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Decreto flussi – Comincia il gioco delle non notizie

Si sono “aperte le danze” per quanto riguarda l’imminente emanazione del decreto flussi. In questi giorni sono infatti circolate diverse agenzie sull’imminente elaborazione e pubblicazione del decreto flussi (come previsto all’art. 3, comma 4, del T.U. sull’Immigrazione); si tratta in buona sostanza di una non notizia.
E’ ovvio che ogni anno, per rispettare la legge, il Governo deve elaborare un decreto flussi con la previsione di quote minime e il fatto che il Governo si appresti ad elaborarlo, di per sé, non è una notizia dal momento che si tratta di un obbligo che deve essere adempiuto.
Il problema è capire se il prossimo decreto flussi arriverà presto, se sarà di chiara formulazione, se saranno date – a differenza degli anni precedenti – chiare istruzioni agli uffici periferici per evitare scandalose disparità di trattamento o limitazioni di opportunità per chi intende presentare la domanda. Mi riferisco in particolare a quel gioco degli uffici postali presso i quali si devono far partire le domande. Si ricorderà che dovevano aprire tutti alle ore 8.30, ma qualcuno ha aperto prima ed i soliti “bene informati” sono riusciti a piazzare le domande in tempo utile in modo da “battere”, in maniera non proprio leale, gli altri concorrenti.
Le notizie vere ancora mancano. Al momento abbiamo il solito alternarsi di prese di posizione del mondo imprenditoriale con risposte e dichiarazioni rilasciate alla stampa dal mondo politico.
Recentemente si è riunito presso il Ministero del Lavoro un gruppo di lavoro tecnico, costituito non soltanto da funzionari ministeriali e politici, ma anche da associazioni di categoria, organizzazioni imprenditoriali e sindacali. Ci sono già i primi commenti riportati su stampa e agenzie, sia di alcune organizzazioni imprenditoriali sia del sottosegretario al Welfare Sacconi. Non abbiamo invece dichiarazioni rilasciate dalle organizzazioni sindacali e sarebbe interessante sapere se anche loro si sentono di esprimere il vago ottimismo chiaramente espresso dalle organizzazioni imprenditoriali. Baglione, responsabile immigrazione della Confederazione Nazionale delle Piccole e Medie Imprese, in una dichiarazione fatta alla stampa conferma valutazioni e previsioni già divulgate anche dai rappresentanti della Col diretti, in base alle quali ci si aspetta un decreto flussi per 200mila ingressi; una cifra che comprende in grande maggioranza quote di ingresso finalizzate al lavoro di tipo stagionale e, quindi, il rilascio di un permesso di soggiorno non prorogabile.
Questa cifra – per il momento non ufficiale – comprenderebbe anche i lavoratori neocomunitari; è chiaro quindi che per gli extracomunitari e per coloro che sono interessati ad ottenere un permesso di soggiorno di tipo rinnovabile, si parla di quote notevolmente inferiori. Alla fine torniamo agli stessi numeri di ingressi degli anni precedenti, solo (forse) con qualche possibile ritocco.
Secondo la Col diretti (si tratta di indiscrezioni e valutazioni che non si capisce se corrispondono a quanto proposto o a quanto è stato risposto da parte ministeriale e in ogni caso non hanno ancora trovato una conferma) le quote riferite ai lavoratori stagionali sarebbero di 50.000 ingressi. Secondo il Sole 24 ore, che riferisce a sua volta di altre indiscrezioni, il totale sarebbe di 179.000 ingressi, comprensivo di lavoratori neocomunitari ed extracomunitari.
Ma se andiamo a guardare i dati degli anni precedenti scopriamo che il decreto flussi per l’anno 2005 (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre 2004 – “Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2005”) assomma complessivamente 179.000 quote per gli ingressi (comprendendo i lavoratori neocomunitari) più tutte le quote di ingresso per lavoro subordinato e lavoro autonomo, comprese, naturalmente, le quote di ingresso per lavoro stagionale. Alla fine tutte queste valutazioni positive circa l’emanazione di un decreto flussi che tenga conto del reale fabbisogno del mercato del lavoro, sembrano sgonfiarsi di fronte ai numeri che parlano più chiaro dei politici.

Una considerazione sulle quote per i neocomunitari
Per quanto riguarda i neo comunitari, lo scorso anno erano state stanziate 79.500 quote di ingresso, ma le domande presentate (per l’ingresso o per la sostanziale regolarizzazione dei lavoratori che stavano già in Italia) sono state appena 44.000 con la conseguenza che circa la metà delle quote stanziate è rimasta giacente. Questo perché da un lato non c’è una forte domanda di assunzione dei neocomunitari, e dall’altro non c’è una forte ondata migratoria di questi verso l’Italia. E’ noto che i lavoratori dell’ Europa dell’Est si dirigono per lavoro tradizionalmente verso la Germania e più difficilmente verso i paesi dell’Europa del sud.
Ne discende che quello che potrebbe essere previsto con il decreto flussi 2006 è la riduzione delle quote da assegnare ai lavoratori neocomunitari, aumentando quelle per i lavoratori extracomunitari. Si tratterebbe quindi di mantenere il tetto assoluto annuale stabilito per l’anno scorso, ma con una diversa distribuzione a favore dei lavoratori extracomunitari. Queste sono solo delle proposte e non ci sembra che da parte del Ministero del Welfare vi siano al momento chiare prese di posizione al riguardo.

