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Da richiedente asilo a homeless: le falle del sistema di accoglienza trevigiano

La storia di Samba è quella di un sistema inadeguato che produce nuovi poveri

Ancora una volta la provincia di Treviso si vede protagonista di storie che non vorremmo raccontare.
Abbiamo più volte descritto come la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo sia sempre stata trattata in maniera emergenziale, senza una politica seria e progettuale, con una modalità improvvisata di forme di mera assistenza perlopiù insufficienti e indecorose. In questi mesi, solo per citare alcuni esempi, abbiamo assistito al caso dei migranti abbandonati sui pullman parcheggiati davanti alla stazione, a strutture di accoglienza indagate dalla magistratura per maltrattamento nei confronti degli ospiti, ad una gestione dilettantistica e superficiale quando sono state requisite ex-caserme e palazzine destinate all’accoglienza straordinaria, che hanno permesso le note strumentalizzazioni da parte dell’estrema destra e della Lega e prodotto inquietanti segnali di razzismo da parte del vicinato.
In sintesi possiamo dire che, a parte l’importante supporto e lavoro volontario di alcune associazioni legate al mondo cattolico e la disponibilità di alcuni cittadini democratici, l’arrivo di richiedenti asilo in provincia è sempre stato percepito come un peso e sconta dei deficit strutturali che potrebbero essere superati se ci fosse la volontà politica di organizzare in forma intelligente e progettuale il sistema di accoglienza, cercando di coinvolgere tutti i soggetti, istituzionali e non – quindi dai comuni ai volontari senza esclusione ed in forma coordinata – creando reti e formando operatori sociali e persone che a vario titolo possono dare supporto.

La storia di Samba

Quello che però sta avvenendo nell’ultimo periodo è l’ennesimo nodo critico da “sbrogliare”, da analizzare e per il quale pensare a delle soluzioni dignitose.
Succede che dopo mesi di attesa alcuni richiedenti riescono a chiudere tutto l’iter di riconoscimento e riescono ad ottenere il tanto desiderato permesso di soggiorno, che sia di protezione umanitaria o sussidiaria o per asilo politico a loro poco importa. Quello che interessa è la possibilità di ricominciare, di iniziare finalmente a ricostruirsi una vita nuova lontana da guerre e povertà.
Samba è uno di loro: la sua personale storia di terrore e violenza subita è stata considerata talmente grave da poterlo considerare “degno” di rimanere in Italia. Dopo un anno vissuto in una struttura di prima accoglienza, con rigide regole sempre rispettate e con la sofferenza di trovarsi in un limbo e di non poter pensare al futuro serenamente, gli viene consegnato il permesso di soggiorno.
Per Samba è un traguardo raggiunto, un giorno di festa e di speranza. Ma qui inizia un’altra tragedia: solo dopo 24 ore l’aver ricevuto il suo titolo di soggiorno Samba è allontanato dalla comunità, non ha più il diritto secondo l’ente gestore a restare agganciato al progetto, a far parte del girone dantesco dell’accoglienza. Samba fino ad oggi ha vissuto insieme ad altre cento persone, richiedenti asilo come lui, e non conosce nessuno oltre ai suoi compagni del centro, parla poco l’italiano, e non per colpa sua, ma perché nella struttura dove viveva i corsi di italiano non erano di sicuro una priorità per l’ente gestore. Samba, che ha soli 19 anni, non ha più i suoi amici, non ha più un letto, in poche ore è diventato un homeless con il permesso di essere un homeless in Italia.
Come Samba ce ne sono tanti, in questi giorni ci sono giunte numerose segnalazioni di giovani che si ritrovano improvvisamente “fuori dal sistema d’accoglienza” e che vanno ad ingrossare le fila dei nuovi senza tetto, dei nuovi poveri, degli aventi diritto senza diritti.

Un sistema d’accoglienza inadeguato

Ancora una volta emerge come la disomogeneità del sistema d’accoglienza determina condizioni di accoglienza diversificate: la gestione emergenziale con organizzazioni che hanno interesse più a lucrare che ad attivare dei percorsi di inserimento sta producendo un esercito di nuovi poveri.
La mancanza di una pianificazione e di un passaggio da una prima accoglienza allo SPRAR (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), dove l’asilante può essere ospitato fino a sei mesi dopo il suo riconoscimento, fanno sì che si offrano ai richiedenti asilo percorsi ed opportunità molto differenti. Se Samba fosse stato accolto in un progetto dello SPRAR, quasi sicuramente avrebbe avuto un lasso di tempo maggiore per organizzarsi, cercare un lavoro ed una sistemazione.Retour ligne automatique
Nella provincia di Treviso nessun soggetto gestore è nella rete SPRAR e solo attraverso una interpretazione estensiva dell’accoglienza si potrebbe evitare un aumento esponenziale dei senza fissa dimora nel territorio trevigiano.

Le soluzioni possibili ci sono: in primis che i Comuni e il capoluogo possano aderire in tempi brevi al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati così da garantire pari dignità ai richiedenti asilo destinati a questa provincia, per poi farsi immediatamente promotori di una proposta articolata di accoglienza diffusa; per quanto riguarda invece la Prefettura, che esista la possibilità di allargare i tempi di accoglienza in questa fase di transizione.

Redazione

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