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Decreto flussi – Le anticipazioni del Ministero del Lavoro

Il decreto flussi non è ancora ufficialmente definito nel suo esatto contenuto, anche se, come abbiamo già riferito in questo sito, emergono già i contenuti essenziali del decreto, sia in base alle dichiarazioni pubblicamente rilasciate dal Sottosegretario al Welfare Sacconi e sia a seguito della riunione di un tavolo “tecnico” con le categorie imprenditoriali e le organizzazioni sindacali. Peraltro, sono in corso consultazioni anche su base regionale per raccogliere indicazioni da parte delle categorie produttive e delle amministrazioni regionali, in merito ai criteri di composizione delle quote, all’entità delle domande, ecc. Anche se poi le decisioni sembra siano già state prese. Sulla cifra complessiva di stranieri che saranno autorizzati ad entrare in Italia nell’anno 2006 per motivi di lavoro, sembra non ci siano grandi ritocchi rispetto alle cifre già viste negli anni passati, salvo un modesto “travaso” di quote tra neocomunitari e extracomunitari, in pratica un po’ di meno ai primi e un po’ di più ai secondi.

Lavoro stagionale
Da anticipazioni ancora prive di ufficialità rispetto al contenuto del decreto flussi, sembra che gli ingressi per lavoro stagionale saranno ritoccati leggermente al rialzo quindi, complessivamente, gli ingressi di cittadini extracomunitari nell’anno 2006 per lavoro stagionale dovrebbero aggirarsi intorno alle 50.000 quote. Resta da vedere in che termini verranno riservate a cittadini provenienti da determinati paesi che cooperano con l’Italia in materia di controllo delle frontiere e ingressi irregolari. Per quanto riguarda il lavoro stagionale c’è un’altra anticipazione – non ancora ufficiale – in merito alla possibilità per le associazioni di categoria degli imprenditori impiegati nel lavoro stagionale (agricoltura e turismo), di inoltrare per via telematica le domande di utilizzo delle quote per conto delle imprese associate all’organizzazione stessa. Questo dovrebbe snellire il flusso di domande presso gli uffici del lavoro e garantire o favorire la predisposizione di queste domande in modo omogeneo e con la corretta documentazione.
Per quanto riguarda il lavoro stagionale, questo sarà un anno di sperimentazione di una norma specifica contenuta nel nuovo regolamento di attuazione del Testo Unico sull’Immigrazione.

L’art. 38 bis prevede che sia rilasciato un nullaosta triennale, quindi la possibilità per lo stesso lavoratore di non ripercorrere ogni anno la procedura di ingresso con il sistema delle quote ma, nei due anni successivi, di beneficiare di un nullaosta già pronto con il quale potrebbe presentarsi presso il Consolato italiano del paese di residenza all’estero e unitamente alla presentazione di un contratto di lavoro per l’anno che interessa, potrà ottenere direttamente il visto di ingresso per motivi di lavoro stagionale.

Quote riservate – Il caso della Romania
Oltre ai paesi che naturalmente hanno già beneficiato negli anni precedenti di quote riservate, non è ancora certo se la Romania potrà beneficiarne, pur essendo uno dei paesi maggiormente interessati all’immigrazione in Italia. Solo il consolato italiano di Bucarest avrebbe rilasciato nell’arco dell’anno 2005 ben 18.000 visti di ingresso per lavoro stagionale e 12.000 per motivi di lavoro a tempo determinato o indeterminato.
Ricordiamo che dalla Romania si può arrivare per motivi di turismo e per breve soggiorno senza la necessità di chiedere un visto di ingresso. Perciò le frontiere Schengen sono transitabili, in possesso di un semplice passaporto in corso di validità e con mezzi minimi di sostentamento, di cui bisogna dimostrare la disponibilità nel caso di controlli. Essendo la procedura di ingresso molto semplice, si spiega l’alta percentuale di clandestini o irregolari presenti sul territorio italiano. Si tratta di una circostanza che dovrebbe maggiormente spingere l’amministrazione a incanalare verso una possibilità di ingresso regolare questa forte pressione che, altrimenti, può esprimersi in termini di ingresso irregolare.

