Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da il manifesto del 29 agosto 2007

Dai polacchi ai rom, il mestiere dei «vù lavà»

È il lavoro degli ultimi arrivati tra gli immigrati, alla ricerca di qualche spicciolo e senza chiedere l'elemosina. Tra intolleranza e comportamenti «aggressivi»

di Cinzia Gubbini
«Ne ho conosciute parecchie di persone che fanno questo lavoro, spesso sono ragazzini, adolescenti. Sai com’è, si vergognano a fare l’elemosina. E allora prendono il secchio con la spazzola e puliscono il vetro. In qualche modo offrono un servizio». Demir Moustapha, rom macedone, è a Firenze una specie di istituzione: fa il mediatore culturale per l’Arci, ha anche messo in piedi un’associazione di rom e sinti. La strada la conosce, spesso i rom si rivolgono a lui. E oggi, un po’ in tutte le città, sono i rom rumeni a presidiare i semafori per pulire i vetri delle auto che corrono veloci e guadagnare qualche spicciolo. E’ il lavoro tipico dell’ultimo arrivato, di chi non ha ancora trovato una strada più remunerativa per vivere. A introdurre il «mestiere» sono stati i polacchi, nell’86. Altri tempi, arrivavano dal paese di papa Wojtyla e, soprattutto a Roma, godevano di un certo rispetto, o meglio compassione.
I polacchi allora sognavano mica di restare in Italia, ma di andare in Canada o negli Stati uniti, e ai cronisti dell’epoca raccontavano che l’idea di imbracciare la spazzola insaponata era venuta proprio dalla mitica America, dove i ragazzini – anche di famiglia benestante – svolgevano questa mansione innocua per mettere insieme la paghetta.
Ma la tolleranza verso il lavavetri è durata poco, qualche anno e l’insofferenza per l’«agguato» al semaforo con la mano tesa ha portato a coniare persino il termine vù lavà, mutuato dal più famoso vù cumprà. Ne erano pieni i giornali quando nel ’97 il Comune di Torino ingaggiò tra i primi la battaglia contro i lavavetri. E anche allora si parlava di racket, come oggi fa il Comune di Firenze, anticipato egregiamente da quello di Bologna.
Ma c’è davvero il racket dietro agli uomini e alle donne armati di secchio? Il termine rimanda a una vera e propria organizzazione criminale capace di guadagnare denaro sul lavoro delle persone sfruttate e tenute sotto ricatto. In realtà, a sentire quanto dichiarato da Antonio Di Maggio, comandante dell’VIII Gruppo e del Gruppo sicurezza urbana della polizia municipale di Roma, città metropolitana in cui è più facile che si sviluppino certi fenomeni, sembra che la questione sia di portata decisamente minore: «Il mercato dei lavavetri a Roma è in mano, per l’80% dei casi, a cittadini di origine romena, organizzati in famiglie riconoscibili – dice Di Maggio – Secondo i nostri rilievi il lavoro dei lavavetri conta su poco più di un migliaio di persone, tra adulti e bambini, che però si dedicano anche all’ accattonaggio. Ma i dati sono fluttuanti. Denunce vengono presentate anche dagli stessi lavavetri, prevalentemente stranieri, che – spiega Di Maggio – volendo svolgere attività presso un incrocio, vengono minacciati e malmenati dalle bande di romeni già insediati in quel luogo». Insomma, si tratterebbe di un controllo sul territorio, più che sulle persone. Il semaforo è mio e lo gestisco io.
Anche in Toscana sembra che il fenomeno sia lo stesso: «Ho osservato che in alcune situazioni, quando si creano dei conflitti per chi deve stare in certo posto, la questione viene risolta con una transizione monetaria, di poche decine di euro e tra piccoli gruppi, non c’è un’organizzazione criminale dietro», dice Sergio Bontempelli dell’Associazione AfricaInsieme di Pisa. Bontempelli è uno dei pochi che ha svolto un’accurata ricerca, nel 2006, sui lavavetri della sua città: «Vita da semaforo. Un lavoro dimenticato». Ne ha tratto anche un’interessante schema su quanto si guadagna: 2,5-2,8 euro all’ora, per un introito mensile di circa 500 euro su 45 ore di lavoro settimanali. Una «cifra irrisoria», riporta nel suo articolo, che però lo diventa molto meno se si considera «che nel 2003 lo stipendio medio lordo in Romania era di 177 euro».
Ma agli automobilisti non importa certo quanto guadagnano. Il problema è che i lavavetri sono diventati più «aggressivi». Lo staff dell’assessore alla Sicurezza di Firenze, autore dell’ordinanza incriminata, spiega che le denunce arrivano copiose da parte dei cittadini. Ma cosa riguardano? «Il fatto che sono insistenti, lavano i vetri per forza anche quando si dice di no, e d’estate, quando si tengono i finestrini abbassati, si mettono vicini in gruppo con un atteggiamento che appare minaccioso». Insomma, se ci sono state aggressioni vere e proprie sono state rare. Più che altro, quello che infastidisce il cittadino in auto è la petulanza.
Da questo punto di vista è ancora interessante la ricerca di Bontempelli: a insistere con proposte inopportune non solo solo i lavavetri, ma anche chi guida. «Le proposte di lavoro che le donne mi hanno raccontato di ricevere al semaforo – scrive Bontempelli – sono tutte a sfondo sessuale».