Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Diario dal Cpt Via Corelli a Milano, dallo sciopero alla rivolta.

Aggiornato fino all'11 luglio 2008

Luglio 2008

Sabato 5 luglio: in mattinata, i detenuti di Corelli fanno sapere, telefonando a un compagno del Comitato antirazzista, che hanno proclamato lo sciopero della fame in tutte le sezioni del Centro di detenzione. Chiedono la loro libertà e denunciano le condizioni della loro detenzione. Chiedono inoltre che si diffonda la notizia attraverso i mass-media. Da fuori, noi del comitato telefoniamo ad alcune radio e giornali che cominciano a diffondere la notizia anche con alcune interviste telefoniche dentro al centro. Nel pomeriggio, mentre ci prepariamo per un presidio davanti al centro, veniamo a sapere dai detenuti che la prefettura di Milano ha chiesto di incontrare una loro delegazione. Nell’incontro, la delegazione ribadirà la richiesta della libertà e la volontà di continuare lo sciopero della fame, per questo il colloquio sarà brevissimo.

In serata, alcune decine di militanti antirazzisti, si presentano davanti all’ingresso del Cpt per un presidio di solidarietà e sostegno alla protesta. Slogan, rumorose battiture con le pietre sul guard rail e uno striscione “chiudiamo i CPT, libertà per tutti” appeso sul cavalcavia della
tangenziale, hanno caratterizzato l’iniziativa. Dai numerosi scambi telefonici con l’interno è emerso che la polizia, in tenuta antisommossa, era entrata nei corridoi delle sezioni con chiaro
intento intimidatorio, e che una ragazza egiziana che protestava è stata
malmenata. Veniamo a sapere da alcuni avvocati e anche da alcune testimonianze dal Centro che svariati sono i casi di immigrati detenuti nonostante la non convalida del trattenimento, che alcuni sono in possesso di permesso di soggiorno in altri paesi d’Europa, e, soprattutto, che molti
sono i lavoratori in nero prelevati direttamente sul posto di lavoro. Ma i detenuti denunciano anche le condizioni della detenzione: cibo scarso e scadente, condizioni igieniche pessime, continue intimidazioni e maltrattamenti da parte della polizia, nessuna attenzione per le cure mediche (ai malati di AIDS non vengono somministrati i farmaci appropriati), continue espulsioni
addirittura in paesi diversi da quelli di provenienza. Mentre è in corso l’iniziativa, i detenuti chiedono un incontro con una delegazione dei presenti al presidio, negata al momento dalla prefettura, e rinviata a lunedì.

Domenica 6 luglio: Sempre in mattinata cominciano le prime telefonate per avvisarci che lo sciopero continua. Nel corso del pomeriggio, la situazione dentro al centro si fa più surriscaldata: un detenuto in sciopero della fame sviene e viene portato in infermeria, mentre nella sua sezione comincia una forte protesta che diventa più intensa quando la Croce rossa, gestore del centro, si rifiuta di chiamare l’ambulanza per ricoverarlo all’ospedale. Noi, da fuori, improvvisiamo un altro presidio e verso le 20.30, due ore dopo le prime chiamate che ci avvisavano dell’episodio, vediamo arrivare l’ambulanza che riparte verso l’ospedale scortata da alcune macchine della polizia.

Lunedì 7 luglio: Al mattino i detenuti chiamano per aggiornarci sulla situazione.
Lo sciopero della fame, dopo tre giorni, continua in tutte le sezioni, nonostante i tentativi intimidatori di Polizia e Croce Rossa, e le pessime condizioni sanitarie di molti detenuti (in particolare i “trans” a cui vengono negati i farmaci retro-virali).
Durante la giornata diverse persone sono svenute senza ricevere nessun tipo di soccorso.
Dall’interno giungono telefonate allarmate per la situazione con forte richiesta di divulgare la notizia e ricevere una delegazione del comitato.
Al centro di detenzione arrivano nuovi detenuti (tra cui una donna tunisina, pesantemente picchiata in Questura, e privata poi di ogni cura medica).
Alle 19, una cinquantina di militanti antirazzisti partecipano al presidio convocato dal Comitato antirazzista, ma si ritrovano davanti un pesante cordone dei Carabinieri e non riescono quindi a raggiungere il Cpt.
All’interno aspettano l’evolversi degli avvenimenti, continuando a denunciare quanto sta accadendo e rendendo pubbliche le loro rivendicazioni. La prefettura, nel frattempo, nega alla delegazione del Comitato l’accesso al centro e l’incontro con i detenuti. In contemporanea con il presidio a Milano, si sono svolti i presidi al centro di detenzione di Corso Brunelleschi, a Torino, e davanti al centro di Bologna.

