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Decreto legge “stranieri”: sulle espulsioni il Governo disattende la Corte Costituzionale

A cura dell'Asgi - Associazione studi giuridici sull'immigrazione

Il recente decreto legge 241 del settembre 2004 è stato emanato dal Governo al fine di porre rimedio alle censure che la Corte costituzionale, nelle sentenze n. 222 e 223 del luglio 2004, aveva fatto a due “pilastri” della legge “Bossi-Fini”, vale a dire all’espulsione eseguita immediatamente prima della convalida da parte dell’Autorità giudiziaria e all’arresto obbligatorio dello straniero che non abbia eseguito l’ordine del questore, successivo al decreto di espulsione, di lasciare l’Italia entro 5 giorni.
Approfittando della “occasione”, il Governo ha provveduto anche a modificare anche altri profili della legge sull’immigrazione, innanzitutto attribuendo l’intera materia delle espulsioni al Giudice di pace.
Le modifiche introdotte dal decreto n. 241 – in questi giorni all’esame del Parlamento per la conversione in legge – non rispettano, tuttavia, le chiare indicazioni fornite dal Giudice delle leggi per la tenuta costituzionale delle norme relative al trattamento dello straniero, oltre a porre notevoli e gravi dubbi in ordine alla politica legislativa sull’immigrazione.

Cosa ha detto la Corte Costituzionale

A * Sull’espulsione immediata e sul controllo giurisdizionale

Con sentenza n. 222 del luglio 2004 la Corte costituzionale ha preso atto del cambiamento alla disciplina delle espulsioni, attuato con la legge 189/2002 (“Bossi-Fini”), rilevando che se prima la modalità dell’esecuzione immediata del rimpatrio attraverso l’accompagnamento alla frontiera era ipotesi eccezionale, dopo la riforma è diventata modalità ordinaria.
A seguito della legge 189 l’espulsione è, infatti, disposta attraverso quattro provvedimenti, di cui due eventuali: 1) il decreto di espulsione immediatamente esecutivo “anche se sottoposto a gravame”, emesso dal Prefetto (sempre); 2) il provvedimento di accompagnamento immediato alla frontiera, disposto dal Questore (sempre); 3) il provvedimento di trattenimento in un CPT nel caso non fosse possibile l’immediato rimpatrio (eventuale); 4) il provvedimento di intimazione del Questore allo straniero di lasciare l’Italia entro 5 giorni (pena il suo arresto), nel caso non fosse possibile l’immediato rimpatrio né il trattenimento in CPT (eventuale).
Nel sistema così delineato, l’intervento dell’Autorità giudiziaria sui provvedimenti amministrativi avveniene in tre fasi e tempi: verifica della legittimità del decreto espulsivo (entro 60 gg. dalla notifica), convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera (entro 48 ore), ed infine convalida (con altro giudice) dell’eventuale provvedimento di trattenimento in CPT (entro 48 ore).
L’attenzione della Corte si è concentrata sulla prima convalida, quella relativa all’accompagnamento immediato alla frontiera (sul trattenimento in CPT si era già pronunciata), censurando la previsione della Bossi-Fini in forza della quale “il provvedimento di accompagnamento alla frontiera è eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria” in quanto “immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame”.
Richiamando la propria precedente pronuncia n. 105 del 2001 – nella quale aveva affermato che l’espulsione ed il trattenimento sono misure che incidono sulla libertà personale dello straniero e perciò stesso sono soggette alle garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione (riserva di giurisdizione) – la Corte costituzionale ha ritenuto in contrasto con la norma costituzionale l’allontanamento coattivo dello straniero “senza che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della sua libertà personale” in quanto vanifica “la garanzia contenuta nel terzo comma dell’art. 13 Cost. e cioè la perdita di effetti del provvedimento nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera dell’autorità giudiziaria entro le quarantotto ore”.
Secondo la Corte, dunque, il giudice non può intervenire ad espulsione già avvenuta ma il controllo del provvedimento di accompagnamento deve avvenire prima dell’esecuzione e deve essere effettivo, per essere conforme a Costituzione.

La Corte, inoltre, ha anche censurato le disposizioni della “Bossi-Fini” per la violazione del “diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo incomprimibile” in quanto non prevedeva che egli venisse sentito dal giudice della convalida (del provvedimento di accompagnamento), né che fosse assistito da un difensore.
Lo straniero, dunque, non può essere privato delle garanzie difensive.