A quando la pubblicazione?
Una cosa ancora sconosciuta è la data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto flussi per il 2006. Sarebbe interessante saperlo per chi si sta già preparando a utilizzare le quote. Sapere se questa pubblicazione avverrà il 2 gennaio o il 30 gennaio o magari –come è forse più probabile- a febbraio, sarebbe molto utile per potersi organizzare. Dal punto di vista pratico, infatti, è difficile immaginare che un privato cittadino –magari il pensionato bisognoso di assistenza- o anche un piccolo imprenditore possa tenersi per settimane o mesi sempre informato giorno per giorno e pronto a scattare ai blocchi di partenza. E questo già spiega in parte perché molti si sentono costretti a rivolgersi ad agenzie varie –con costi spesso elevati e non giustificati dalla complessità della pratica- per assicurarsi il tempestivo inoltro della pratica.
Il decreto, infatti, potrebbe avere come per l’anno scorso efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sebbene nulla impedisca di differirla nel tempo in base ad una diversa ed espressa indicazione contenuta nel decreto stesso. In alternativa, sarebbe importante che il Ministero del Lavoro comunicasse con congruo anticipo l’avviso della cosiddetta “ora x”, cioè indicasse con anticipo in quale data sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto flussi, quindi a partire da quale giorno si potrà inoltrare le domande per l’utilizzo delle quote. Su questo non si hanno indicazioni, come non si hanno indicazioni precise circa eventuali misure di aggiustamento – indispensabili – per evitare la situazione verificatasi l’anno scorso: mentre tutti pensavano di poter inoltrare le domande presso gli uffici postali con apertura alle 8.30, solo alcuni ben informati sono riusciti ad individuare i pochi uffici postali con apertura alle 8.00 dai quali far partire le pratiche (raccolte in gran quantità e con richiesta di cospicui compensi per il servizio), scavalcando così tutti gli altri ed inserendo in questa competizione un elemento di evidente slealtà.
Speriamo che ora questo disguido (per usare un delicato eufemismo) venga evitato ma, per il momento, non ci sono assicurazioni in questo senso.
Sembra che l’azienda Poste Italiane spa (un’azienda privata, quindi libera di organizzarsi come crede) non riesca ad assicurare un’uniformità assoluta di orario sul territorio italiano per il recepimento delle raccomandate. Sarebbe possibile adottare delle misure organizzative per prevenire questo disguido e per garantire l’inoltro ad un’ora uguale per tutti, disponendo ad esempio che gli uffici che aprono alle 8.00 inizino a raccogliere quel tipo di domande solo a partire dalle 8.30; certo, sarà comunque da mettere nel conto la possibilità che queste disposizioni non vengano sempre applicate alla lettera, ma almeno si sarebbe fatto qualcosa di serio per prevenire la maggioranza di questi disguidi, dando un segno di trasparenza indispensabile in questo frangente.
Comunque, indicazioni non ce ne sono. Se dovessimo dare un consiglio all’insegna della prudenza a coloro che non vogliono farsi sfuggire la possibilità di utilizzare le quote, dovremmo dire di prepararsi ad individuare l’ufficio postale che apre alle 8.00, sperando che, magari anche all’ultimo momento, vengano date disposizioni per assicurare che ognuno possa presentarsi all’ufficio postale più vicino per spedire, nell’ambito di una competizione leale e con lo stesso orario di inizio di raccolta delle pratiche, anche la sua domanda. L’anno scorso avevamo fatto un tentativo di verificare l’anagrafe degli uffici postali e quindi l’orario di apertura effettivo di ciascuno di questi, utilizzando il sito dell’azienda poste italiane e ricordo che era “in manutenzione” proprio nella parte relativa all’anagrafe degli uffici postali. Speriamo che questa volta non si ripeta un’analoga fatalità.
Ad ogni buon conto, per fare un esempio, attualmente l’anagrafe degli uffici postali del sito dell’azienda poste italiane è attiva e utilizzando la chiave “cerca uffici postali
” abbiamo provato a cercare l’elenco degli uffici postali della provincia di Genova, fra questi, cliccando su ognuno, abbiamo trovato che l’ufficio di Alpepiana apre alle 8,00.
Ma speriamo che quest’anno non sia necessario ricorrere a questi espedienti…

