1. Nuovi profili della detenzione amministrativa.
In base al Considerando 16 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE, che dopo la scadenza del termine di attuazione (25 dicembre 2010) ha acquistato una precisa portata precettiva sul piano del diritto interno, “ il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente”. L’art.14 della Direttiva sui rimpatri suggella il carattere residuale della detenzione amministrativa, in quanto il trattenimento risulta applicabile solo quando “non possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive”. Nei casi in cui sia evidente la impossibilità di procedere al rimpatrio forzato, come ad esempio dopo periodi di trattenimento in carcere o nei CIE, seguiti dalla rimessione in libertà, con l’intimazione a lasciare entro 7 giorni il territorio nazionale, o quando manca la collaborazione dei consolati dei paesi di provenienza nel fornire i documenti di viaggio, la detenzione amministrativa degli stranieri irregolari rimane dunque priva di fondamento legale. La stessa Direttiva comunitaria stabilisce poi, con il Considerando 17, che i cittadini dei paesi terzi trattenuti dovrebbero essere trattati “in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali”. In base allo stesso Considerando il trattenimento dovrà avvenire «di norma» negli appositi centri di permanenza temporanei, salvi casi eccezionali in cui è data facoltà allo Stato di trattenere gli immigrati in attesa di allontanamento in un istituto penitenziario, avendo in tal caso cura di assicurare che siano ivi tenuti separati dai detenuti ordinari (art. 16 par. 1). Secondo l’art. 15 della Direttiva, il trattenimento dell’immigrato irregolare sottoposto ad una procedura di espulsione dovrebbe avere la durata più breve possibile ed è soggetto a riesame “ad intervalli ragionevoli” su richiesta dello straniero o d’ufficio, dovendo comunque cessare allorché risulti che «non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1» (art. 15 § 4); Evidente a questo punto il contrasto tra l’art.14 dell’attuale testo unico n.286 del 1998, come novellato dal decreto legge del 17 giugno 2011 poi convertito con la legge 2 agosto 2011 n.129 e le corrispondenti previsioni vincolanti della direttiva comunitaria 2008/115/CE in materia di trattenimento e successive proroghe della detenzione amministrativa.
In un primo momento si era addirittura tentato di attuare la direttiva comunitaria a mezzo di una circolare amministrativa. La circolare ministeriale del 17 dicembre 2010 sembrava già modificare, in ossequio ai precetti della Direttiva 2008/115/CE ( in particolare all’art.15) la portata della detenzione amministrativa in quanto si affermava che “il trattenimento dello straniero in un Centro può essere disposto, salvo che nel caso concreto possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare qualora sussista il rischio di fuga, o l’interessato evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o l’allontanamento”. Inoltre, il trattenimento doveva avvenire «di norma» negli appositi centri di permanenza temporanei, salvi casi eccezionali in cui è data facoltà allo Stato di trattenere gli immigrati in attesa di allontanamento in un istituto penitenziario, avendo in tal caso cura di assicurare che siano ivi tenuti separati dai detenuti ordinari (Art.16 comma 1).
Quanto avvenuto nel corso del 2011 nei centri di identificazione ed espulsione, oltre che nei tre CIET ( centri di identificazione ed espulsione temporanei ) creati con l’OPCM ( Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, uno strumento tipico dell’ultima stagione dell’”emergenza immigrazione”) n. 3935 del 21 aprile 2011 a Kinisia ( Trapani), Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e Palazzo San Gervasio ( Potenza), dimostra senza possibilità di smentita, ed è confermato anzi dai numerosi video facilmente reperibili in rete, e dalle testimonianze di quegli avvocati che sono riusciti ad avere accesso ai detenuti, come le autorità italiane abbiano costantemente violato sia la normativa vigente in tema di art. 14 del T.U. 286 del 1998 ( e delle garanzie derivanti dall’art. 13 della Costituzione), che le prescrizioni di natura vincolante contenute nella direttiva 2008/115/CE in materia di rimpatri.
