Durante il giornale radio RAI di venerdì 22 aprile il direttore del Centro per richiedenti asilo (CARA) di Salina Grande ( Trapani) ha ammesso che in una parte della struttura sono trattenuti numerosi cittadini tunisini giunti in Italia dopo il 5 aprile e destinati con tutta probabilità ad essere respinti con modalità che appaiono illegittime e sommarie verso il loro paese di origine. All’interno della struttura vi sarebbero anche altri tunisini in attesa del permesso di soggiorno temporaneo perchè giunti magari qualche ora prima del fatidico 5 aprile, oltre a richiedenti asilo di varie etnie, da lungo tempo in attesa di completare l’iter per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il trattenimento di persone a scopo di espulsione in strutture che dovrebbero praticare accoglienza e dalle quali deve essere possibile uscire e rientrare si pone in contrasto con quanto previsto dalla legge e dalle direttive comunitarie, in assenza di decreti ministeriali che definiscano la natura di centro di identificazione ed espulsione anche per la struttura ubicata a salina Grande. Ed ancora più gravi ed in violazione delle garanzie procedurali minime previste dalla legge e dalla direttiva 2008/115/CE sono le procedure di trasferimento dei migranti tunisini da Trapani, come da altre città italiane, verso la Tunisia. Sono forse queste le ragioni per le quali la polizia, senza troppi complimenti, allontana i cittadini solidali che vogliono fornire assistenza legale ai migranti prima del loro rimpatrio. Un comportamento evidentemente intollerabile per chi opera da settimane al di fuori dello stato di diritto, come è successo prima a Lampedusa, e come succede adesso in varie parti d’Italia..
Dopo i rimpatri sommari effettuati a partire dal 6 aprile direttamente da Lampedusa verso Tunisi, dal 20 aprile le autorità di polizia hanno cominciato ad eseguire misure di allontanamento di diverse decine di cittadini tunisini, trasferiti con autobus da Trapani dall’aeroporto di Palermo. Forse le autorità consolari tunisine hanno potuto effettuare con maggiore facilità i riconoscimenti richiesti per la riammissione in patria dei cittadini tunisini arrivati o presenti irregolarmente in Italia. Nella serata dello stesso giorno alcuni di loro ( almeno 8), giunti in autobus da Trapani, venivano ricoverati in diversi ospedali di Palermo, probabilmente dopo atti di autolesionismo, o percosse ricevute, prima dell’imbarco sull’aereo che li avrebbe ricondotti in patria. Gli stessi sono stati successivamente dimessi alle due di notte e, sempre sotto stretto controllo di polizia, sono stati accompagnati verso località sconosciute, senza che potessero esercitare i più elementari diritti di difesa. Attraverso i mezzi di informazione è inoltre in corso una sistematica campagna che tende ad accreditare un immagine negativa dei migranti tunisini ed a criminalizzare ogni loro tentativo di fuga, spesso da strutture che non sono gestite in conformità alle previsioni di legge e nelle quali si verificano limitazioni arbitrarie della libertà personale.
L’art. 13 della Costituzione e gli articoli 10, 13 e 14 del Testo Unico sull’immigrazione stabiliscono precise garanzie in favore dei migranti irregolari nelle diverse fasi di allontanamento forzato dal territorio. Tutti hanno diritto alla notifica di un provvedimento scritto in una lingua che possano comprendere o in una lingua veicolare, con la indicazione dell’autorità giudiziaria presso la quale presentare un ricorso, e dunque esiste un preciso diritto al controllo da parte del giudice sulla legittimità del provvedimento di allontanamento forzato, ed alle modalità ed ai tempi del trattenimento amministrativo in vista del respingimento differito o dell’espulsione.
il trattenimento degli stranieri nei C.I.E. è finalizzato a dare esecuzione alle espulsioni, come si evince dalla rubrica dell’art. 14 T.U. che lo disciplina ed è possibile solo nelle strutture all’uopo previste, salvi i casi di primo soccorso ed assistenza.
Il trattenimento è disposto con decreto dal questore – cui spetta dare esecuzione a tutti i provvedimenti espulsivi- quando non sia possibile dare immediata esecuzione ai provvedimenti ablativi per uno o più dei seguenti motivi indicati tassativamente all’art. 14, co. 1, T.U.:
– 1.perché occorre procedere al soccorso dello straniero;
– 2. perché occorre procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità e nazionalità;
– 3. perché occorre procedere all’acquisizione di documenti per il viaggio;
per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo.
