Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Difendere i diritti fuori e dentro il carcere!

“…se non sono gigli son pur sempre vittime di questo mondo” (F. De Andrè)

Il numero dei migranti nelle carceri italiane sta aumentando progressivamente, su 55.000 detenuti un terzo sono stranieri (una cifra che sfiora quota 17.000).
Quali sono le principali ragioni di questo incremento?

Essenzialmente due. La prima sicuramente è determinata dalla conformazione e strutturazione della nostra società che non permette l’inserimento di tutti quei soggetti emarginati che essa produce ma ne fa un nemico sociale, alimentando così le discriminazioni, l’isolamento e l’intolleranza. Questi meccanismi di “esclusione” aumentano il degrado sociale e umano, diffondendo pratiche criminali e illegali. Tant’è che nei “gironi” inferiori della criminalità, i marginali (migranti, tossicodipendenti) sostituiscono con il passare del tempo i cosiddetti locali.
La seconda causa dell’incremento dei detenuti stranieri, forse più determinante della precedente, è rappresentata dalle leggi proibizioniste in materia di immigrazione che si sono succedute negli anni dalla legge Martelli in poi.
Queste leggi proibizioniste hanno avuto la funzione di moltiplicare ed implementare il costante aumento dei detenuti stranieri nelle carceri italiane. Infatti l’attuale legge sull’immigrazione Bossi Fini – impedendo di fatto la possibilità di un percorso migratorio regolare e sanzionando penalmente e con l’arresto in fragranza la violazione dell’ordine di espulsione dal territorio dello Stato – configura il carcere come uno step fisso e “normale” per tutti quei migranti che sono indotti dalla stessa legge a vivere clandestinamente.

In più un altro dato sconcertante è rappresentato dal fatto che il carcere, istituzione totale – come denunciano numerose ricerche – diviene un luogo in cui il migrante che ha commesso un qualche reato, anche se in possesso del permesso di soggiorno, è trattenuto in attesa dell’espulsione. In questo emerge la totale incostituzionalità e disumanità della legge Bossi Fini poiché essa rende praticamente impossibile ad un migrante detenuto misure alternative alla detenzione e ad un migrante passato dal carcere, progetti di reinserimento (sociale e lavorativo) quindi l’impossibilità di riprendere normalmente la sua vita sul territorio nazionale.
In buona sostanza si configura un trattamento di disparità tra stranieri cosiddetti clandestini o regolari e i cittadini italiani, per cui di fatto “la legge non è uguale per tutti”.

Un’indagine datata** effettuata su 174 istituti penitenziari ha cercato di mettere in evidenza il trattamento dei detenuti stranieri. Dai dati emerge che al di là di progetti specifici sono pochissimi (circa 1/6) gli istituti che prevedono la presenza di mediatori culturali o che allocano i detenuti in apposite sezioni e sono altrettanto pochi i progetti di formazione per il personale che si occupa della gestione o del rapporto con i detenuti stranieri. A tutto ciò, fatta eccezione per alcuni casi isolati ed alcuni Progetti regionali, va aggiunto una seconda problematica: il sovraffollamento.

Attualmente i dati confermano un’eccedenza di 10.000-15.000 presenze in più rispetto ai posti disponibili. Ciò significa un peggioramento delle condizioni di vita all’interno del carcere di due tipi:
1. più sofferenza per i detenuti (già condannati, in termine di legge, alla privazione della libertà);
2. una pena accessoria alla precedente (non prevista dalla legge) il sovraffollamento, che non comporta solo i letti a castello, i materassi per terra ma anche avere meno stanze e locali per i laboratori, il recupero scolastico e ecc. .
Quest’ultimo aspetto è preoccupante, unito poi al diffondersi sempre più forte del “business del sicuritarismo” che si fonda sul postulato di creare “sempre più paure e conseguentemente maggiori risposte forti”.

Uno Stato civile ha il dovere, ed è anche un obiettivo socialmente utile, del reinserimento sociale e umano di tutti i cittadini detenuti stranieri e non. Lo strumento dell’amministrazione della giustizia non può essere, quindi, la repressione e la criminalizzazione ma semmai l’attivazione di processi di tutela e di inclusione per tutti quei soggetti che hanno avuto soltanto esperienze di forza e prevaricazione, di doveri e soggezioni ma non di diritti.

In Italia come nel resto della “civile” Europa le politiche restrittive basate su provvedimenti paranoico/polizieschi, su provvedimenti confinali sono destinate a fallire perché aumentano il degrado, la marginalità, l’esclusione e di conseguenza la criminalità. È necessario capovolgere questa ottica nella direzione di politiche inclusive, di accoglienza e di cittadinanza, solo così si sottrarrà manodopera “clandestina” al giogo dei padroni delle economie criminali e “occulte”.

È necessario perciò trovare altre soluzioni, altre strade da percorrere nel tentativo di costruire moltitudinariamente una comunità europea come luogo di inclusione/accoglienza ricco di alterità, e fondato sul fatto che ogni individuo è titolare del proprio diritto di essere umano dovunque esso si trovi, fuori o dentro il carcere.

Alcuni link utili per approfondire l’argomento:

Carcere & Società;
Cestim;
Associazione Antigone;
L’altro diritto;
Centro Documentazione “Due Palazzi”;
Fuori luogo/Carcere.