Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Dimenticate in Grecia, le donne rifugiate vivono tra la paura e la fame

Sonya Narang, News Deeply - 16 marzo 2017

Photo credit: Women's Refugee Commission/Jodi Hilton

É passato quasi un anno da quando la chiusura delle frontiere e il controverso accordo tra l’UE e la Turchia hanno bloccato il flusso di rifugiati diretti in Germania e Scandinavia. Oggi, più di 60.000 rifugiati sono abbandonati in Grecia e in altre parti dell’Est Europa, metà dei quali sono donne. Molte di loro avevano sperato di ricongiungersi agli uomini della famiglia che avevano intrapreso lo straziante viaggio attraverso l’Europa prima di loro.

Invece, secondo Marcy Hersh, responsabile di Women’s Refugee Commission, le donne rifugiate si trovano spesso intrappolate in vecchi stabilimenti o depositi sovraffollati, o in altri luoghi non adatti a una permanenza a lungo termine. Vivono, dichiara, con la paura di violenze, abusi e molestie sessuali da parte delle autorità e dei rifugiati maschi. E questi rifugi e accampamenti di fortuna offrono una scarsa, se non inesistente, assistenza sanitaria per le donne incinte.

Poiché la Germania ha iniziato a rimandare i richiedenti asilo in Grecia, Women & Girls ha affrontato con Hersh il problema delle pessime condizioni di vita delle donne rifugiate nei campi greci e cosa il governo dovrebbe fare per aiutarle.

Women & Girls: qual’è il problema maggiore che le donne rifugiate devono affrontare in Grecia?

Marcy Hersh: Quando io e i miei colleghi abbiamo visitato le donne rifugiate in Grecia, siamo rimasti scioccati dalla situazione in cui versavano quei luoghi e i centri di detenzione. Donne e ragazze stanno vivendo in condizioni pessime e pericolose dove sono soggette ad un alto rischio di violenze di genere. Combattono tutti i giorni contro paura, ansia e incertezza.

Women & Girls: Qual’è la situazione delle donne incinte che necessitano assistenza alla maternità?

Hersh: È così atroce. Ho parlato con un certo numero di donne in stato di gravidanza. Prima di tutto, mi hanno detto che non avrebbero voluto essere incinte e speravano che la pianificazione delle nascite potesse essere disponibile anche per loro.

Quando ho chiesto agli operatori sanitari e ai gruppi umanitari se i metodi del controllo delle nascite fossero disponibili per le donne rifugiate, mi hanno riso in faccia per aver pensato che proprio queste donne del Medio Oriente potessero volere il controllo delle nascite. Sostenevano che chi proviene da questa parte del mondo vuole avere quanti più figli possibili, che non sono interessate alla pianificazione familiare. Chi mi ha detto queste cose non aveva ovviamente parlato con nessuna rifugiata riguardo alle loro esperienze e desideri. Ho sentito dire più e più volte dalle donne rifugiate che non avrebbero voluto essere incinte mentre vivevano in quelle condizioni di incertezza.

Inoltre, il cibo è un problema enorme, perché non ce n’è abbastanza e non è molto sano. Sostanzialmente, è cibo come la TV all’ora di cena, cibo così tedioso che perde tutti gli ingredienti freschi e sani, senza frutta né verdura. Alle donne in gravidanza non vengono dati nessun supplemento alimentare o vitamine prenatali e cose simili. C’era una donna con un neonato che mi disse che non poteva allattarlo al seno perché era malnutrita.

Women & Girls: Quali sono i vostri consigli per migliorare la situazione delle donne rifugiate bloccate in Grecia?

Hersh: C’è molto da fare e speriamo che il governo greco si attivi per migliorare i servizi umanitari per i rifugiati. Ciò dovrebbe includere tutto, dall’istituire un’assistenza sanitaria per la natalità, i neonati e la maternità, e aumentare dappertutto i servizi sanitari nei luoghi in cui si trovano i rifugiati.

Negli ospedali, c’è un bisogno impellente di mediatori culturali e interpreti che parlino arabo e persiano che possano comunicare tra dottori e rifugiati.
Ci sono pochissimi traduttori. Ho sentito di dottori e pazienti che riescono a parlare mediante Google Translate. Provate ad immaginare.

Inoltre, abbiamo notato un’enorme lacuna nei servizi di assistenza alle vittime di violenze di genere. Le donne rifugiate hanno bisogno di poter accedere ad un supporto medico e psico-sociale, a luoghi sicuri, a rifugi per donne. Attualmente, niente di tutto ciò è facilmente disponibile.

Women & Girls: Per aiutarci a capire la situazione, puoi parlarci di una delle rifugiate che hai incontrato quando eri in Grecia?

Hersh: C’è una storia di una donna che non riesco a dimenticare. È una giornalista della Repubblica Democratica del Congo. Alcuni degli articoli che aveva scritto la cacciarono nei guai, venne catturata da degli uomini armati e subì violenze sessuali per molti giorni in condizioni terribili. Riuscì a fuggire, e fu incredibile, ma sapeva che non avrebbe potuto stare a lungo nella RDC a causa del suo lavoro.

Riuscì ad andare in Turchia, ma decise di non rimanere lì perché fu vittima di razzismo, ebbe difficoltà a trovare lavoro e fu molestata sessualmente più volte a Istanbul. Le fu consigliato di continuare il suo viaggio fino in Grecia per cercare rifugio in Europa occidentale. Sfortunatamente, attraversò il Mar Egeo e arrivò sull’isola greca di Lesbo proprio dopo l’approvazione dell’accordo tra Unione Europea e Turchia.

Nel centro di detenzione stava vivendo in un tendone dentro una prigione in cui dormivano 20 persone. È un insieme di uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo, e lei non si sente sicura nel posto in cui dorme. Si sente in pericolo anche quando va a fare la doccia o va al bagno, perché gli uomini girano lì intorno.

Queste strutture versano in condizioni terribili e puzzano da morire. Inoltre, non c’è abbastanza cibo. A causa della sua nazionalità, è l’ultima della lista, per tutto.

Women & Girls: È l’ultima perché è congolese? Esiste una gerarchia?

Hersh: Si, non ufficialmente. C’è una gerarchia nel controllo delle richieste di asilo, in cui i siriani hanno la priorità, poi vengono gli afghani e dopo tutti gli altri. Dappertutto, in Grecia, abbiamo avuto modo di verificare l’esistenza di questa gerarchia. Rende alcuni rifugiati maggiormente in grado di accedere agli aiuti più di altri, in base al motivo della loro fuga e alle esperienze personali.

Tutti quelli che abbiamo intervistato al campo ci hanno spiegato che devono mettersi in fila per il cibo. Ho parlato con alcuni africani, inclusa questa donna congolese, e mi ha detto che, essendo africana, appena vedono il colore della sua pelle la spingono verso la fine della fila.

Una donna nubile che viaggia da sola e che è sopravvissuta alla violenza di genere non dovrebbe assolutamente essere sottoposta a certe condizioni. Ciò costituisce un secondo trauma per lei.

Questa conversazione è stata modificata per la durata e la chiarezza.

Questa storia è apparsa in origine su Women & Girls