La Direttiva 2008/115/CE, inoltre, all’art. 15 comma 4, prevede che “quando risulta che non esistano più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi”, o che non esistano più rischi di fuga o comportamenti dell’interessato contrari al rimpatrio,”il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Su questo punto di particolare importanza la circolare ministeriale del 17 dicembre 2010 non aggiungeva niente, anche perché la applicazione della direttiva comunitaria avrebbe richiesto uno stravolgimento dell’art. 14 del Testo unico sull’immigrazione, con un superamento della logica punitiva e di contenimento che la detenzione amministrativa ha assunto in Italia. Anche la legge 129 del 2 agosto 2011 tace volutamente su questa previsione e permette all’autorità di polizia di reiterare a discrezione la misura, riuscendo così a superare persino il limite massimo dei 18 mesi di detenzione amministrativa. Di fatto le previsioni del decreto legge in materia di detenzione amministrativa mantengono intatto il sistema dei trattenimenti nei CIE introdotto dalla legge Turco- Napolitano nel 1998 e poi inasprito dalla legge Bossi-Fini del 2002 e dai successivi pacchetti sicurezza che a cadenza annuale hanno stravolto la disciplina dell’immigrazione in Italia.
La Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo stabilisce infatti, all’art.5, che “ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge: (omissis) … se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione“.
Occorre dunque considerare che una detenzione arbitraria può rilevare sul piano del diritto internazionale, e di conseguenza anche a livello nazionale, per effetto del richiamo al diritto internazionale contenuto negli articoli 10 e 11 della Costituzione. Nel caso Zečiri c. Italia, sentenza della Corte Europea die diritti dell’uomo, del 4 agosto 2005 (ric. n. 55764/00), il ricorrente, dopo aver scontato la pena ad un anno e due mesi di carcere, veniva trattenuto in un centro di permanenza temporanea in attesa dell’esecuzione dell’ordine di espulsione che, sulla base di una precedente decisione del tribunale già annullata dalla Cassazione, avrebbe dovuto sostituire la pena. Il ricorrente lamentava perciò l’illegalità della misura restrittiva della libertà personale ingiustamente subìta, nonché l’assenza di un rimedio idoneo ad ottenere la riparazione dell’errore giudiziario. Secondo la Corte europea non può considerarsi “scusabile” l’errore commesso dalle autorità italiane, in quanto esse sono tenute a conoscere le decisioni delle giurisdizioni e conclude nel senso della violazione del § 1 dell’art. 5 della CEDU. Il giudice di Strasburgo dichiara altresì l’avvenuta violazione del § 5 del medesimo articolo: il ricorrente non disporrebbe infatti di alcun mezzo per ottenere “con un sufficiente grado di certezza” la riparazione per l’illegittimo trattenimento, esattamente come avviene per i tunisini che vengono rimpatriati dall’Italia sulla base di procedure che appaiono prive di basi legali alla luce della Direttiva 2008/115/CE, dell’art.5 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo e in taluni casi idonee ad integrare gli estremi dei “trattamenti inumani o degradanti” vietati dall’art.3 della stessa CEDU. La stessa giurisprudenza della CEDU potrebbe trovare adesso applicazione in tutti i casi nei quali gli immigrati irregolari venissero trattenuti nei CIE in contrasto con le disposizioni vincolanti della direttiva 2008/115/CE.
2. La detenzione amministrativa dopo la legge 129 del 2 agosto 2011.
La legge 129 del 2011 approvata il 2 agosto scorso, modifica sostanzialmente l’articolo 14 del Testo Unico sull’immigrazione, che riguarda la detenzione amministrativa. Secondo il nuovo comma 1 dell’art. 14 Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre a quelle indicate all’articolo 13, comma 4-bis, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.
