La Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto ai prigionieri di Guantanamo le garanzie di difesa che spettano a tutte le persone, sancendo la loro possibilità di ricorrere ai tribunali ordinari. La sentenza ha ribaltato una precedente decisione della Corte federale d’appello che confermava la legittimità di una legge che investiva i tribunali militari per i processi riguardanti i detenuti di Guantanamo. In Europa, dopo le “extraordinary rendition” consentite da tutti i governi dell’Unione, ma condannate lo scorso anno dal Parlamento Europeo, si assiste alla proliferazione delle espulsioni sommarie con accompagnamento immediato. Si potrebbero definire “ordinary rendition”, con il ricorso sempre più diffuso alle espulsioni per motivi di sicurezza nazionale e con una discrezionalità delle polizie locali ormai fuori controllo.
La distinzione tra espulsioni per ragioni di terrorismo ed espulsioni legate alla commissione di reati ordinari, o connessi alla irregolarità del soggiorno, si assottiglia sempre più e le conseguenze nei paesi di deportazione diventano sempre più cruente. Non solo si stanno moltiplicando ovunque, nel vecchio continente, le piccole Guantanamo, i centri di detenzione amministrativa dove si potrà restare trattenuti fino a 18 mesi, ma si “esternalizzano” i campi di detenzione ed i trattamenti inumani e degradanti, vietati dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, non solo per i sospetti di terrorismo, ma anche per gli immigrati irregolari, o per persone che, inizialmente accusate per fatti di terrorismo, in ultima istanza vengono condannate solo per reati connessi all’ingresso o alla permanenza irregolare.
Le renditions “ordinarie” stanno diventando la regola, senza che un magistrato togato possa verificarne la legittimità, in nome di una malintesa accezione di sicurezza nazionale che, pur di attuare espulsioni con accompagnamento immediato, impedisce di fatto la nomina di un avvocato di fiducia e qualsiasi effetto sospensivo del ricorso. Si assicura così un controllo meramente formale sulla legittimità delle espulsioni, magari affidato alla discreta figura del giudice di pace, assistito da un silenzioso difensore d’ufficio e da un interprete di fiducia della Questura. In alcuni casi, l’esecuzione delle espulsioni giunge ad impedire il regolare svolgimento del procedimento penale e si realizza dunque prima di una sentenza definitiva di condanna. Questo avviene quando le rappresentanze diplomatiche dei paesi terzi sono interessate all’esecuzione della misura di allontanamento e dunque, disponibili a fornire i documenti di viaggio. Interesse che aumenta soprattutto nel caso di oppositori politici e disertori.
Gli imputati – espulsi prima di una pronuncia definitiva di colpevolezza – non possono neppure far valere il diritto ad un giusto processo previsto dall’art. 6 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Di fatto, il principio della presunzione di innocenza, per alcune categorie di esseri umani, genericamente definiti dalle autorità di polizia come potenziali criminali, ad esempio scafisti, come già avvenuto per i sospetti terroristi, viene completamente ribaltato.
Alcune settimane fa il governo italiano ha deciso di espellere il cittadino tunisino Sami Essid, in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, che vieta le espulsioni di persone che a seguito dell’allontanamento forzato possono subire trattamenti inumani e degradanti. Malgrado l’ordine di sospensiva della Corte di Strasburgo, che intimava al governo italiano di non eseguire l’espulsione del cittadino tunisino, condannato nel nostro paese per appartenenza ad una organizzazione terroristica internazionale, il 3 giugno scorso il Ministro dell’Interno ha deciso di procedere comunque all’accompagnamento forzato da Fiumicino a Tunisi. Adesso Sami Essid è nelle mani di un tribunale speciale tunisino che lo sta processando senza consentirgli, a quanto risulta, la difesa di un avvocato di fiducia. La prossima udienza dovrebbe svolgersi ai primi di luglio. Come confermano i rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch, in base ai quali, in casi simili, in Tunisia viene sistematicamente praticata la tortura, in queste ore Sami Essid sarà sottoposto a tortura per estorcergli una dichiarazione di colpevolezza. Stessa sorte che potrebbe attendere una cittadina turca oppositrice del governo, condotta in questi giorni dal carcere di Rebibbia al CPT di Ponte Galeria di Roma, che rischia di essere espulsa in Turchia.
Le più recenti decisioni di espulsione per motivi di sicurezza assunte dal governo italiano non costituiscono una novità, anche se la Corte Europea, lo scorso 28 febbraio, aveva ribadito, in un analogo caso che riguardava un cittadino tunisino (Affare Saadi) nel quale l’Italia era stata condannata, il divieto assoluto di espulsione di una persona, benchè ritenuta appartenente ad organizzazioni terroristiche, verso un paese nel quale questa avrebbe potuto subire torture, detenzioni arbitrarie o altri trattamenti inumani e degradanti.