D’altra parte, se si tiene conto che, in base alle norme comunitarie antitrust, ormai da anni l’azienda Poste Italiane spa non detiene più il monopolio dei servizi postali, si dovrebbe anche considerare la possibilità di inoltro delle domande tramite altre aziende operanti nel settore, la cui validità difficilmente potrebbe essere contestata, se si vuol rispettare il divieto dei monopoli e se si tien conto che l’affidamento in esclusiva di questo servizio alle Poste Italiane spa richiederebbe –sempre in virtù della disciplina comunitaria- lo svolgimento di una gara d’appalto.
A maggior ragione, dunque, la questione dell’orario di partenza dovrebbe essere definita con ampio anticipo rispetto alla operatività del decreto flussi.

Le tipologie delle quote
In base alle anticipazioni fornite dal Ministero del Lavoro si voleva sottolineare il carattere, per così dire, “specialistico” del decreto flussi 2006 ovvero quote mirate per settori di lavoro. Era già stato detto che le quote di ingresso per lavoro subordinato (a tempo determinato e indeterminato) sarebbero state destinate al lavoro domestico, dell’edilizia, al settore delle manifatturiere e della pesca, ma sempre in base alle anticipazioni, in linea teorica, dovrebbero essere stabilite delle quote, in misura più ridotta, anche per gli altri settori non considerati di particolare interesse. La parte più consistente dovrebbe essere destinata al lavoro domestico, senza che ci sia un ulteriore distinzione, e quindi una assegnazione di quote distinte o il riconoscimento di una priorità, per il lavoro di assistenza alle persone inabili; in teoria, l’ampia percentuale che si dice verrà riservata alle quote per lavoro domestico dovrebbe soddisfare sia le necessità di assistenza e sia il più comune fabbisogno di servizi domestici, ma staremo a vedere. Potrebbe anche verificarsi, invece, che proprio il fatto che vi sia larga disponibilità di quote per lavoro domestico, e più scarsa per gli altri settori non specialistici, possa far lievitare il numero di domande per lavoro domestico, magari fittizie. Peraltro, il fatto che il nuovo regolamento di attuazione preveda (art.30 bis, comma 8) di non richiedere più la dimostrazione di un reddito minimo da parte del datore di lavoro (o dei suoi prossimi congiunti) nel caso di assunzione di persone addette all’assistenza, potrebbe di fatto semplificare il ricorso a domande strumentali.
E’ opportuno ricordare al riguardo che la legge finanziaria per l’anno 2005, sia pure ai limitati fini dell’applicazione di benefici fiscali, ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione tecnico-legale della figura professionale dei lavoratori c.d. “badanti” ( si veda il comma 349, lett. B), paragrafo n°3, della legge finanziaria, che aggiunge il comma 4 bis all’art.12 del Testo Unico Imposte sui Redditi), basata sulla prescrizione di una certificazione medica da cui risulti la situazione patologica o di non autosufficienza della persona interessata, ovvero la sua necessità di assistenza continuativa.
Sarebbe bene quindi, nonostante le quote per tale settore riguardino indistintamente sia i c.d. “badanti” che i normali domestici, precisare che per i c.d. “badanti” si prescinde dalla verifica del reddito del datore di lavoro ma, tuttavia, si rihiede adeguata certificazione medica a sostengo della domanda.