B * Sul termine di allontanamento entro 5 gg. (a seguito di espulsione) e sull’arresto obbligatorio in caso di inottemperanza.

Con altra sentenza – n. 223 del luglio 2004 – la Corte costituzionale si è pronunciata anche in merito alla previsione della Bossi-Fini dell’arresto obbligatorio dello straniero nel caso in cui, una volta disposta dal Prefetto la sua espulsione immediata e questa non sia eseguibile per impossibilità di disporre il trattenimento in CPT, egli non ottemperi “senza giustificato motivo” all’intimazione rivoltagli dal Questore di allontanarsi dall’Italia entro 5 gg.

L’annullamento della norma operato dalla Corte si è incentrato proprio sull’obbligatorietà dell’arresto a fronte di una mera contravvenzione penale (tale essendo la non ottemperanza all’ordine del Questore), ipotesi non prevista, in generale, dall’ordinamento giuridico, e l’ha ritenuta incostituzionale in quanto misura di polizia “fine a sé stessa”, non finalizzata ad alcuna esigenza processuale e senza rapporto di strumentalità con il provvedimento di espulsione.

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Con le due sentenze sopra indicate la Corte costituzionale ha, dunque, censurato, perché non compatibile con la salvaguardia dei diritti fondamentali, la stessa concezione politica sottesa alla legge “Bossi-Fini”, che vorrebbe affidare di fatto in via esclusiva all’autorità di pubblica sicurezza, senza contraddittorio e senza effettivo controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria, la possibilità di incidere sulla libertà personale dello straniero, allontanandolo se ritenuto non meritevole di soggiornare in Italia.

Come e’ intervenuto il Governo con il decreto legge 241

Con l’emanazione del decreto legge 14 settembre 2004 n. 241 – adottato al dichiarato scopo di adeguare la disciplina delle espulsioni ai rilievi mossi dalla Corte – il Governo da un lato ha colto innanzitutto l’occasione per sottrarre al sindacato dei giudici togati l’intera materia delle espulsioni e dall’altro ha certamente disatteso le prescrizioni costituzionali sul diritto di difesa dello straniero.
Nell’insieme, inoltre, le nuove norme non si sottraggono a forti dubbi di incostituzionalità, in quanto se è vero che oggi è previsto un controllo giurisdizionale preventivo all’esecuzione dell’espulsione, è rimasta comunque intatta la struttura complessiva del sistema espulsivo, nel quale l’allontanamento immediato è disposto in via ordinaria dall’autorità di pubblica sicurezza, mentre il sistema di garanzie delineato dall’art. 13 Cost. riserva all’autorità amministrativa il potere di incidere sulla libertà personale solo in via eccezionale, attribuendo, invece, in via principale all’autorità giudiziaria detto potere (cd. riserva di giurisdizione).

Vediamo, in sintesi, quali sono le più evidenti perplessità e violazioni del decreto legge.

A * La competenza del Giudice di pace: è rispettata la cd. “riserva di giurisdizione” di cui all’art. 13 Cost.?

