  2. Stünzi Robin, “Asile, urgence, insécurité”, Vivre Ensemble, 138, juin 2012 et “La migration, une menace? Contexte et enjeux autour de la ‘sécuritisation’ de la migration”, Tangram, 26, 12/2010
  3. Philippe Rekacewicz, “Mourir aux portes de l’Europe”, VisionsCarto.net, 28.04.2014
  4. Spijkerboer Thomas, “The systemic failure of the Common European Asylum System, as exemplified by the EU-Turkey deal”, 18.03.2016