Evidentemente il nuovo governo italiano, che invoca l’Europa per legittimare le pratiche più restrittive in caso di detenzione amministrativa e di rimpatrio, si permette di disattendere le decisioni degli organi comunitari e della Corte Europea dei diritti dell’uomo, quando si tratta dei diritti fondamentali della persona.
Purtroppo, come si diceva, nulla di nuovo sotto il sole. Cherif Foued Ben Fitouri, in precedenza regolarmente residente in Italia, seppure incensurato anche nel paese di origine, per diciotto mesi è stato recluso in un carcere tunisino dopo essere stato espulso lo scorso anno, con la procedura prevista dal “decreto Pisanu”, una normativa emergenziale che non prevedeva alcuna possibilità di ricorso e di effettivo controllo giurisdizionale prima dell’esecuzione dell’espulsione. L’espulsione è stata eseguita immediatamente sulla base dei sospetti della polizia, nel caso di Cherif, che in Italia non risultava neppure imputato per terrorismo, sembrerebbe una vera e propria prognosi di un possibile comportamento futuro. Una previsione che ha significato una lunga detenzione arbitraria e torture, al punto che Cherif rischia di perdere l’uso una gamba. Adesso si attende la decisione della Corte Europea, mentre la famiglia attende il suo rientro in Italia, sempre che Cherif non venga arrestato di nuovo, magari con un ennesimo pretesto, da parte delle autorità tunisine..
L’Italia del resto, come non ha mai fatto chiarezza sulle “consegne straordinarie”, e sui rapporti con i paesi “prigione” del nord-africa, non è riuscita a dotarsi di una legge sul reato di tortura, mentre si sono moltiplicate a dismisura le sanzioni penali legate esclusivamente a condizioni soggettive della persona come la presenza irregolare degli immigrati. A più di vent’anni da quando l’Italia ha ratificato la convenzione Onu che vieta la tortura, i tribunali non possono perseguire adeguatamente i colpevoli. Un vuoto legislativo che secondo Mauro Palma di Antigone, ci «colloca agli ultimi posti in Europa», al punto che i giudici che indagano sui fatti di Genova per le torture inflitte dai carabinieri e dalla polizia durante il G8 del 2001 sono stati costretti a contestare agli imputati solo il reato di abuso di ufficio o altri reati minori, che saranno tutti prescritti nel 2009. Nessuno degli agenti e dei dirigenti che hanno praticato forme diverse di tortura e altri trattamenti inumani e degradanti, durante i giorni del G 8 a Genova, quindi, subirà un solo giorno in carcere.
Non stupisce dunque che l’Italia continui ad eseguire espulsioni per motivi di sicurezza, o anche per semplici irregolarità amministrative, senza curarsi dei trattamenti inumani e degradanti che verranno inflitti ai migranti, dopo che li avrà consegnati nelle mani delle polizie dei paesi di transito o di provenienza. Le più recenti riforme legislative in materia di immigrazione, malgrado il contrario avviso della Corte Costituzionale, con la sentenza n.105 nel 2001 e con diverse sentenze nel 2004, hanno eluso i richiami della stessa Corte ed hanno consegnato all’autorità amministrativa una discrezionalità assoluta in materia di libertà personale e di accompagnamento forzato dei migranti in frontiera. La natura temporanea del decreto Pisanu, adesso di fatto prorogato, ha impedito alla Corte Costituzionale una approfondita valutazione di costituzionalità di un provvedimento che ha suscitato critiche anche in Europa.
Quanto avvenuto con le espulsioni adottate per motivi di sicurezza, con accompagnamento immediato alla frontiera, in base al decreto Pisanu, rischia ora, con il recente “pacchetto sicurezza”, di diventare la norma delle espulsioni contro gli immigrati irregolari, che consente un esercizio ancora più ampio della discrezionalità di polizia, in violazione della riserva di giurisdizione, che impone un controllo effettivo della legittimità dell’espulsione da parte del magistrato, prima dell’esecuzione di ogni misura di allontanamento.
La violazione dei diritti umani dei migranti passa anche attraverso gli accordi di riammissione e qui si assiste ad una linea di continuità tra i diversi governi che si succedono. Il precedente governo Prodi, appena lo scorso dicembre, aveva concluso a Tripoli un protocollo d’intesa sul pattugliamento congiunto delle frontiere libiche e, per la stipula di un nuovo accordo di riammissione, si attendeva solo il via libera della direttiva comunitaria sui rimpatri, la cui approvazione permetterebbe di stanziare milioni e milioni di euro per finanziare le deportazioni dall’Europa verso i paesi di transito e per foraggiare le polizie locali con nuovi sistemi di controllo delle frontiere meridionali tra i paesi del Maghreb e il Sudan, il Chad, il Niger, la Mauritania. Adesso Gheddafi vuole saldato il conto delle promesse che gli sono state fatte e sta facendo partire migliaia di migranti verso l’Europa, proprio alla vigilia del voto che, a Bruxelles, potrebbe stabilire la possibilità di riportare gli irregolari, non solo nei paesi di origine, ma anche nei paesi di transito, stabilendo proprio per questi ultimi enormi aiuti finanziari. Risorse comunitarie sottratte, in Europa come in Italia, alle misure in favore dell’accoglienza e dell’integrazione.