Preliminarmente è bene ricordare che sia l’espulsione, che l’accompagnamento coattivo alla frontiera, che il trattenimento nei CPT, sono state definite dalla Corte costituzionale (sentenze n. 105/2001 – 170/2002 – 222 e 223/2004) misure che incidono sulla libertà personale dello straniero, e perciò stesso assoggettate necessariamente al controllo giurisdizionale da parte dell’autorità giudiziaria, secondo le previsioni di cui all’art. 13 Cost.
Il DL 241/2004 assegna in via esclusiva al Giudice di pace la competenza dell’intera materia delle espulsioni (decreto prefettizio, decreto di accompagnamento, decreto di trattenimento).
Siffatta attribuzione fa sorgere notevoli dubbi innanzitutto per quanto riguarda la qualificazione del Giudice di pace quale “autorità giudiziaria” così come prevista dagli artt. da 101 a 110 della Costituzione, da cui derivano, conseguentemente, i dubbi sul suo potere di accertare la legittimità dell’espulsione e delle sue modalità esecutive, misure tutte che incidono sulla libertà personale dello straniero.
Nel definire l’ordinamento giurisdizionale, la Costituzione si è preoccupata di individuare un “nucleo forte” di qualificazioni della magistratura – quali l’indipendenza da ogni altro potere, l’assoggettamento alla sola legge, la nomina attraverso concorso pubblico, l’inamovibilità, ecc. – in modo tale da renderla indipendente da ogni altro potere.
Tali caratteristiche non sono proprie del Giudice di pace, il quale, a differenza dei magistrati togati, non ha un inquadramento organico, viene selezionato e non nominato, ha un incarico temporaneo ed è soggetto a conferma: elementi tutti che fanno fortemente dubitare che possa essere qualificato “autorità giudiziaria” nel senso costituzionale del termine.
Del resto, è lo stesso legislatore ordinario che, nell’estendere la competenza penale per reati minori al Giudice di pace, ha escluso che lo stesso possa disporre della polizia giudiziaria (come previsto dall’art. 109 Cost.) e che possa comminare pene che comportino misure limitative della libertà personale.
Ma se l’art. 13 Cost. attribuisce alla sola autorità giudiziaria il potere di disporre le restrizioni alla libertà personale (previste dalla legge), se il Giudice di pace non può essere qualificato “autorità giudiziaria”, e se questi comunque non può incidere, in generale, sulla libertà personale, è evidente che non può legittimamente essergli attribuita alcuna competenza in materia di espulsioni, proprio perché questa afferisce alla libertà personale dello straniero.
Peraltro, anche se si ammettesse il potere del Giudice di pace di incidere sulla libertà personale dello straniero, verificando la legittimità delle espulsioni e delle sue modalità esecutive, si attuerebbe un ingiustificato trattamento discriminatorio a danno dello straniero, in quanto tale potere non è ammesso per il cittadino, con violazione dell’art. 3 Cost.

2) Il nuovo procedimento di convalida dell’accompagnamento e del trattenimento: quale diritto di difesa?

La sentenza n. 222/2004 della Corte costituzionale ha affermato che la convalida, sia dell’accompagnamento coattivo alla frontiera che del trattenimento in CPT, deve essere preventiva all’esecuzione dell’espulsione e richiamando la propria precedente sentenza n. 105 del 2001 ha anche ribadito che il controllo giurisdizionale deve essere non formale e cartolare ma effettuato “nella sua accezione più piena, secondo quanto imposto dal precetto costituzionale di cui all’art. 13 Cost.”, ovverosia con verifica dei presupposti stessi.
Il DL ha senz’altro previsto che la convalida sia attuata preventivamente ma ha disatteso completamente il precetto costituzionale sopra richiamato e le garanzie di difesa dello straniero, in quanto ha ambiguamente previsto che la convalida dell’accompagnamento avvenga “con decreto motivato ….verificata la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo”: ciò significa, astrattamente, che il giudice deve verificare tutti i presupposti dell’accompagnamento (o del trattenimento), tra i quali anche l’espulsione stessa ma in concreto essa non sarà effettivamente possibile in quanto:
– Il DL ha semplicemente previsto la “partecipazione necessaria del difensore”, senza precisare quale sia detto difensore, se di fiducia o d’ufficio: in tale ultimo caso manca la previsione espressa e dunque l’obbligatorietà della chiamata attraverso le liste predisposte dagli Ordini forensi, così come manca la previsione del compenso attribuito al difensore d’ufficio;
– non si dice che il difensore possa accedere agli atti del fascicolo (sulla base del quale il Giudice convaliderà o meno) prima della Camera di consiglio, ciò che incide sulla effettività dell’esercizio dell’azione difensiva, costituzionalmente garantita, che dunque appare formale;
– quanto alla partecipazione dello straniero è prevista ma solo “se comparso”: non è, dunque, obbligatoria la sua presenza ma lasciata alla discrezione di non si sa bene chi (l’interessato? il giudice? la polizia?). In ogni caso, l’ambiguità della formulazione esclude che possa essere nulla la convalida adottata senza la presenza dello straniero.