Martedì 8 luglio: Quarto giorno di sciopero della fame. Il centro di detenzione rimane blindato per l’intera giornata. La stradina che porta all’ingresso del centro è bloccata, sino a notte inoltrata, da un cordone di camionette dei carabinieri, macchine della polizia, funzionari della digos. Nessuna possibilità di avvicinarsi al Centro da parte dei militanti del comitato. Continuano, invece, i contatti telefonici con i detenuti delle varie sezioni, sempre in sciopero della fame. I detenuti ribadiscono la loro volontà di proseguire la lotta e chiedono con insistenza un incontro con una delegazione del Comitato antirazzista, che la Prefettura continua a negare. Vengono, invece, portati in Questura, per un’ennesima identificazione e intimidazione i detenuti che hanno avuto contatti con i mezzi di comunicazione. Alcuni di essi, nel corso della giornata, vengono trasferiti in altri centri di detenzione italiani. Nonostante i malori che si sono susseguiti durante tutta la giornata, la Croce rossa non ha chiamato alcuna ambulanza e non ha proceduto ad alcun ricovero all’ospedale.
In tarda serata i detenuti, in concomitanza con un segnale di saluto del comitato, forzatamente da lontano, ma comunque rumoroso e visibile, escono tutti contemporaneamente nei cortili delle varie sezioni per rivendicare la loro libertà.

Mercoledì 9 luglio: La macchina Corelli è in funzione per far ritornare la “normalità” all’interno del Centro. Dalle telefonate ai detenuti, nel pomeriggio, apprendiamo che alcuni di loro, tra i più determinati nel proseguire la protesta e farla conoscere all’esterno, sono stati espulsi. Continua, comunque, l’agitazione nelle varie sezioni.

