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da Il Manifesto del 27 marzo 2007

Dimenticati da tutti

Intervista a Krenar Xhavara, sopravvissuto al naufragio della Kater I Rades.

Vedi l’articolo:
28 marzo 1997, la Kater I Rades speronata affonda, 100 morti

di Tommado Di Francesco

Dieci anni fa si consumava la tragedia della Kater I Rades. Ad uno dei sopravvissuti, Krenar Xhavara, che incontrammo già nel 1997 e che fu portavoce delle famiglie dei profughi raccolti poi nell’ex caserma Caraffa di Brindisi, abbiamo rivolto alcune domande. Krenar ha perso nel naufragio la moglie e la figlia di sei mesi oltre che tutta la famiglia del fratello; lo raggiungiamo telefonicamente a Valona in Albania, parla sempre benissimo l’italiano, «l’ho imparato con la vostra televisione italiana, da quando avevo dieci anni ricordo che vedevo sempre le trasmissioni di Raffaella Carrà…poi ho imparato tante altre cose meno divertenti in italiano dopo che la nostra nave di fuggiaschi venne speronata e colata a picco. Ti parlo dall’Albania dove ormai tutto è incomprensibile, e tutti i politici, “tutti” sono lontanissimi dal popolo».

Nel venerdì santo del 28 marzo del 1997 la nave militare italiana Sibilla impegnata a far rispettare il blocco navale deciso dall’allora governo Prodi, speronò la carretta del mare Kater I Rades facendola colare a picco. Che cosa ti ricordi ancora di quei momenti?

Ho sempre davanti ai miei occhi quei momenti nei quali morirono più di cento persone. Mi ricordo il terrore di noi tutti, le urla, il rumore sordo dello scontro con la nave Sibilla che avvenne in acque internazionali violando tutte le leggi del mare senza alcun rispetto per le vite civili. Eppure tutte quelle persone fuggivano dalla guerra civile in Albania che era scoppiata perché Berisha voleva reprimere la rivolta popolare contro le Piramidi finanziarie che lui e il suo governo avevano favorito. C’erano già molti morti nelle città albanesi, a nord come a sud. Io avevo già trovato riparo in Italia ed ero tornato per prendere la mia famiglia e quella di mio fratello, lì la situazione era gravissima, si sparava dappertutto, le caserme erano assaltate, le armi giravano dappertutto, così abbiamo pensato di spostare le famiglie e portarle in Italia. Certo non avremmo mai pensato di fare quella fine quando siamo partiti quella sera che nessuno di noi potra mai dimenticare, soprattutto chi come me ha perso la moglie e la figlia di sei mesi, o come mio fratello che ha perso tre figli e la moglie. Io non me la scordo, il fatto è che siamo stati dimenticati da tutti, messi da parte. Quella sera, dopo un’ora che eravamo partiti da Valona, appena dopo avere superato l’isola albanese di Sezano, siamo stati accostati ancora in acque albanesi dalla nave militare italiana Zefiro, che non fece però manovre pericolose. Ci avvertivano solo con il megafono di tornare indietro. Noi eravamo troppo disperati e abbiamo scelto di andare avanti. Allora abbiamo visto, anche se era inverno e buio pesto, peggio che di notte, arrivare dalla direzione di Brindisi un’altra nave militare. Era buio, ma vedevamo bene tutto quello che accadeva davanti ai nostri occhi, aveva scorto perfino un militare italiano che ci puntava la mitragliatrice contro dalla nave. Dopo un’ora e mezza di inseguimento è arrivato un elicottero, credo della Zefiro e dieci minuti dopo l’elicottero, è arrivata la nave Sibilla che stava attaccata dietro di noi e che ha colpito la nostra nave. E’ stata una cosa terribile.

Voi poi siete stati raccolti, portati in salvo. Quanti sono stati i sopravvissuti?

I sopravvissuti all’affondamento sono stati 34, eravamo partiti in 139. Dunque le vittime sono state 105, e da quello che io so almeno 52 corpi non sono mai stati trovati.

Avete chiesto giustizia molte volte. Dall’Albania, perché come sopravvissuti della Kater I Rades volevate che il capo del governo Sali Berisha, responsabile della repressione popolare della rivolta contro le Piramidi fianziarie, fosse incriminato come primo responsabile delle fughe dei civili albanesi. Ma chiedevate giustizia anche dall’Italia. Che cosa è successo?