Altre quote saranno riservate per l’applicazione dell’art. 23 del T.U. sull’immigrazione per la formazione all’estero di lavoratori stranieri, interessati all’ingresso in Italia (come si vedrà meglio più oltre).
Anche per la conversione del permesso di soggiorno saranno disponibili delle quote, vale a dire che chi è già presente in Italia regolarmente potrà modificare l’attuale pds, che non consente una stabile attività lavorativa, e convertirlo in lavoro subordinato; è il caso del pds per motivi di studio, di tirocinio o formazione professionale.
Sembra che la possibilità di conversione del pds da studio a lavoro subordinato sia limitata a chi possiede un titolo di studio e quindi ha già terminato gli studi. Non è chiaro invece se ciò sarà possibile anche per coloro che hanno il pds per studio ancora in corso di validità ma non hanno ancora terminato gli studi. Per chi è in possesso di un pds per tirocinio o formazione professionale la conversione per lavoro subordinato dovrebbe essere basata unicamente sulla disponibilità di una regolare occupazione. Resta da vedere se l’attività lavorativa dovrà essere offerta dallo stesso datore di lavoro presso il quale si svolgeva il tirocinio oppure anche da uno diverso.

Cosa sono le quote riferite all’art. 23 T.U.?
Il 2006 sarà il primo anno in cui si applica questa nuova disposizione della legge Bossi Fini, per la quale il regolamento di attuazione ha dato una disciplina specifica attraverso l’art. 34.
La legge Bossi Fini, al posto del contenuto originario dell’art. 23 (che prevedeva la possibilità di ingresso in Italia per ricerca occupazione col sistema, cosiddetto, dello sponsor), che è stato abrogato, ha inserito un nuovo testo intitolato “Titoli di prelazione”.
La norma è riferita alla possibilità di formazione professionale nei paesi di origine, di lavoratori stranieri candidati all’ingresso in Italia, quindi ad una successiva procedura per utilizzare le quote di ingresso.
Questa quota è beneficiaria di un particolare vantaggio nell’ingresso dall’estero, meglio specificato dall’art. 34 del (nuovo) regolamento di attuazione del T.U., che tiene conto delle modifiche apportate dalla legge Bossi Fini.
L’art. 23 del T.U. prevede che nell’ambito di programmi – approvati anche su proposta delle regioni e delle province autonome dal Ministero del Lavoro nonché dagli altri ministeri interessati – possano essere previste attività di istruzione e formazione professionale nei paesi di origine.
Questo significa che le organizzazioni degli imprenditori, ma anche gli enti locali, in teoria anche le organizzazioni sindacali od altre associazioni, potranno predisporre dei programmi (eventualmente realizzati anche in concorso con le regioni) e sottoporli all’approvazione del Ministero del Lavoro.
In base a questo, le organizzazioni potranno realizzare all’estero dei programmi di formazione professionale di lavoratori candidati all’ingresso in Italia.
Questo perlomeno è l’obbiettivo principale, anche se poi questa attività formativa potrebbe essere finalizzata anche allo sviluppo delle attività produttive nei paesi d’origine, sia mediante assunzione che in base ad iniziative imprenditoriali o di lavoro autonomo. Questo fa pensare che questi programmi, che dovrebbero incentivare la formazione all’estero di lavoratori, potrebbero essere finalizzati sia ad un successivo inserimento nel mercato del lavoro italiano sia in quello dei paesi di origine, verosimilmente nell’ambito di iniziative imprenditoriali attivate direttamente lì da parte delle stesse organizzazioni o imprese che hanno proposto detti programmi formativi.
Quello che è importante notare è che queste possibilità formative garantirebbero, a chi le organizza e ai lavoratori interessati, una possibilità privilegiata di ingresso nel territorio italiano per motivi di lavoro.