Giovedì 10 luglio: Oggi il passaggio della stradina che porta all’ingresso del Centro è sorvegliato, ma non più blindato. Per questo, nel pomeriggio, alcuni militanti del Comitato antirazzista si sono ritrovati all’ingresso del centro, durante l’orario di visita.
Il colloquio tra i detenuti e la nostra delegazione continua ad essere negato dalla prefettura, nonostante alcuni detenuti continuino a rifiutare il cibo della Croce rossa e rovesciarlo quando viene portato.
Nella, rilasciata nel pomeriggio dopo due mesi di detenzione, ci fa il seguente racconto. “Nella mia sezione, quella dei trans, alcune di noi sono ancora in sciopero, io l’ho fatto un solo giorno, perché sono sieropositiva. Ieri hanno rilasciato una di noi e oggi toccava a me. Dopo di me, le altre, che sono entrate da poco, usciranno solo alla fine di agosto. Nella sezione delle donne, l’unica con cui noi riusciamo a entrare in contatto, alcune continuano a protestare, ma io non avevo molti rapporti con loro perché stavo sempre nella stanza. Non sto tanto bene, da quando sono qui ho delle macchie su tutto il corpo e per questo ho chiesto di essere portata dal medico dell’ospedale, per fare i miei soliti esami di controllo. Ma per molti giorni mi hanno dato solo una pomata, poi davanti a quelli della Croce rossa, il capitano, ho rovesciato tutti i miei vestiti e le altre cose che c’erano nella stanza e per questo, alla fine, mi hanno portata a fare il controllo. I controlli all’ospedale, per le sieropositive, non li fanno mai. C’era una ragazza che stava male da quando era entrata nel Centro e per 15 giorni è stata sempre male, anche con la febbre molto alta, anche lei era sieropositiva, ma l’hanno ricoverata solo quando la febbre è salita moltissimo, prima lei e noi chiedevamo che venisse portata all’ospedale ma non lo facevano. Poi non è più ritornata al Centro. Alcuni poliziotti ci insultano, soprattutto a noi, trans. Ti direi una bugia se ti dicessi che picchiano ogni giorno, ma ti direi una bugia anche se ti dicessi che non lo fanno mai. Dipende, se protesti un po’ e gli sei antipatica allora arrivano i manganelli. Ma gli insulti sempre. Un giorno uno di loro se la stava prendendo con una mia amica, ma io lo conoscevo e gliel’ho detto, “tu sei quello di via…., con quella macchina grigia, non ti ricordi di me? invece ti dovresti ricordare bene”, così lui se ne è andato, per la vergogna. Quando voi avete fatto quel rumore fuori (sabato pomeriggio) hanno picchiato una ragazza nella sezione delle donne. Poi qualcuno è stato male anche quando eravate qui fuori lunedì e ci chiamavate. Per lo sciopero, era disteso, svenuto, e sono arrivati i medici. Alla fine hanno chiamato l’ambulanza ma l’hanno fatta uscire dall’altra parte (il Centro ha due uscite, una delle quali irraggiungibile), perché da questo lato c’eravate voi. Poi, la notte, quando abbiamo visto che c’erano delle persone fuori e che c’era fumo siamo uscite tutte, ma anche nelle altre sezioni, e gridavamo. I poliziotti si sono preparati per entrare con tutte quelle cose che si mettono, gli scudi, non so come si dica. Nella sezione degli uomini oggi hanno buttato via il cibo della Croce rossa e sono entrati i poliziotti, ma non so che cosa sia successo perché si sentivano solo i rumori”.

venerdì 11 luglio: Verso le 00.40 arriva una telefonata dal CPT. A seguito di un diverbio con un poliziotto, un detenuto transessuale viene portato via.
Sembra che la discussione fosse nata dal fatto che non gli venissero somministrati dei farmaci, problema più volte emerso in Corelli. Dopo poco viene riportato indietro conciato proprio male, perde sangue dalla bocca e ha un seno aperto con fuoriuscite di materiale.
Sale la rabbia. Chiede un’ambulanza, vuole essere portato in ospedale ma non gli viene concesso, probabilmente a causa delle visibili condizioni in cui è stato ridotto. Alle 2.00 un piccolo presidio di compagni si è formato a metà dello stradello che porta alla sbarra d’ingresso del CPT. Di fronte all’ingresso un cordone di polizia. Chiediamo di parlare con un responsabile, sappiamo quello che é accaduto e che sta accadendo, dov’é l’ambulanza?
All’interno intanto sono tutti usciti nei cortili. Prima uno e poi un altro ci dicono che il detenuto si è rifiutato di salire sull’ambulanza e che preferisce farsi medicare nell’infermeria posta all’interno della struttura. Invece, ha soltanto avuto timore di andare da solo dopo quello che era successo e ha chiesto di poter essere accompagnato da un’amica anch’essa detenuta.
Alle 2.30 esce un’ambulanza scortata da due macchine della polizia. Ci vogliono far credere che finalmente lo stanno portando all’ospedale ma da dentro ci dicono che è ancora lì, nell’ambulanza non c’é nessuno. Ogni tanto, in un tratto della tangenziale est dal quale si vedono i cortili interni, qualche compagno accende dei fumogeni e fa sentire la nostra presenza solidale.Un dirigente della polizia esce per conferire con noi ma prontamente viene richiamato indietro proprio mentre ci stava raccontando la sua versione dei fatti, del litigio fra due “ospiti”, come amano chiamarli loro, sedato dal solerte intervento della polizia all’interno, che uno ha picchiato un altro ma che ora è tutto a posto e che quindi possiamo andarcene. Ma non fa in tempo a finire che molto fumo si alza sopra il CPT. Hanno cominciato a dare fuoco ai materassi. Da dentro ci dicono che stanno bruciando tutto. Alle 3.00 entrano, da un’altra strada, svariati mezzi della polizia. Dove siamo noi è un via vai continuo di polizia, carabinieri, digos.
Poco dopo entrano anche due camion dei pompieri.
Verso le 3.30 entra una nuova ambulanza che riesce dal secondo ingresso. Sembra che questa volta l’abbiano caricato per portarlo all’ospedale ma non ci sono conferme perché nell’ultimo contatto avvenuto ci aveva detto che stavano separando le donne e i trans dagli uomini e che un dirigente della polizia gli avrebbe comunicato il suo arresto ed avrebbe aggiunto, con quel modo paternalistico con cui dicono “ospiti”, di non fidarsi di quelli la fuori che li usano soltanto per fare politica…
Non facciamo cadere nel silenzio la dignità e il coraggio dimostrati in questa ennesima notte bianca milanese.