Una successiva dichiarazione rilasciata alla stampa dal sottosegretario del Welfare Sacconi, ci permette di capire un po’ meglio quali sarebbero le intenzioni e, soprattutto, le convinzioni che animano il Ministero rispetto ad una programmazione che si pretenderebbe di effettuare con caratteri di scientificità.
Quello che Sacconi tiene a sottolineare è che finalmente si andrà a fare una valutazione delle qualifiche professionali, scegliendo ( come se fosse possibile!!!) stranieri che vadano a lavorare in un determinato settore piuttosto che in un altro. Viene in proposito sottolineato che “Ci sarà una spiccata preferenza per le figure più utili al nostro sistema economico e sociale: come le persone che si dedicano ai servizi di cura per la famiglia o per la persona, o i lavoratori edili. Ci sarà un contenimento per quanto riguarda i lavoratori dell’industria manifatturiera che in Italia stanno calando. Ci sono molti processi di ristrutturazione che creano migranti disoccupati, la cui reinclusione nel mercato del lavoro è complessa”.
Se anche si decidesse – come sembra – di elaborare un decreto flussi che ponga dei limiti all’interno delle categorie professionali (quote per lavoratori domestici, altre per lavoratori edili, ecc.) alla fine gli immigrati si adatterebbero comunque, e le quote verrebbero tutte utilizzate; le domande saranno come sempre numerose e superiori ai posti disponibili.
Bisogna considerare che pretendere di dividere e pianificare i flussi migratori, stabilendo quote da suddividere per qualifiche professionali, potrebbe avere come rischio il nascere di possibili controversie: ciò perché alcuni uffici, ritenendo di applicare correttamente il decreto flussi, potrebbero rifiutare delle domande e questo causerebbe un ulteriore confusione.
Va sempre ricordato e sottolineato che stiamo trattando di persone che sono già in Italia (si tratta come tutti sanno – compresi i funzionari degli uffici – del 99% di coloro che di fatto utilizzano le quote), lavorano in nero e hanno avuto la fortuna di trovare un datore di lavoro che attende con pazienza di presentare la domanda di utilizzo delle quote.

Che senso può avere dividere le quote?
Forse si vuole impedire ad un lavoratore autorizzato all’ingresso (di fatto, come è ormai usuale dire, regolarizzato) per lavoro domestico, di svolgere un lavoro diverso. Questo non è previsto dalla legge, anzi è disposto l’esatto contrario. E’ infatti un diritto di qualsiasi lavoratore extracomunitario regolarmente soggiornante, di cambiare in qualsiasi momento datore di lavoro, settore di lavoro e qualifica, così come il datore di lavoro è libero di cessare il rapporto di lavoro nei casi consentiti dalla legge.
Questo è il diritto del lavoro e non può essere diverso per i lavoratori extracomunitari, specie in mancanza di una norma di legge espressa al riguardo. Per la verità, la Convenzione O.I.L. 143/75 prevede la possibilità per gli stati firmatari di limitare temporalmente l’accesso a diverse qualifiche di occupazione dei lavoratori appena giunti nel territorio, ma tale limitazione (che era prevista nella legge 943/86 ed è stata abrogata con l’entrata in vigore del T.U.) non è oggi prevista dalla legge, mentre solo una legge formale dello stato potrebbe stabilirla; forti dubbi di legittimità, invece, si dovrebbero sollevare su un eventuale decreto flussi che stabilisse un eventuale divieto di cambiare tipo di occupazione, perché un simile provvedimento violerebbe palesemente la riserva di legge imposta dall’art.10 della Costituzione ed il principio di pari trattamento e pari opportunità (anche per quanto attiene l’accesso all’occupazione) stabilito dal T.U.. Ma allora, se è vero che un lavoratore può cambiare settore di lavoro, che senso ha prevedere delle quote solo per un determinato settore e non per un altro! Questo potrebbe solo facilitare eventuali espedienti che verrebbero fatti pagare ai diretti interessati, sotto forma di servizi non certo legali e non certo scrupolosi. In altre parole, se si pongono ulteriori ostacoli nell’utilizzo concreto delle quote, c’è un rischio maggiore che si vadano a presentare finti contratti di lavoro per transitare successivamente da un settore di lavoro ad un altro.
Avrebbe senso semmai prevedere dei criteri di preferenza nell’assegnazione delle quote, magari per i lavoratori domestici e con riferimento alla particolare situazione di bisogno delle famiglie, garantendo in qualche modo la saturazione delle domande delle famiglie che hanno bisogno di un assistenza domiciliare.
Vedremo cosa si farà rispetto agli anni precedenti. Va detto che il regolamento di attuazione della legge c.d. Bossi – Fini (Decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n.334 – “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 (supplemento ordinario n. 17/L) del 10 febbraio 2005), ha finalmente chiarito che, nel caso di domande di autorizzazione all’assunzione di persone da adibire al lavoro domestico o per assistenza a persone inferme, non si considera alcun reddito come soglia minima per rilasciare l’autorizzazione. All’art. 30 bis, comma 8, si prevede infatti che “la disposizione relativa alla verifica della congruità in rapporto alla capacità economica del datore di lavoro non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza, il quale intende assumere un lavoratore straniero addetto alla sua assistenza”. Quindi anche le persone meno ricche, che fino a qualche tempo fa avrebbero dovuto presentare una dichiarazione in cui si attestasse un reddito minimo di 90 milioni l’anno, potranno accedere a questa possibilità di assunzione.