Se il respingimento immediato sembra sottratto all’applicazione della Direttiva rimpatri, questa previsione include i casi di trattenimento amministrativo che deriva da un provvedimento di respingimento differito adottato dal Questore ai sensi dell’articolo 10 comma secondo del T.U. n. 286 del 1998. Dopo il comma 1 dell’art. 14 è aggiunto un nuovo articolo 1-bis. “Nei casi in cui lo straniero è in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità e l’espulsione non è stata disposta ai sensi dell’articolo 13, commi 1 e 2, lettera c) o ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, il questore, in luogo del trattenimento di cui al comma 1, può disporre una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato;obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Le misure di cui al primo periodo sono adottate con provvedimento motivato, che ha effetto dalla notifica all’interessato, disposta ai sensi dell’articolo 3, commi 3 e 4 del regolamento, recante l’avviso che lo stesso ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida. Il provvedimento è comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Le misure, su istanza dell’interessato, sentito il questore, possono essere modificate o revocate dal giudice di pace. L’inottemperanza all’ordine di espulsione non è più punita con la detenzione in carcere ma con una pena pecuniaria. Il contravventore anche solo ad una delle predette misure è punito con la multa da 3.000 a 18.000 euro. In tale ipotesi, ai fini dell’espulsione dello straniero non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui al comma 3 da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato. Qualora non sia possibile l’accompagnamento immediato alla frontiera, con le modalità di cui all’articolo 13, comma 3, il questore provvede ai sensi dei commi 1 o 5-bis. ».
La convalida della misura del trattenimento amministrativo da parte del giudice di pace comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l’espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Trascorso tale termine, qualora permangano le condizioni indicate al comma 1, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni. Qualora persistono le condizioni di cui al periodo precedente, il questore può chiedere al giudice un’ulteriore proroga di sessanta giorni. Il periodo massimo complessivo di trattenimento non può essere superiore a centottanta giorni. Tuttavia,“qualora non sia stato possibile procedere all’allontanamento, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, a causa della mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento, di volta in volta, per periodi non superiori a sessanta giorni, fino ad un termine massimo di ulteriori dodici mesi. Il questore, in ogni caso, può eseguire l’espulsione e il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace.». In questo modo l’accompagnamento forzato alla frontiera rischia di rimanere il sistema di gran lunga più frequente di rimpatrio, in aperto contrasto con quanto previsto da tutta la direttiva 2008/115/CE. E in questo punto specifico si ripropone l’aggiramento della disciplina comunitaria.
L’art. 9 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE prevede invece il rinvio dell’allontanamento forzato, oltre che quando ci sia il rischio di violare il principio di non- refoulement, anche quando si verifichi l’assenza di mezzi di trasporto o che il mancato allontanamento discenda dall’assenza di identificazione. Inoltre l’art.15 della Direttiva stabilisce che “in ogni caso il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di paese terzo o d’ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un’autorità giudiziaria ( art. 15.3). Quando risulta che non sussiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi, o che non sussistono più il pericolo di fuga, o ostacoli frapposti dal cittadino di paese terzo alla preparazione del rimpatrio, “il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Il prolungamento a diciotto mesi è consentito solo “in caso di mancata cooperazione di un cittadino di un paese terzo” o di “ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi”.
La procedura dell’espulsione con accompagnamento forzato e trattenimento puo’ essere reiterata senza limiti. La sanzione della multa puo’ essere sostituita con la misura dell’espulsione coattiva (solo se immediatamente eseguibile, pero’). L’allontanamento dello straniero non e’ intralciato dal procedimento penale in corso (che anzi si interrompe ad allontanamento avvenuto). Si osserva tuttavia ( Briguglio) come se “l’aver rimpiazzato la pena della reclusione con quella della multa risulta coerente con la sentenza della Corte di Giustizia (C-61/11), che aveva censurato la normativa italiana sulla base della inefficacia, ai fini dell’allontanamento, di una pena detentiva. Resta aperta la possibilita’ che la Corte censuri le vecchie disposizioni (e le nuove) sulla base della violazione del principio di proporzionalita’.