Si preferisce collaborare con paesi come l’Egitto, la Tunisia, la Libia e la Turchia che violano ogni giorno i diritti fondamentali delle persone. La Turchia rimpatria sistematicamente richiedenti asilo irakeni ed afgani che sono espulsi dalla Grecia, al punto che la Norvegia ha deciso di sospendere l’applicazione della Convenzione di Dublino, bloccando le espulsioni ed i respingimenti verso la Grecia. Ma altri paesi europei, come l’Italia, dai porti dell’Adriatico, continuano impunemente a respingere minori e potenziali richiedenti asilo verso la Grecia e quindi la Turchia.
L’Egitto, paese con il quale l’Italia ha da tempo un accordo di riammissione, sta deportando numerosi profughi eritrei in Eritrea, altro paese nel quale si pratica generalmente la tortura contro gli oppositori politici. Proprio in questi giorni, sembra che l’Egitto stia consegnando alcune centinaia di uomini alla polizia del paese dal quale sono fuggiti. Anche il governo libico ha stretto un accordo con la dittatura eritrea per riconsegnare a quel paese quanti sono fuggiti, uomini e donne, anche soltanto per sottrarsi alla leva militare obbligatoria. Dalle agenzie umanitarie internazionali si ha notizia che molte persone, rimpatriate dalla Libia in Eritrea, sono state imprigionate e torturate, in qualche caso fino alla morte. Ovunque non si contano più gli abusi subiti dalle donne e dai minori nei paesi di transito.
L’approvazione della Direttiva sui rimpatri, in calendario a Bruxelles per il prossimo 18 giugno, potrebbe consentire all’Italia, ed agli altri paesi europei, di rinviare ancora, senza alcuna garanzia dei diritti fondamentali della persona, migranti economici e potenziali richiedenti asilo nei paesi di transito, come l’Egitto e la Libia, dai quali, dopo essere stati incarcerati in campi di transito e detenzione, i nuovi “lager” finanziati dall’Unione Europea, potrebbero essere consegnati ai loro paesi dove troveranno carcere e torture.
Se ci sono cittadini stranieri che hanno commesso reati in Italia, o in Europa, devono essere processati, e sottoposti alle eventuali condanne, nel nostro paese o in stati che non utilizzino la tortura come sistema generalizzato di indagine. Non si tratta solo di adottare in Italia un trattamento processuale e detentivo che potrebbe risultare più selettivo ed efficace nella individuazione delle reti criminali e terroristiche. Occorre coniugare efficacia e tempestività delle politiche migratorie, adeguatezza e ragionevolezza negli interventi repressivi, possibilità effettive di ingresso per ricerca di lavoro, o per richiesta di protezione internazionale. Un diverso bilanciamento tra i diritti della persona ed i diritti alla sicurezza dello stato potrebbe sancire il passaggio dallo stato di diritto allo stato di polizia, senza alcun beneficio concreto nella lotta al terrorismo o, più semplicemente, nel contrasto dell’immigrazione irregolare.
La Commissione Europea ed il Parlamento Europeo devono impedire all’Italia di continuare a disattendere la Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, violando le decisioni della Corte di Strasburgo, soprattutto nei casi di sospensione delle espulsioni ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura della Corte. La C.E.D.U. e la giurisprudenza della Corte costituiscono ormai parte integrante del diritto comunitario, come affermato in diverse occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a Lussemburgo.
Quanto sta avvenendo in diversi stati europei, come l’Italia, con respingimenti ed espulsioni verso paesi che praticano sistematicamente la tortura e la detenzione arbitraria, deve imporre il blocco immediato dell’approvazione della direttiva comunitaria sui rimpatri, che abbassa ancora il livello dei diritti di difesa, e permette espulsioni anche verso i paesi terzi di transito, persino in danno dei minori non accompagnati.
La Corte Costituzionale italiana deve intervenire con tempestività e rigore contro le nuove normative che cancellano i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale, oggi per i migranti, domani probabilmente per tutti i cittadini. Non si può dimenticare che, ancora nel 2001, in base alla nota sentenza n.105 , secondo la Corte, le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione, che protegge la libertà personale, non possono subire attenuazioni rispetto agli stranieri, “in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici, per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico, connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”. Di fronte al silenzio ed alla connivenza sostanziale di quella che si vuole definire ancora oggi opposizione, non rimane che augurarsi, dopo le più recenti scelte del governo in materia di sicurezza, che almeno la Corte Costituzionale riesca ad impedire il ribaltamento di principi di libertà sui quali è basato lo stato democratico.