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Diario di bordo dalla Iuventa: Il racconto di un salvataggio insolito

Un GPS e una barchetta acquistata in segreto. Così due trentenni siriani hanno pianificato un viaggio autorganizzato dalla Libia per sfuggire alla guerra civile e non affidarsi ai trafficanti

Photo credit: Jugend Rettet

La foresta è un luogo pieno di vita e di rumori, dai trilli dei piccoli insetti ai grugniti delle bestie più grosse. Un profondo silenzio potrebbe far pensare ad una pacifica calma, ma in realtà non è così. Quando la selva è silenziosa il pericolo di solito è vicino, che si tratti di un predatore affamato, di un incendio o di una tempesta in arrivo. Allo stesso modo è possibile leggere la quiete che pervade quest’area del Mediterraneo negli ultimi giorni. Nonostante il tempo e il vento favorevole nessuna imbarcazione ha lasciato le coste libiche.
Da un lato, è facile supporre che stia succedendo qualcosa in quel lembo di terra tra Zuhara e Tripoli da cui di solito si verificano le partenze. Impossibile però indovinare che cosa stia avvenendo: potrebbe essere un aumento dei controlli da parte della Guardia costiera libica così come un conflitto fra diverse milizie in lotta per l’egemonia del traffico di essere umani. Oppure qualcosa di completamente diverso.
Dall’altro lato, più il silenzio si prolunga più sale l’ansia e la preoccupazione per ciò che lo romperà. Da diversi giorni non sono state registrate partenze e questo potrebbe significare che quando arriverà il momento il numero di persone in mare sarà significativamente alto.
Qualcosa ha però rotto brevemente questa calma, una nota sussurrata fuori dal coro. Una piccola barca con solo due persone a bordo ed una storia eccezionale.

Sabato pomeriggio l’MRCC, il Comando della Guardia Costiera a Roma, comunica alla Iuventa che la Charlie Papa, un nave della Guardia Costiera italiana, si avvicinerà a noi per consegnarci due migranti. Inizialmente a bordo c’è sorpresa e sospetto. E’ molto strano che solamente due persone vengano soccorse e all’inizio si sparge l’idea che sia una strategia per farci lasciare la zona SAR. Infatti, una volta che il trasbordo è avvenuto, l’MRCC potrebbe ordinarci di portarli fino a Malta, e non ci sarebbe per noi una vera possibilità di rifiutarci.
Non solo perché si è obbligati a seguire le indicazioni di Roma, ma anche perché i migranti stessi potrebbero essere in uno stato psico-fisico tale da avere la necessità di sbarcare a terra. Nonostante i sospetti ci coordiniamo con Charlie Papa via radio e ci organizziamo per ricevere a bordo i nuovi ospiti.

La realtà si rivela ben diversa dalla nostra immaginazione, ma anche dalla maggior parte dei racconti di chi lascia le coste libiche.
M. e S. sono due ragazzi sulla trentina, originari del sud della Siria ma in Libia da più di 25 anni. Appena saliti a bordo sfoggiano un sorriso smagliante e un perfetto inglese, nonché un’evidente voglia di parlare e raccontarsi.

Hanno organizzato il loro viaggio da soli e in segreto, per evitare di essere catturati dalla Guardia costiera libica. Da 40 giorni preparavano il loro piano in ogni dettaglio e per ben due volte lo hanno rimandato a causa delle condizioni atmosferiche. Al terzo tentativo si sono finalmente imbarcati e diretti verso l’Italia, a mezzanotte in punto.

Hanno comprato una barca e calcolato il carburante necessario per arrivare fino in Italia. Si sono equipaggiati non solo con cibo, acqua e giubbotti salvagente, ma anche con un GPS e con una bussola per seguire il percorso studiato a terra. Con un sistema di 7 check point, ognuno con le esatte coordinate salvate sul telefono, sono stati in grado di seguire con precisione la loro rotta.
Ma non è finita qui: hanno lasciato un testo scritto ad un loro amico fidato con delle istruzioni molto precise. Dopo due ore dalla loro partenza, il loro collaboratore ha chiamato la Guardia costiera italiana e ha letto il messaggio, parola per parola e senza lasciarsi interrompere.
Sul foglio si trovavano le informazioni essenziali sul tipo e il colore dell’imbarcazione nonché sulla loro rotta con coordinate talmente precise che sarebbe stato impossibile non trovarli percorrendo i check point in senso inverso. Dopo 9 ore di viaggio la Charlie Papa li ha raccolti esattamente come da programma.