Infatti, all’art 34, comma 7, il regolamento di attuazione prevede che, con decreto del Consiglio dei Ministri di cui all’art 3 comma 4 del T.U. (vale a dire nell’ambito del decreto flussi) “è riservata una quota di ingresso per lavoro subordinato non stagionale ai lavoratori inseriti nell’elenco che abbiano partecipato ad attività formativa nei paesi di origine, anche sulla base delle indicazioni fornite dalle Regioni ai sensi dell’art. 21 comma 4 ter del T.U” (il nuovo testo dell’art. 23). “Qualora si verifichino residui nell’utilizzo della quota riservata, trascorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, la stessa rientra nella disponibilità della quota di lavoro subordinato”.
Poi il comma 9 dell’art 34 dello stesso regolamento prevede che lo stesso decreto flussi può prevedere che “in caso di esaurimento della quota riservata prevista al comma 7, siano ammessi ulteriori ingressi, sulla base di effettive richieste di lavoratori formati ai sensi dell’articolo 23 del testo unico”.
In altre parole, il decreto flussi che si sta preparando prevede espressamente una quota riservata ai lavoratori che hanno partecipato a programmi formativi all’estero. Addirittura, se queste non dovessero bastare e vi fossero più domande rispetto alla disponibilità, è previsto dal regolamento di attuazione che queste quote vengano ampliate in corso d’opera. Ed è previsto che questo possa succedere anche nell’arco di tutto l’anno di riferimento, perché è possibile che durante l’anno si svolgano effettivamente all’estero queste attività formative e che al termine dell’attività formativa sia presentata, pur sempre nel corso dello stesso anno, la richiesta di autorizzazione in base alle quote riservate. Se poi, nel corso dell’anno, le quote non bastassero, il regolamento dice già chiaramente che verranno implementate, fino a soddisfare tutte le domande dei datori di lavoro che vogliono utilizzare personale formato all’estero.

Formazione all’estero: di cosa si tratta?
Nell’ambito delle anticipazioni è stato detto che essenzialmente in questa formazione dovrebbe rientrare un corso di lingua italiana perché, se si prevede l’inserimento di questi lavoratori in Italia, è quantomeno ragionevole una formazione linguistica, ancorché esigua. Non è escluso che, oltre ai corsi di lingua italiana, vi sia anche una formazione su materie strettamente professionali e questo è affidato alla discrezionalità di chi elabora ed organizza questi progetti e li sottopone all’approvazione.
Quello che non è stato chiarito e che difficilmente potrà essere oggetto di un chiarimento effettivo, è chi pagherà per questa formazione.
In linea teorica gli imprenditori – se fossero loro ad organizzare i corsi all’estero – dovrebbero farsi carico di questa attività formativa; non è previsto che ci siano necessariamente contributi pubblici. Sembra che per quest’anno il Ministero del Lavoro, per favorire l’avviamento di questa sperimentazione formativa all’estero, intenda garantire un solido contributo economico a questi progetti per quanto riguarda l’insegnamento –sia pure ristretto nel limite di 60 ore– della lingua italiana. Se ci saranno altre risorse messe in campo dalle Regioni ed enti locali o se dovranno farsi carico dei costi solo gli impenditori direttamente interessati, questo è ancora da vedere e dipende da volontà politiche, anche locali. Immaginiamo che questa sperimentazione avrà diversi modi di esprimersi, che attendiamo di vedere.

E’ chiaro quindi che si sta parlando di quote riservate a ingressi pianificati verosimilmente dal mondo imprenditoriale o da associazioni che potrebbero ad esempio essere interessate ad organizzare ingressi di particolari categorie di lavoratori, magari muniti di specializzazioni non offerte sul mercato del lavoro locale. Ma potrebbe trattarsi anche di lavoratori domestici da inserire nelle famiglie: in linea teorica anche questo è possibile ed un progetto della Caritas veneta, di cui avevamo già parlato, costituiva di fatto una forma di anticipazione di questo esperimento proprio nell’ambito del lavoro domestico. Ecco che quindi si prevede questa specie di “shopping dell’immigrato all’estero” con una formazione che verosimilmente non comporterà un grosso spessore di accrescimento professionale ma più probabilmente una sorta di “sgrezzatura”, per consentire un pronto impiego nel territorio italiano.
E’ certo che di per sé il fatto che sia reso disponibile l’insegnamento della lingua italiana e che magari con l’occasione siano rese disponibili istruzioni sulle essenziali norme di sicurezza sul lavoro non è negativo. Ma l’idea dello “shopping” di lavoratori all’estero – spesso vagheggiata negli ambienti imprenditoriali – ora trova un’occasione di prima sperimentazione con la nuova norma del T.U. e la relativa disposizione contenuta nel regolamento di attuazione.