Soprattutto la mancata previsione della necessaria presenza dello straniero suscita forti dubbi sulla tenuta costituzionale del DL 241, se si considera che i rapidi tempi del giudizio dal momento della notifica (entro 48 il decreto di accompagnamento va trasmesso al giudice, il quale convalida o meno nelle successive 48 ore), la previsione formale ed ambigua dell’assistenza di un difensore, si sommano – nel giudizio di convalida dell’accompagnamento alla frontiera – al fatto che il Giudice può essere diverso da quello della convalida del trattenimento in CPT, in quanto nessuna norma prevede che i due giudici coincidano, quantomeno sotto il profilo territoriale.
Lo straniero, infatti, può essere oggetto di decreto di espulsione e di decreto di accompagnamento da un prefetto e da un questore di una certa città – ed il giudice “territorialmente competente” è di quella città -, mentre può essere trattenuto in un CPT di un’altra città, ed il giudice della convalida del trattenimento è di quella diversa città, non essendoci nel DL chiare indicazioni di quale sia il giudice territorialmente competente per quest’ultima convalida.
Il DL, infatti, ha espressamente escluso che il Giudice del trattenimento in CPT abbia il potere di verificare – in sede di convalida – se lo straniero sia trattenuto presso il CPT “più vicino”, come previsto dall’art. 14, co. 1, del TU immigrazione, elemento che, dunque, non è più essenziale ai fini della convalida e pertanto è possibile che lo straniero venga trattenuto in un CPT lontano dal luogo ove avviene la convalida degli altri due provvedimenti che lo riguardano (espulsione e accompagnamento immediato alla frontiera).
In tali ipotesi – affatto rare – lo straniero non potrà mai chiedere e soprattutto ottenere di essere sentito da un giudice territorialmente collocato lontano, con evidente violazione del suo diritto di difesa e delle chiare indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, che, invece, ha censurato l’art. 13-bis del TU immigrazione anche nella parte in cui “non prevede che questi [ndr: lo straniero] debba essere ascoltato dal giudice, con l’assistenza di un difensore” (sent. n. 222/2004).

Senza l’audizione dello straniero, neppure il difensore potrà mai svolgere adeguatamente la propria azione difensiva, non potendo conoscere tutti gli elementi che possano contrastare la legittimità del decreto di espulsione e/o dell’accompagnamento coattivo alla frontiera.
Evidente è la violazione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

E’ significativo, peraltro, che le disposizioni sopra descritte – introdotte dal DL 241 – siano state estese anche al giudizio di convalida del trattenimento, che nella precedente formulazione aveva certamente maggiori garanzie in quanto prevedeva espressamente che il giudice sentisse l’interessato (art. 14, co. 4, ora sostituito dal DL 241), a conferma che il Governo non intende assolutamente adeguarsi alle prescrizioni della Corte costituzionale, preferendo assoggettarsi ad un nuovo probabile giudizio di costituzionalità, ma continuando nelle more ad espellere gli stranieri in assenza di qualsivoglia garanzia e tutela.

3) Violazione della riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost.

Il terzo, ma forse più incisivo profilo, riguarda la perpetuazione di una grave violazione del disposto costituzionale di cui all’art. 13 Cost. nella parte in cui riserva all’autorità giudiziaria il potere di disporre misure restrittive della libertà personale (indistintamente per cittadini o stranieri).
Già si è ricordato che la Corte costituzionale riconosce l’espulsione, l’accompagnamento coattivo alla frontiera ed il trattenimento nei CPT come misure che incidono sulla libertà personale dello straniero, e perciò stesso assoggettate all’ambito di applicazione di cui all’art. 13 Cost.
Detta norma costituzionale prevede che sia l’autorità giudiziaria a provvedere, in via ordinaria, all’adozione di tali misure (comma 1), residuando in capo alla pubblica sicurezza di adottare provvedimenti provvisori ma solo “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”.
Nel sistema espulsivo della legge Bossi-Fini si assiste ad un fenomeno totalmente opposto, in quanto l’accompagnamento immediato alla frontiera, disposto dalla PS, è la forma ordinaria di esecuzione di tutte le espulsioni (con pochi ed isolati casi), ciò che di per sé esclude l’ipotesi eccezionale e dunque la legittimità del potere della pubblica sicurezza di adottare siffatti provvedimenti di limitazione della libertà personale dello straniero.
Inoltre, le ipotesi espulsive non sono assolutamente tassative, in quanto il Prefetto ha potere discrezionale di valutare sia quando sia a quali condizioni espellere lo straniero, anche colui che proviene da una situazione di regolarità.
E’, dunque, il sistema espulsivo in sé ad essere incostituzionale ed è su questo aspetto che il DL tace e che renderà, pertanto, necessario l’intervento della Corte costituzionale, che completando un virtuoso percorso iniziato con la nota sentenza n. 105 del 2001 dovrà necessariamente censurare la vigente normativa in materia di espulsioni.