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I due ragazzi ci raccontano che i militari sono stati rudi con loro e addirittura che gli hanno rubato le sigarette, fumandole davanti a loro. “Continuavano a prenderci in giro”, ci ha raccontato M. “Ci dicevano che siamo stati molto fortunati e che dovevamo ringraziarli perché loro ci avevano salvato. Oh certo” – continua ironicamente – “vi ho dato le mie esatte coordinate e vi ho detto di venirmi a prendere. Grazie mille per avermi salvato!”.
I nostri ufficiali di bordo non escludono che con questo tempo, i due ingegnosi e improvvisati marinai, avrebbero davvero potuto raggiungere direttamente l’Italia anche con la loro piccola imbarcazione.
Sembrano felici di parlare con noi, nonostante spesso l’oggetto della discussione sia molto duro. Nei loro racconti c’è la guerra, sia quella che i loro parenti stanno vivendo in Siria ma anche quella in Libia. Ci descrivono le azioni di milizie fuori controllo, che portano carri armati nelle strade e che invece di spararsi con delle pistole o dei fucili usano direttamente degli RPG, dei lanciamissili. “Qualsiasi cosa mi succederà in Europa” – spiega M. – “sarà meglio della vita in Libia”. E nonostante la condizione dei richiedenti asilo in Italia tendenzialmente non sia molto felice, è difficile dargli torto.
Ci parlano anche delle varie Guardie costiere libiche e del fatto che alcune di esse raccontano di salvare i migranti in mare. Ma la realtà è che li portano nelle prigioni controllate dai trafficanti con i quali spartiscono i soldi ottenuti estorcendoli ai familiari in cambio di un altro lasciapassare per imbarcarsi verso l’Italia. Creando così un crudele circolo vizioso in cui chissà quante persone sono rimaste intrappolate.

Ora si sono lasciati tutto alle spalle, e qui sulla Iuventa il clima è molto sereno. Potrebbero essere quasi scambiati per membri dell’equipaggio. Fin da subito si sono ambientati e condividiamo con loro il nostro tempo, tanto quanto le nostre provviste. Solitamente ceniamo tutti insieme sul ponte, seduti sotto le stelle. All’inizio sono emersi alcuni dubbi. In questo momento è possibile condividere con loro tutti gli spazi, ma se nei prossimi giorni avverranno dei salvataggi e avremo centinaia di persone a bordo, dovremmo chiedere loro di restare sul ponte e di essere trattati in modo uguale agli altri, e questo potrebbe essere visto come un gesto quantomeno maleducato. Alla fine, si è deciso di spiegare la situazione e loro sono stati molto comprensivi. Allo stesso modo è stato spiegato che non avremmo potuto portarli immediatamente in Italia perché ciò avrebbe significato abbandonare le operazioni di ricerca e soccorso per alcuni giorni.
Sono stati altrettanto comprensivi, e così per il momento conviviamo insieme in attesa che qualche altra nave debba far ritorno in Italia e che li prenda a bordo.

Non escludiamo che possano avvenire operazioni mentre sono ancora con noi, ma siamo certi che non sarebbero d’intralcio e che potrebbero persino essere utili. Entrambi parlano inglese e arabo, sia quello libico che quello siriano, e uno di loro è un medico.
La forza di volontà di queste persone è straordinaria, e pur provenendo da un contesto di guerra civile è difficile vederli solo come vittime. Sono senza dubbio, per quanto questo sia possibile, attori protagonisti del proprio destino. Non possiamo che augurare di mantenere questa tenacia. Il loro viaggio non è ancora finito, così come non lo è il nostro. Per ancora una settimana saremo nella zona SAR pronti a qualsiasi evenienza. E siamo felici che per i prossimi giorni potremo contare sul loro aiuto.

Tommaso Gandini

Racconto migranti e migrazioni dal 2016, principalmente tramite reportage multimediali. Fra i tanti, ho attraversato e narrato lo sgombero del campo di Idomeni, il confine del Brennero, gli hotspot e i campi di lavoro nel Sud Italia. Nel 2017 ero imbarcato sulla nave Iuventa proprio mentre veniva sequestrata dalla polizia italiana. Da allora mi sono occupato principalmente del caso legale e di criminalizzazione della solidarietà.