Nessun trattenimento può essere disposto per motivi diversi da quelli previsti dalla legge. L’art. 20 D.P.R. 394/99 prescrive che :
– il decreto di trattenimento sia comunicato all’interessato a mani proprie e sia adottato in forma scritta e motivata, con traduzione in lingua conosciuta;
– il trattenuto deve essere informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia o, in difetto, d’ufficio, e che le comunicazioni saranno effettuate presso il difensore;
– il trattenimento non può essere protratto oltre il tempo strettamente necessario alla rimozione degli ostacoli che si frappongono all’esecuzione dell’espulsione ( tassativamente previsti dall’art. 14 T.U.); oggi questo termine è di 180 giorni, salva la possibilità di una rimessione in libertà con l’intimazione a lasciare entro 5 giorni il territorio ( il cd. foglio di via).
– il trattenuto non ha lo status di detenuto, tant’è che se fugge non commette il reato di evasione, tuttavia è impedito l’esercizio della sua libertà personale,e, se si allontana dal centro la forza pubblica ha il dovere di ripristinare la misura restrittiva.
A seguito della fondamentale sentenza 105/2001 della Corte costituzionale è principio pacifico che il trattenimento è misura che incide sulla libertà personale ( e non solo di circolazione), sicchè soggiace alla disciplina dettata dall’art. 13 co. 2 e 3 Cost. che prevede il rispetto di due principi fondamentali: la riserva di legge e la riserva di giurisdizione.
Anche alla luce dell’indirizzo del giudice costituzionale espresso con le note sentenze n. 222 e 223 del 2004, appare dunque illegittima la prassi attualmente seguita dalle autorità di polizia che eseguono accompagnamenti in frontiera, via aereo, da Lampedusa e più recentemente da Palermo,sulla base di provvedimenti di respingimento differito adottato dal Questore in base all’art. 10 comma 2 del T.U. n.286 del 1998, o forse anche di decreti di espulsione adottati dal Prefetto nei casi previsti dall’art. 13 del medesimo T.U. 286/98. Tali provvedimenti non vengono comunque tempestivamente notificati gli interessati prima dell’avvio delle operazioni di allontanamento forzato, al punto che agli stessi viene sistematicamente nascosta la destinazione finale ( Tunisia) dei trasferimenti ai quali vengono sottoposti, con evidente limitazione della libertà personale e con totale privazione di tutti i diritti da riconoscere alle persone soggette al rimpatrio forzato, in base agli artt.13 e 24 della Costituzione, al Regolamento delle frontiere Schengen n.562 del 2006, che impone la notifica di provvedimenti individuali, della direttiva sui rimpatri n. 2008/115/CE, che limita i casi di rimpatrio forzato, e persino del diritto interno vigente, che presuppone quanto meno la tempestiva adozione e notificazione di provvedimenti formali di allontanamento forzato. Inoltre molte norme in materia di respingimento differito e di espulsione amministrativa risultano oggi in contrasto con questa Direttiva comunitaria e dunque non sarebbero più applicabili, come stabilito dalla prevalente giurisprudenza italiana.
Va inoltre sottolineato come, nelle more dell’esecuzione delle operazioni di allontanamento forzato, gli immigrati tunisini siano trattenuti in strutture diverse, di carattere provvisorio, come palestre, magari all’interno di strutture aperte definite CARA, come a Trapani nella struttura di Salina Grande, oppure al altri luoghi, come hangar portuali o edifici pubblici a varia destinazione, come la Stazione marittima di Lampedusa, prive dei caratteri e delle garanzie procedurali dei centri di identificazione ed espulsione e degli stessi istituti penitenziari, dove pure possono essere detenuti in casi particolari gli immigrati irregolari prima dell’espletamento delle procedure di rimpatrio forzato. In questo ultimo periodo la detenzione amministrativa, fino ad un limite di una settimana, si è realizzata persino a bordo di grandi navi da crociera, trasformate all’uopo,in una sorta di centro di detenzione galleggiante, come la nave Excelsior, in crociera “detentiva” tra vari porti del Mediterraneo ( Lampedusa, Catania, Napoli, Civitavecchia, Trapani) dal 12 al 19 aprile.