Tutte queste previsioni appaiono in contrasto con l’art. 8 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE, secondo cui “ ove gli Stati membri ricorrano- in ultima istanza- a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedono un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali ( ad esempio vorremmo ricordare l’art. 13 della Costituzione in materia di garanzie della libertà personale) e nel debito rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato”.
La situazione nei centri di identificazione e di espulsione è intanto diventata sempre più incandescente anche dopo la fine dell’emergenza sbarchi, dopo il prolungamento a 18 mesi della detenzione amministrativa e l’abbattimento di tutte le garanzie di difesa, a partire dalle difficoltà frapposte all’ingresso di legali di fiducia, e alla utilizzazione dei mediatori linguistici. Per confermare la validità del trattenimento disposto dal Questore basta la “convalida” del giudice di pace, una convalida che in qualche caso diventa una “convalida collettiva” senza nessuna attenzione alle posizioni individuali delle singole persone, senza consentire alcun diritto di difesa, al di là della presenza spesso silenziosa dell’avvocato d’ufficio. Una procedura che sembra rimasta l’unico strumento per contrastare la cd. immigrazione clandestina, che si abbatte sui cd. migranti economici e sui richiedenti asilo denegati o ai quali si vieta di fatto un tempestivo accesso alla procedura, ma che colpisce anche immigrati residenti da anni in Italia, “colpevoli” soltanto di essere stati licenziati dal proprio datore di lavoro. Una procedura generalizzata, costosa ed inefficace, sebbene il ricorso alla detenzione amministrativa sia limitato dall’articolo 13 della Costituzione soltanto a “casi eccezionali di necessità ed urgenza”.
3. La detenzione amministrativa dei richiedenti asilo.
E dai CIE non si salva neppure chi presenta la richiesta d’asilo. Come ricordava Guido Savio dell’ASGI, nel commentare una mancata convalida di un Giudice di pace di Torino, in base alla prassi invalsa presso la Questura di Agrigento i migranti sbarcati a Lampedusa sono stati trattenuti nel Centro dell’isola, o trattenuti su navi, o inviati in giro per l’Italia, in condizioni di totale restrizione della libertà personale , per svariati giorni o settimane, prima che fossero adottati provvedimenti di espulsione o, più frequentemente, di respingimento. In questi casi i termini della convalida sono stati illegittimamente fatti decorrere dalla data di adozione dei provvedimenti, senza computare nei termini i periodi antecedenti. E ciò in violazione degli artt. 14, co. 3 e 4, D. Lgs. 286/98 e 13 Cost.
Il Giudice di Pace di Torino non ha convalidato il trattenimento dei 22 migranti provenienti da Lampedusa e richiedenti la protezione internazionale. Costoro giungevano nella serata di venerdì 17 giugno 2011 al CIE di Torino provenienti da Lampedusa. Tutti risultavano sbarcati nell’isola il 6 giugno e, il giorno successivo avevano presentato domanda di protezione internazionale. Il Questore di Agrigento, solo il 17 giugno (cioè 11 gg. dopo l’avvenuto rintraccio ad opera delle forze di polizia e 10 gg. dopo la presentazione della domanda di protezione ) decretava il respingimento con accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’art. 10, co. 2, T.U. 286/98. Contestualmente, lo stesso Questore emetteva decreto di trattenimento presso il CIE di Torino ai sensi dell’art. 21, co. 1, lett. c), D. Lgs. 25/2008, in quanto i richiedenti la protezione erano precedentemente destinatari del suddetto provvedimento di respingimento. Tali atti venivano notificati ai migranti trasferiti da Lampedusa nella serata del 17 giugno 2011 presso i locali del CIE torinese. La Questura di Torino chiedeva la convalida del trattenimento, la cui udienza veniva fissata il 20 giugno. A seguito dell’udienza di convalida tenutasi presso il CIE, il Giudice di pace non ha convalidato i trattenimenti con la seguente sintetica motivazione: “ alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 20 e 21 del D. Lgs. 25/2008 non si ravvisa la necessità del trattenimento presso il CIE, dovendosi lo straniero inviare presso un centro di accoglienza in attesa della definizione della procedura di protezione internazionale“.
