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da www.carta.org

Cronaca della visita al Cpt di Gradisca

Un Cpt tirato a lucido per l’occasione, che secondo il prefetto sarebbe accessibile a tutti, e intorno un giro d’affari da milioni di euro: è questo in sintesi il Cpt di Gradisca d’Isonzo che stamattina, con grande fatica, ha aperto le sue porte a una delegazione di giornalisti. Per Carta c’era Riccardo Bottazzo, di cui pubblichiamo questo breve resoconto [raccolto telefonicamente da Elisabetta Rovis].

«Una decina in tutto: tanto è durata la visita. La delegazione che si è presentata questa mattina, lunedì 11 giugno, al Cpt di Gradisca è stata ricevuta innanzitutto dal prefetto di Gorizia, visibilmente seccato per le due interrogazioni parlamentari che nelle ultime settimane avevano chiesto conto al governo del perché fosse stato negato l’accesso al Centro all’organizzazione Melting Pot che chiedeva di accedervi. Dopo il «benvenuto» del prefetto, fatto di riferimenti a «ospiti» e a «contenitori di persone» [quelle che normalmente si chiamano celle], noi, gruppo di giornalisti, sorvegliati da vicino da agenti della Digos, siamo stati portati a visitare il centro: molti lo hanno paragonato a un «asilo» per la pulizia e l’ordine che vi regnano, e anche per i disegni di Topolino e Minnie alle pareti, fatti fare evidentemente in previsione della nostra visita; in realtà solo tre giorni fa sono state rimosse tutte le sbarre interne del Cpt.

Gli «ospiti» del centro sono 52, in gran parte maghrebini, tutti uomini perché, non si sa bene per quale motivo, da due mesi non vengono più portate donne a Gradisca d’Isonzo. Non sembra che il Cpt sia stato svuotato per l’occasione come accadde qualche anno fa a Lampedusa: il centro è effettivamente sfruttato poco, se si pensa che ha una capienza di 247 persone. Questo non per un senso di umanità o di giustizia verso i reclusi, ma perché così conviene alla cooperativa che gestisce il Cpt [la Minerva, una delle cooperative più potenti della regione, secondo molti legata alla Margherita locale e prima ancora alla Democrazia cristiana], che prende 75 euro per detenuto al giorno. Questo, per altro, è uno dei pochi dati noti sulla gestione economica del Cpt, perché i bilanci sono secretati.

Quel che colpisce all’interno del Cpt è la discrezionalità come regola generale: quella che ha permesso, ad esempio, che un ragazzo venisse rimpatriato perché aveva scritto delle lettere ad alcuni giornali lamentando la sua situazione nel Cpt. O quella che ha permesso, fino a qualche settimana fa, che le eventuali richieste di asilo dovessero passare prima per la cooperativa, poi per la Questura e poi di nuovo per la cooperativa: nel frattempo in molti casi scadevano i sessanta giorni validi per fare richiesta e scattava l’espulsione. Anche se spesso accade che i detenuti rimangano liberi con il foglio di via, e così succede che un ragazzo venga ripreso per due volte e riportato nel Cpt. Ora il centro è stato aperto a un’operatrice del Cir [Centro italiano per i rifugiati], che però ha detto di «non essere agevolata» nel suo lavoro dalla cooperativa.

Ma come si vive nel Cpt? I detenuti vivono in camerate da otto posti, hanno un’ora d’aria in comune, ma non possono parlare con un avvocato, e non sanno perché si trovano nel Cpt né quanto tempo dovranno restarci. Eppure per il ministero i Cpt non sono carceri.

I reclusi hanno solo una scheda telefonica da 5 euro a settimana, che però può essere ritirata a discrezione dei gestori del centro. In altre parole, una galera senza le certezze che offre la galera. C’è anche chi protesta, e protesta sulla propria pelle, come il ragazzo che è finito a Gradisca dopo aver vissuto per dieci anni in Italia e lavorato per sette in nero: forse pensando al futuro che non potrà dare al figlio che la sua compagna sta aspettando, è da diverso tempo in sciopero della fame; è stato portato in ospedale solo quando la sua situazione si è veramente aggravata, ed è stato minacciato di non riprovarci altrimenti lo avrebbero denunciato per procurato allarme.

Per concludere, vale la pena segnalare un ultimo esempio della discrezionalità di cui si parlava prima: mentre anche oggi sono rimasti fuori gli operatori di Melting Pot, sono invece potuti entrare il presidente della squadra di calcio del Gradisca, e il presidente della Confcommercio di Gradisca. La chiamano democrazia».