Nei confronti degli immigrati tunisini sottoposti a rimpatrio forzato sono commesse dunque gravi violazioni delle garanzie minime previste per gli stranieri soggetti alle procedure di allontanamento forzato, violazioni consentite, in parte, dalla genericità delle previsioni di legge che dilatano a dismisura la discrezionalità amministrativa in una materia delicata come quella che tocca la libertà personale delle persone. Vengono qui in rilievo numerosi aspetti dei quali dovrebbe occuparsi anche la Corte Costituzionale, ammesso che finalmente si riescaa presentare un ricorso contro un provvedimento di respingimento differito adottato dal Questore. La rapidità di esecuzione delle misure di respingimento “differito” impedisce spesso la proposizione di un ricorso e persino il contatto tra i migranti in fase di allontanamento forzato e gli avvocati.
Si osserva da tempo come la previsione dell’immediata esecutività del provvedimento di respingimento differito adottato dal Questore o del decreto prefettizio di espulsione dello straniero, anche in pendenza di ricorso, e l’assenza di strumenti cautelari di garanzia della libertà personale rispondente agli indirizzi garantistici indicati dal giudice costituzionale per l’effettiva tutela giurisdizionale dell’immigrato, si risolve in uno svuotamento sostanziale dei diritti di difesa, reso ancora più eclatante dalla interdizione, frapposta dalle autorità di polizia, di qualunque informazione che potesse raggiungere gli immigrati in corso di allontanamento forzato, come la indicazione dei mezzi di ricorso o di un avvocato. Tentare di fornire queste informazioni fondamentali, secondo qualche questore, integra persino gli estremi della “sobillazione” di immigrati in corso di allontanamento, forse una nuova fattispecie penale che il governo si appresta a varare.
Le operazioni di allontanamento forzato delle autorità di polizia vengono così eseguiti in carenza dei provvedimenti e delle cadenze procedurali prescritti dalla legge e dalle normative comunitarie, normative che risultano direttamente vincolanti anche in Italia, dopo che questo paese ha fatto scadere il termine ultimo ( 24 dicembre 2010) per la attuazione della Direttiva sui rimpatri n. 2008/115/CE.
Anche quando “alla fine” ricorrono provvedimenti formali, consegnati magari al omento dell’imbarco sul volo di rimpatrio, le modalità di applicazione delle procedure di allontanamento forzato praticato dalle autorità italiane verso la Tunisia, siccome non rispettose dei principi comunitari e costituzionali in materia di garanzie da riconoscere anche agli immigrati irregolari, confermano e rafforzano l’illegittimità costituzionale degli artt. 10 comma 2 ( in materia di respingimento cd. differito) e e 13, commi 3° ed 8° ( in materia di espulsione) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286, come modificato dal d.l. 14.09.2004, n. 241, entrambi in riferimento all’art. 24 della Costituzione, laddove e’ prevista l’esecutorietà immediata del decreto di respingimento o di espulsione prefettizia, ancorché sottoposti a gravame od impugnativa, soprattutto nella parte in cui non si prevede l’adozione di provvedimenti cautelari di sospensione, a seguito della proposizione di un ricorso.
Né può assumersi che queste macroscopiche violazioni delle più elementari norme in materia di garanzie della libertà personale, dettate anche in favore degli immigrati irregolari dall’art.13 e 24 della Costituzione italiana, dal Regolamento comunitario sulle frontiere Schengen n. 526 del 2006 e dalla direttiva sui rimpatri n.2008/115/CE, possano ritenersi giustificabili sulla base degli accordi intercorsi con la Tunisia dal 1998 ad oggi. Gli accordi bilaterali tra stati non possono derogare la legislazione interna, i principi costituzionali e le Convenzioni internazionali a garanzia dei diritti fondamentali della persona.
L’accordo con la Tunisia concluso direttamente dal ministro degli interni Giorgio Napolitano entrava in vigore nell’estate del 1998, ben prima della pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale che avveniva solo nel gennaio del 2000.. Seguivano nel dicembre del 1999 istruzioni del governo ai prefetti di dedicare una particolare “attenzione” ai migranti in condizione di irregolarità presenti nel territorio italiano, soprattutto dopo la chiusura della sanatoria del 1998, ai fini di un loro rimpatrio. La disperazione ed i tentativi di suicidio o gli atti di autolesionismo nei centri di detenzione italiani, allora come oggi, non si contarono più anche perchè la legge 40 del 1998 non prevedeva un controllo effettivo da parte del giudice sulle misure di allontanamento forzato.
Pochi mesi dopo, nel dicembre del 1999, si verificava a Trapani, nel centro di detenzione Serraino Vulpitta, la più grave tragedia dell’immigrazione clandestina nei CPT italiani, e sei migranti, anche per il colpevole ritardo dei soccorsi, nel rogo appiccato alle suppellettili di una stanza, proprio alla vigilia dell’esecuzione delle misure di allontanamento forzato. Non adesso altre simili tragedie si ripetano, dopo l’inasprimento degli accordi di riammissione con la Tunisia.
Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15.01.2000 (n. 14), relativo agli atti internazionali entrati in vigore per l’Italia nel periodo 16.09.1999-15.09.1999, non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica, tra gli altri, venivano pubblicati i testi dell’ intesa di riammissione delle persone in condizione di irregolarità stipulati tra il governo italiano con la Tunisia. In realtà, all’inizio, non si trattava di un vero e proprio accordo di riammissione, come quelli poi conclusi nel 2007 con l’Egitto e nel 2008 con la Libia, ma di uno “Scambio di note tra l’Italia e la Tunisia concernente l’ingresso e la riammissione delle persone in posizione irregolare” con il quale si prevedevano supporti tecnici ed operativi e contributi economici ( 15 miliardi di lire per tre anni) , ed in particolare un contributo di 500 milioni di vecchie lire per ” la realizzazione in Tunisia di centri di permanenza”.
A partire da quello “Scambio di note”, successive intese hanno perfezionato le procedure di rimpatrio forzato di cittadini tunisini irregolari, da ultimo quelle concluse con un verbale scritto dopo la lunga missione di Maroni a Tunisi poche settimane fa.
Durante la dittatura di Ben Ali’ la Tunisia si è dotata di numerose strutture di trattenimento coatto, più segrete di quelle libiche, ben oltre il modesto contributo annunciato allora dal Governo italiano e la maggior parte dei centri di detenzione amministrativa per immigrati irregolari era ubicata in località che nessun estraneo ha mai potuto raggiungere e documentare. Rimane da verificare, dopo la fuga di Ben Alì e lo scioglimento dei corpi di polizia quale è la sorte dei migranti rinchiusi in quelle strutture o che vengono rimpatriati dall’Italia.
La collaborazione tra la Tunisia di Ben Alì e l’Italia è andata avanti per anni, con diversi governi, con soddisfazione di entrambe le parti, e nel 2008 questi accordi hanno consentito il rimpatrio forzato di molti giovani protagonisti della rivolta di Redeyef, che dava il via a quei movimenti di protesta che sono culminati poi con la “rivoluzione dei gelsomini” e con la destituzione del dittatore. Negli scorsi anni decine di oppositori di Ben Alì sono stati rimpatriati e consegnati dalle autorità italiane alla polizia tunisina negli anni passati, quando venivano immediatamente arrestati e messi sotto tortura, malgrado diverse pronunce di tribunali italiani e della stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Adesso, se la situazione interna in Tunisia appare diversa rispetto al passato, tra molte ombre e contraddizioni evidenti, non sembra che il governo provvisorio tunisino abbia mutato la politica di riammissione dietro lo “scambio” di vantaggi economici che era stata seguita in precedenza da Ben Alì. Anzi le ultime missioni del ministro Maroni e di Berlusconi a Tunisi sembrano confermare la “disponibilita’” del nuovo governo provvisorio tunisino a “riprendersi”, con operazioni di rimpatrio sommario, un numero indeterminato di tunisini giunti irregolarmente in Italia prima del 1 gennaio 2011 o dopo il 5 aprile dello stesso anno, come previsto nei decreti d’urgenza adottati dal governo italiano dopo la proclamazione dello stato d’emergenza. Uno stato di emergenza proclamato prima per lo “straordinario” afflusso di migranti in Italia e successivamente, dopo la bocciatura dell’emergenza Italia da parte dei governi europei, “ a fronte dell’eccezionale situazione di carattere umanitario” determinatasi nei paesi del Nord-Africa…. Uno stato di emergenza che ha giustificato il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari fino al 5 aprile, ma che improvvisamente sembra cessato allo scadere di quella data, come se in quelle regioni si fosse miracolosamente verificata una pacificazione di cui nessuno ha però notizia. Se qualcuno in Tunisia ha pensato di barattare il rilascio di qualche migliaio di permessi di soggiorno temporanei con la riammissione di una parte di coloro che sono giunti prima di gennaio o dopo il 5 aprile di quest’anno, potrebbe avere sbagliato i conti, perché la detenzione arbitraria, spesso in condizioni disumane, ed i rimpatri sommari gestiti dall’Italia non potranno che produrre una generale disillusione tra le giovani generazioni protagoniste della svolta democratica e di certo altra disoccupazione in quel paese, in una difficile fase di transizione dagli esiti ancora imprevedibili.