Nel corso del 2011 la Questura di Agrigento ha adottato una prassi secondo la quale migranti sbarcati a Lampedusa sono stati trattenuti nel Centro dell’isola, o trattenuti su navi, o inviati in giro per l’Italia, in condizioni di restrizione della libertà , per svariati giorni o settimane, prima che vengano adottati provvedimenti di espulsione o, più frequentemente,di respingimento.Quando hanno avuto la possibilità di formalizzare la richiesta di asilo avevano già ricevuto la notifica di un provvedimento di allontanamento forzato e risultavano dunque nelle condizioni di essere trattenuti in un centro di detenzione amministrativa, piuttosto che venire accolti in un centro di accoglienza per richiedenti asilo. In questi casi i termini della convalida del trattenimento amministrativo sono stati illegittimamente fatti decorrere dalla data di adozione dei provvedimenti di respingimento o di espulsione, senza computare nei termini i periodi antecedenti di detenzione informale presso il centro di primo soccorso ed accoglienza (CPSA)di Contrada Imbriacola nell’isola di Lampedusa. E ciò in violazione degli artt. 14, co. 3 e 4, D. Lgs. 286/98 e 13 della Costituzione. Sarebbe bene che su questi fatti, sui quali sono stati presentati esposti a diverse procure italiane, che hanno già trasmesso gli atti alla procura di Agrigento, e sui quali si sta indagando anche a Palermo per il trattenimento amministrativo nelle navi prigione, si possa fare finalmente chiarezza al fine di restituire legittimità alle prassi amministrative in materia di“ respingimento differito“ e allontanamento forzato degli immigrati irregolari, tra i quali le pratiche fin qui adottate possono produrre danni rilevanti, soprattutto considerando i soggetti più vulnerabili come i richiedenti asilo ed i minori non accompagnati. Se qualcuno, ai vertici del ministero dell’interno, pensa che l’emergenza sbarchi si possa ritenere conclusa con la chiusura del centro di detenzione di Contrada Imbriacola a Lampedusa e con la dichiarazione di Lampedusa come “porto non sicuro“, con il pretesto che nell’isola non esisterebbero strutture di accoglienza, presto potrebbe trovarsi di fronte all’ennesimo fallimento annunciato. Gli sbarchi non sono certo cessati perchè le autorità italiane hanno violato sistematicamente le regole in materia di allontanamento forzato stabilite dalle leggi interne e dalla normativa comunitaria, ma per la particolare situazione politica e militare nei paesi dai quali partivano gli immigrati, una situazione in continua evoluzione che potrà comportare anche in futuro altre situazioni di emergenza che non potranno essere affrontate ancora una volta con la detenzione illegittima e con i rimpatri collettivi vietati da tutte le Convenzioni internazionali.
Fulvio Vassallo Paleologo
Associazione studi giuridici sull‘immigrazione
Bibliografia minima
– P. Bonetti, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso e permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la Direttiva comunitaria sui rimpatri, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2009,4, p. 85
– Borraccetti, Il rimpatrio di cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,1, p.17
– A. Puggiotto, I meccanismi di allontanamento dello straniero, tra politica del diritto e diritti violati, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,1, p.42
– F. Vassallo Palelogo, Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, n Diritto, Immgrazione e Cittadinanza, 2009, fasc. 2, p.19.
– F. Viganò, Diritto penale ed immigrazione: qualche riflessione sui limiti della discrezionalità del legislatore, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,3, p.13