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Dalla Tunisia all’Italia. L’accoglienza che non c’è

Intervista ad Abdel, un giovane tunisino, raccolta dagli attivisti della campagna Welcome a Lampedusa

Abdel, volto giovane ma segnato dalla stanchezza e dalla tristezza, racconta di essere arrivato sull’isola nella sera di domenica 20 marzo, su di una imbarcazione con a bordo 350 persone. Tra queste diverse donne e 5 bambini, alcuni dei quali di 1 e 2 anni. Dopo un viaggio di 18 ore, l’imbarcazione è riuscita ad approdare nel porto autonomamente.

Del suo gruppo solo una parte (i bambini con i rispettivi familiari) è stato trasferito in strutture d’accoglienza, mentre lui e la maggior parte dei suoi compagni sono stati abbandonati a se stessi.

Ci spiega che la situazione in Tunisia rimane drammatica e non offre prospettive per il futuro: è per questo che lui, come molti altri, hanno deciso di intraprende il viaggio verso l’Europa. Di certo non si aspettavano di ritrovarsi in una situazione come questa.

Delle 350 persone arrivate con lui a Lampedusa, sono circa un centinaio quelle che vorrebbero provare a cercare un futuro in Italia, mentre lui e la stragrande maggioranza vorrebbero andare in Francia, dove molti hanno parenti e conoscenti che gestiscono attività economiche avviate da tempo.

Attualmente, dice, non ci sono controlli nelle coste tunisine da parte della polizia e della guardia repubblicana, come accadeva invece durante il precedente governo del dittatore Ben Alì. Ora è possibile partire con una barca pagando 2.000 dinari (poco più di 1.000€).

Alla domanda di cosa pensa rispetto “all’accoglienza” riservata loro dallo Stato italiano è fortemente perplesso ed indignato: è più di otto giorni che vagano all’aperto senza servizi igienici ne docce, mangiando cibi scadenti e in scarse quantità. Inoltre riferisce che le autorità di polizia italiane hanno comunicato a lui e al suo gruppo che dovrebbero rimanere almeno una settimana sull’isola, dopodiché gli verrà consegnato un “biglietto” per essere “accolti” e schedati nel Centro di identificazione di Lampedusa e solo successivamente essere trasferiti in Sicilia.

Abdel racconta, fra l’altro, che durante questa settimana non è stato assistito in alcun modo: «le persone arrivate con me dormono per strada da più di sette giorni, in posti di fortuna, esposti al freddo e all’umidità della notte» e inoltre che sono costretti autonomamente a procurarsi il cibo, presso i bar e ristoranti dell’isola, perché quello che viene dato dagli operatori al porto non solo è molto scadente ma anche insufficiente come quantità.

È molto stupito dalla grande quantità di persone – circa 6.000 – provenienti dal suo paese presenti ancora sull’isola e dalla condizioni alla quali sono lasciate dalle autorità dello Stato Italiano (presidio sanitario compreso).

L’ unico ringraziamento va invece alla popolazione locale: «Le persone di Lampedusa…tutto bene» e mentre sorride dice, «un grazie per tutto a loro, sono bravi!».