Per altro, in linea teorica questa disposizione sulla formazione all’estero potrebbe essere combinata con l’utilizzo di un’altra norma, quella che all’art. 27 del T.U. prevede la possibilità – al di fuori delle quote – di autorizzare l’ingresso di lavoratori stranieri finalizzato allo svolgimento in Italia di un’attività di tirocinio formativo in un ambiente di lavoro. Attività che non dovrebbe comportare lo svolgimento vero e proprio di un lavoro subordinato ma che comporta, per le necessità di addestramento, lo svolgimento di attività che sono corrispondenti a quelle del lavoro per cui si vuole imparare il mestiere.
Il confine tra l’attività di tirocinio e l’attività di vero e proprio lavoro subordinato, produttivo di utilità per l’imprenditore, è un confine piuttosto labile, di difficile individuazione sul campo. Certo che, in linea teorica, un vero tirocinio dovrebbe essere un’attività che non comporta un utile per il datore di lavoro ma semmai un costo, perché egli dovrebbe dedicare proprie risorse, personale qualificato e tempo, alla formazione del lavoratore. Le eventuali esercitazioni fatte nell’ambiente di lavoro dovrebbero essere sempre assistite dal cosiddetto tutor o formatore, quindi non comportare in termini di bilancio tra costi e ricavi un utile, ma semmai un costo, per quanto contenuto.
Sarà possibile combinare queste norme sulla formazione all’estero con quelle che consentono di autorizzare, al di fuori delle quote, l’ingresso in qualsiasi momento di un lavoratore per fare un periodo di tirocinio in un’azienda; quindi gli stessi programmi di cui all’art.23 T.U. potrebbero prevedere il completamento del percorso formativo in Italia, per poi passare all’utilizzo delle quote che saranno stanziate per la conversione del permesso di soggiorno da tirocinio formativo direttamente a lavoro subordinato.
Le possibilità saranno essenzialmente due:
– formare all’estero e fare entrare direttamente per lavoro, in base alle quote riservate e in buona sostanza senza limiti, perché se dovessero esaurirsi queste quote saranno ulteriormente messe a disposizione con un provvedimento del governo;
– fare entrare dall’estero lavoratori che eventualmente abbiano anche partecipato a queste esperienze formative , farli entrare al di fuori delle quote per tirocinio e poi utilizzare le altre quote riservate per la conversione da tirocinio a lavoro subordinato.

Questi strumenti, di imminente sperimentazione, dovrebbero in qualche modo rappresentare una possibilità per gli imprenditori e le loro associazioni di fare lo “shopping” all’estero delle figure professionali più o meno qualificate che dovessero interessare.

Staremo a vedere come si svolgerà tutto questo. Ovviamente confidiamo che questi progetti vedano imposta come condizione per l’autorizzazione una certa trasparenza dell’attività di formazione e di selezione che si dovesse svolgere all’estero, onde evitare possibili abusi che potrebbero rischiare di tradursi in forme di sfruttamento dei lavoratori o, addirittura, di taglieggiamento.
La possibilità di entrare in Italia e nei paesi dell’UE per motivi di lavoro è molto ambita e spesso questa possibilità, vera o falsa, viene venduta a caro prezzo da parte di faccendieri senza scrupoli che operano più o meno in tutti i paesi di immigrazione. Da questo punto di vista dovrebbe quindi esserci un controllo quanto mai prudente e puntuale per evitare possibili abusi.