Nel pomeriggio, due detenute trans, vengono chiamate dalla polizia che comunica loro che saranno liberate. Erano state portate a Corelli il 20 giugno, quindi la loro liberazione non dipendeva dalla scadenza della durata della detenzione ma dal fatto che erano tra quelle che più avevano protestato per l’episodio accaduto durante la notte. Loro rifiutano di uscire, perché, insieme alle altre e agli altri, rivendicano la libertà di tutti. “Nessuno esce, sinché non escono tutti”, fanno sapere le detenute e i detenuti alla Croce rossa e alle forze dell’ordine. Dapprima la polizia reagisce dicendo che per loro potevano anche rimanere dentro, poi, accorgendosi che si tratterebbe di un sequestro di persona chiamano una compagna del comitato affinché interceda, cosa che ovviamente non viene fatta. Le detenute, comunque, alla fine decidono di uscire per testimoniare all’esterno quello che sta succedendo dentro la macchina Corelli in questi giorni.

Questo il racconto di una di loro: “Ieri sera, verso le 23, un gruppo di noi trans è andato all’infermeria per prendere la terapia. Alla ragazza che poi hanno picchiato l’hanno data per prima, ma c’erano due poliziotti. Uno di loro forse era drogato, perché era molto incazzato, troppo, e mentre la mia amica parlava al cellulare le ha detto “qui è vietato parlare al cellulare”. Invece, noi avevamo chiesto più volte alla Croce rossa se si potesse usare il cellulare quando ci facevano andare in infermeria per le medicine e la Croce rossa aveva stabilito che non era vietato. Lei ha risposto: “ma sto parlando con la mia fidanzata”. Mentre altre stavano uscendo, lei ha aperto la finestra e il poliziotto l’ha spinta e le ha dato un calcio. Poi le ha imposto di sedersi, ma lei ha rifiutato. Allora lui ha reagito in malo modo e le ha detto: “siediti negro schifoso che il tuo colore mi fa schifo” e le ha sputato in faccia. A quel punto anche lei ha sputato. Questo è successo tra le 23 e le 23.30. L’ispettore ha chiamato altri poliziotti della sicurezza e sei poliziotti l’hanno presa e trascinata in una stanza, mentre la Croce rossa assisteva a tutto senza far nulla. I sei l’hanno picchiata, in testa, sulle braccia, sulle gambe. L’hanno picchiata per dieci minuti. Poi sono usciti dalla stanza e hanno lasciato la porta aperta. Io sono entrata e l’ho trovata su un letto con la bocca sanguinante. Ho chiamato quelli della Croce rossa, che mi hanno detto che non aveva nulla e che era colpa sua perché aveva reagito contro un poliziotto. L’hanno portata nella sezione. Lì ci siamo riunite tutte quante e quando quelli della Croce rossa sono venuti a prenderla abbiamo detto loro che noi l’avremmo lasciata uscire solo quando sarebbe arrivata l’ambulanza. Non ci fidavamo più, l’avevano già presa una volta per picchiarla e non volevamo che rimanesse da sola con loro, nella parte del Centro oltre la porta blindata che chiude le sezioni e dove noi non possiamo sapere quello che succede. L’ispettore, dal quale sono andata per parlare, mi ha detto che lei era caduta dal letto e che nessuno aveva visto niente. Insomma, ci stavano prendendo in giro. Abbiamo aspettato l’ambulanza, che non arrivava, mentre lei continuava a sanguinare e poi c’era il problema del silicone che si stava gonfiando. Allora noi, nella nostra sezione, ma anche nella sezione delle donne e in una degli uomini abbiamo dato fuoco alle lenzuola e quando sono arrivati i poliziotti e l’ispettore per chiedere chi aveva messo il