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Cronache da Velika Kladuša

Барбарче Бекарес Кастањоска e Jose Vicente Carro Cabaniñas, No Name Kitchen - 28 settembre 2020

Photo credit: Jose Vicente Carro Cabaniñas

traduzione di Jessica Lagomarsino

Queste tre famiglie afghane viaggiano assieme.

Nel gruppo ci sono 8 adulti e altri 8 tra bambini e neonati. Hanno passato molto tempo a Velika Kladuša in queste ultime settimane. Vivevano in un campo profughi per famiglie, a circa 40 chilometri da qui.

Qualche giorno fa hanno iniziato “the game” – così lo chiamano i rifugiati – che consiste nel camminare nascosti nel bosco per giorni interi finché non avranno raggiunto un paese dell’Unione Europea in cui gli sarà permesso chiedere asilo.

La Croazia e la Slovenia – entrambe confinanti con la Bosnia – sono sì paesi dell’Unione Europea, ma spesso espellono persone illegalmente invece di dar loro l’opportunità di chiedere protezione.

Ieri, queste famiglie sono state espulse in modo illegale, di nuovo. Hanno passato la notte in un freddo garage messo a disposizione da un vicino, ma prima dell’alba, mentre ancora faceva molto freddo, quest’ultimo ha detto loro di andarsene per paura che la polizia potesse scoprirli e di conseguenza causargli problemi.

Eccome come vanno le cose da queste parti: mettere a disposizione uno spazio, un tetto sopra la testa a dei bambini esausti, può causarti problemi con la polizia.

Ci hanno chiamati. Hanno infatti un telefono per tutto il gruppo, e quando iniziano il “gioco”, lo nascondono in un luogo sicuro, perché durante le espulsioni – comuni tanto quanto illegali – la polizia spesso li confisca o li distrugge, lasciandoli senza la loro unica possibilità di comunicazione.

Abbiamo portato loro della zuppa, del tè caldo, delle coperte e dei vestiti pesanti. Fa già molto freddo qui e ieri è stata una giornata di pioggia terribile. Non possiamo nemmeno passare del tempo con loro, perché questo può causarci problemi con le autorità. Ecco com’è la vita qui.

Nel pomeriggio ci hanno chiamati un’altra volta; sono andati in una casa vuota in via di costruzione, per passare la giornata al riparo dalla pioggia, ma alcuni vicini hanno chiamato la polizia e degli ufficiali sono arrivati per mandarli via.

Alcuni giorni fa, dopo il loro ultimo gioco, erano accampati proprio davanti al campo profughi principale, vicino Velika Kladuša, e la polizia è arrivata per mandarli via.

Hanno disfatto le tende. Non pioveva quel giorno, così sono rimasti lì seduti sull’erba, senza sapere cosa fare.

Ieri hanno deciso di lasciare il comune bosniaco; sono venuti a conoscenza di una casa abbandonata in un villaggio a circa cinque ore di cammino da lì. Ci hanno chiesto il favore di dare un passaggio ai più piccoli della famiglia e alla nonna.

“Ho dovuto dirgli di no. Mi sento in colpa ancora adesso e ho pianto perché mi sono sentito impotente”, ha detto il volontario che ha dovuto guardare queste famiglie andarsene per affrontare più di cinque ore di viaggio camminando sotto la pioggia, per raggiungere una casa abbandonata dove sarebbero potuti stare tranquilli per qualche ora, un posto da cui nessuno avrebbe potuto mandarli via.
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Sapete cosa significa dire a dei bambini che sono così inutili in questo mondo assurdo creato da noi adulti, da non avere nemmeno il diritto di essere trasportati in macchina? Riuscite a vedere cosa stiamo facendo alla gente, alla loro autostima, alla loro salute, a causa di queste politiche di frontiera demenziali e dannose?

Portare una persona in macchina, come ci è stato chiesto di fare, significherebbe che in caso la polizia ci fermasse, potremmo essere accusati di traffico di esseri umani, pur non lasciando il paese e spostandoci da una città all’altra. Anche se una persona fosse malata e necessitasse un ospedale, ci è stato detto che sarebbe proibito trasportarla in macchina.

A Velika Kladuša succede questo da due anni ormai, e noi non possiamo smettere di essere indignati e provare un profondo dolore ogni volta che dobbiamo dire a qualcuno che non ha nemmeno il diritto di spostarsi in macchina.

La ragione per la quale alcune persone non sono in un campo profughi, non è perché non vogliano, è perché non possono.

Da molte settimane, a nessuna organizzazione è permesso di trasportarli fino a lì, e a Velika Kladuša il centro di accoglienza è solo per uomini o minori non accompagnati, quindi le famiglie non sono ammesse.

Ai nuovi arrivati non è permesso entrare – anche se il campo non ha raggiunto la sua capienza massima – a meno che non siano stati prima registrati. Molte persone perdono i documenti attestanti il fatto che possano tornare al campo, a causa di una pratica comune alla polizia croata, che nel momento in cui respinge i profughi per farli tornare in Bosnia, ruba o distrugge i loro averi.

In altri casi, le persone non vogliono tornare nei centri in cui vivevano perché costretti ad affrontare dieci giorni di lockdown. Il tutto proprio adesso, che l’inverno è dietro l’angolo e cercano più che mai di raggiungere “il gioco” prima che inizi a nevicare.

Non comprendiamo tutto questo dolore ingiustificato che stiamo causando alle persone con le nostre politiche di frontiera e questo ambiente razzista attorno a noi, e non comprendiamo nemmeno il fatto che non ci sia più mobilitazione da parte dei cittadini dell’Unione Europea per porre fine a questo sistema di frontiere che distrugge delle vite.

Questa settimana è arrivato un nuovo patto sulla migrazione, ma non migliora la situazione attuale. Non richiede ancora agli Stati membri di rispettare l’accoglienza in modo dignitoso e di seguire tutti gli accordi firmati nel corso degli anni. Non fornisce alcuna soluzione per coloro che sono alle porte dell’Unione Europea. Non offre alternative per far sì che le persone possano attraversare i confini legalmente e in sicurezza per chiedere asilo.

Una di queste famiglie prima si trovava a Moria. Molte persone che sono in Bosnia e Erzegovina hanno passato anni in Grecia, ma la loro richiesta di asilo è stata negata.

A rischio di essere espulsi e fatti tornare al loro paese, hanno deciso di percorrere la rotta dei Balcani diretti verso un altro paese dell’Unione Europea dove poter riprendere la loro procedura di asilo. Ma hanno trovato solo porte in faccia e molta violenza. Ci sono persone qui che hanno migrato per 3 o 4 anni. Molti, che hanno lasciato il loro paese con tutti i loro risparmi, sono già stati rovinati.

Vi chiediamo per favore di non perdere di vista tutto ciò che sta accadendo qui.

Senza la spinta di cittadini consapevoli non avverrà nessun cambiamento politico, e l’Unione Europea non può continuare a trattare le persone in questo modo solo perché hanno deciso di emigrare.