Eravamo in fuga perché terrorizzati da quello che succedeva e dal disastro delle Piramidi che Berisha aveva voluto. Ora in Albania Sali Berisha è tornato a vincere le elezioni nel 2005 ed è lui il capo del governo. Qui i diritti delle persone sono stati cancellati, da Berisha ma anche dai governi precedenti compreso quello di Fatos Nano dal quale ci aspettavamo tanti cambiamenti. Comunque nessun governo albanese si è battuto fino in fondo per la verità sulla Kater I Rades e tutti i governi non hanno voluto che la Marina militare italiana fosse incriminata per quello che è successo. Il governo albanese poi è stato praticamente assente dalla commissione rogatoria italo-albanese incaricata dell’inchiesta. Lo stesso è accaduto anche per altre tragedie simili in Grecia, e sempre i governi albanesi sono stati zitti. A loro interessava e interessa solo e soltanto il loro potere e il commercio delle persone, comprano merci e scambiano persone…

Ma almeno avete avuto giustizia dall’Italia? A Valona c’è questa consapevolezza?

C’è stata la sentenza nel giugno del 2005, con due anni e mezzo per entrambi i comandanti, della Sibilla e della Kater I Rades, ma nessun comandante dello stato maggiore o ammiraglio della Marina è stato incriminato, credo che tutto è stato archiviato. Ma fortunatamente è stato fatto ricorso in appello già nel gennaio-febbario 2006, stiamo aspettando da un anno che venga fissato il secondo processo ma non succede nulla. Si saranno dimenticati anche di questo? L’Italia ha deciso un risarcimento alle famiglie delle vittime, in due fasi nel 2000-2001 e poi nel 2003, in tutto per dieci miliardi di lire. Responsabile di questi risarcimento era la Marina militare e il ministero della difesa. Alla fine tra spese processuali e cose poco chiare e raggiri – un avvocato albanese per questo è stato perfino indagato in Italia per questo – sono stati dati 12mila euro ad ogni sopravvissuto e 35mila euro per ogni vittima. Credo che per la strage del Cermis sia stato calcolato almeno dieci volte tanto, il 70% dal ministero della difesa Usa e il 30% dal ministero della difesa italiano, per le 22 persone rimaste uccise, italiane e straniere. E i due piloti sono stati condannati dalla corte marziale americana. Ci sono dunque vittime di serie A e vittime di serie B.

Verrà ricordata in Albania questa tragedia?

Sì ci stiamo preparando per domani, 28 marzo, faremo una protesta delle famiglie dei sopravvissuti e delle vittime contro il governo albanese che si è dimenticato di questa tragedia e non ha fatto nulla per la verità. Chiediamo che si faccia ancora luce sul disastro. Noi poi chiedeveamo che Berisha venisse incriminato. Io in Italia avevo chiesto asilo politico, fuggivo da una guerra civile, ma nessuno me l’ha mai concesso. Ricordo che in quei giorni in Europa davano l’asilo politico solo agli albanesi cattolici che si dichiaravano perseguitati religiosi. Mentre lì era scoppiata la guerra civile…

Ora il governo albanese – l’Albania è quasi entrata in Europa – si vanta che non ci sono più persone in fuga e non c’è immigrazione clandestina…

Qui le condizioni non sono cambiate e purtroppo sono in tanti a volere ancora partire per trovare migliori condizioni di vita, ma non vogliono più essere clandestini. Tutto è bloccato e l’Albania non ha alcuna autonomia politica, qui comandano gli Stati uniti. Se loro decidono che non devono partire più emigranti non partono e viceversa.

Che chiedete all’Italia?

Vogliamo sapere la verità, chiediamo che non deve dimenticare quello che è successo, che non può essere archiviato da nessun magistrato. Devono chiedere scusa alle vittime sia il presidente del consiglio Romano Prodi che Silvio Berlusconi, perché i morti abbandonati a mare nel Canale di Otranto ci sono stati dal 1992, con centinaia e centinaia di vittime rimaste sconosciute. Almeno noi abbiamo avuto la «fortuna» che tutto quello che ci è accaduto si è saputo e visto.