I progetti di formazione nel paese di provenienza
Il Sottosegretario Sacconi precisa che si intende fornire un canale preferenziale nell’ambito delle quote, per chi all’estero sia stato inserito in progetti di formazione, finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro italiano. Precisa infatti che “I lavoratori potranno essere formati nel loro paese prima dell’ingresso in Italia grazie ad attività avviate da associazioni di categoria o da organizzazioni come la Caritas, che svolge un importante ruolo di intermediazione tra le famiglie e le persone che offrono servizi di cura. Sarà inoltre possibile realizzare attività di formazione a partire dai corsi di lingua italiana che consentiranno di organizzare già in partenza flussi orientati ad una migliore integrazione”.
Certo, un po’ viene da sorridere se si pensa che anche tale opportunità tenderà ad essere utilizzata da chi è già qui in condizioni irregolari e che, quindi, una persona che vuole finalmente mettersi in regola debba frequentare nel suo paese un corso di lingua italiana, quando magari già da molto tempo sta lavorando in Italia in condizioni irregolari. Come tutti gli altri – per utilizzare la quota – sarà costretta, ad un certo punto, ad uscire irregolarmente dal territorio italiano per attendere il rilascio del visto di ingresso. Ciò comporterà un periodo di ulteriore permanenza forzata all’estero, dato dalla necessità di frequentare corsi di formazione, la cui organizzazione e contenuti non sono troppo chiari.
La possibilità di selezionare e integrare la formazione professionale dall’estero di lavoratori candidati all’ingresso in Italia, è uno degli elementi che vanno studiati ed affinati; non si vuole escludere che sia una possibilità da utilizzare ed ottimizzare. Certo è che questa possibilità di formazione e selezione mirata riguarda settori del mercato del lavoro piuttosto marginali, anche perché resta da considerare che i datori di lavoro non accettano facilmente l’idea di assumere attraverso banche dati e selezioni fatte da terzi, senza poi poter vedere e mettere alla prova i lavoratori.
Ecco il perché del fallimento e dell’inutilità delle famose liste finalizzate al collocamento presso le nostre sedi consolari, come pure delle varie banche dati predisposte in questi anni. Nessuno le utilizza perché tutti vogliono conoscere la persona e vederla all’opera sul posto di lavoro, per metterla in prova, e ritenersi liberi di decidere se confermare l’assunzione o meno. Questo è uno dei motivi che ha permesso alle agenzie di lavoro interinali di avere un effettivo impatto sul mercato. Non tanto perché convenga utilizzare il lavoro interinale in maniera abituale, ma perché viene considerato dai datori di lavoro come una forma di periodo di prova piuttosto lungo, che consente di verificare le attitudini del lavoratore.
Ecco che, anche per quanto riguarda la programmazione dei flussi, se non si terrà in considerazione l’esigenza delle imprese di conoscere le persone, tralasciando l’idea fantasiosa di un incontro a distanza tra domanda e offerta, ci troveremo di fronte ad una pura e semplice finzione.
La sensazione che si ha, sia dalle dichiarazioni riportate in merito al tavolo tecnico, sia dalle dichiarazioni rilasciate dal sottosegretario al Welfare Sacconi, è che si voglia dare l’idea di una programmazione e di un maggiore controllo del fenomeno anche se, in realtà, si sta in buona sostanza riproponendo la stessa formula dell’anno scorso.

In molti si approfittano della confusione…
Tutta questa propaganda viene fatta ogni anno, ma con un unico risultato pratico: allertare faccendieri di vario genere che con la promessa di canali preferenziali e servizi particolari per ottenere l’agognato visto di ingresso per motivi di lavoro, spennano agli immigrati molti soldi senza fornire in realtà nulla di serio. Questo vuole essere un avvertimento rispetto a molti approfittatori che si stanno già facendo parecchia pubblicità attraverso le catene umane e le comunità nazionali.
Dobbiamo inoltre precisare che questi “sfruttatori” non sono solamente italiani, ma, in molti casi, sono immigrati che approfittano della confidenza e fiducia che deriva loro dall’appartenenza alla stessa comunità.
Attenzione quindi a soluzioni troppo facili per l’utilizzo delle quote anche perché nessuno è in grado di garantire e prospettare che cosa si dovrà e potrà fare per curare correttamente l’inoltro della domanda e il successivo rilascio del visto di ingresso per lavoro; e ciò perché non ci sono attualmente istruzioni di nessuno tipo.

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