fuoco abbiamo risposto come prima ci avevano risposto loro: “nessuno, è caduta una sigaretta”. Le sezioni bruciavano, anche quella delle donne, accanto alla nostra. Alla fine è arrivato un altro ispettore, con il quale si poteva parlare, perché gli altri sono proprio maleducati, arroganti. E mentre io parlavo con lui per protestare per tutto quello che era successo lui ha ammesso che il poliziotto che prima ha insultato e poi picchiato insieme ad altri la mia amica era nervoso. Quindi, in pratica ha ammesso la responsabilità degli altri. Alla fine, alle 3.30 è arrivata l’ambulanza e l’ha portata all’ospedale. Ma all’ospedale le hanno fatto solo le radiografie richieste dalla Croce rossa al centro, quindi solo quelle delle braccia. Mentre a lei facevano malissimo le gambe, dove l’avevano picchiata di più e perché il silicone si era gonfiato per i colpi. Le hanno fatto un’iniezione, l’hanno tenuta sino alle 5. Le hanno detto che non potevano farle altre radiografie, perché non erano state richieste dalla Croce rossa. Un medico le ha detto che, però, nella parte in cui era stata picchiata di più il silicone si era gonfiato e che si era fermato il sangue. Poi verso le 5.30 le 6 del mattino l’hanno riportata al Centro, nella nostra sezione. A lei, però, facevano davvero molto male le gambe, che erano tutte gonfie e così l’hanno riportata un’altra volta in infermeria. Io sono stata chiamata dallo stesso ispettore con cui avevo parlato durante la notte, che voleva sapere bene chi fosse lei e il suo numero di cellulare. Di nuovo si è scusato per quello che era successo, e per il fatto che i suoi colleghi ieri erano troppo nervosi. Poi mi ha detto “mi hai fatto un casino della madonna sui giornali”, perché i giornalisti questa mattina mi hanno chiamata e io ho raccontato tutto. Ma l’ispettore voleva anche sapere chi stava intorno a noi, fuori, chi avesse dato il mio numero ai giornalisti. Io però ho detto che non sono un’infame, non gli ho dato il numero della mia amica e ho smesso di parlare con lui. Così, a un certo punto, nel pomeriggio mi hanno portato un foglio, a me e a un’altra e ci hanno detto dovete andare via (io ero a Corelli dal 20 giugno e anche lei, quindi non ci scadevano i termini oggi). Tre giorni fa era venuto il console del Brasile per le identificazioni, ma non ha identificato nessuno. Noi due, però, abbiamo detto “noi non usciamo se non escono anche tutti gli altri”. (Per questo poi il responsabile dell’ufficio immigrazione ha contattato la compagna del Comitato, perché non sapevano più che cosa fare). Ma alla fine abbiamo deciso di uscire per potervi incontrare, perché sapevamo che anche questo pomeriggio eravate lì fuori, e per far sapere quello che è successo. Dentro, gli altri sono molto incazzati. Soprattutto nella nostra sezione, quella dei trans. Ma anche in quella degli uomini protestano e buttano via il cibo della Croce rossa. Noi però eravamo vicino alla sezione delle donne e così decidevamo anche con loro che cosa fare. Con gli uomini riuscivamo a parlarci solo al telefono. Però questa notte abbiamo visto il fumo anche nelle loro camerate. I fumogeni sull’autostrada io non li ho visti, perché non sono uscita in cortile come le altre perché volevo stare con la mia amica e andare con lei sull’ambulanza, perché io parlo l’italiano e così potevo denunciare, mentre lei non lo parla. Volevo farle da mediatrice culturale. Quando però l’ambulanza è arrivata non mi hanno permesso di salire”.