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Diritti in rotta. L’esperimento delle navi quarantena: le condizioni materiali di permanenza, i servizi e l’accesso alle cure

Il secondo di sei articoli di approfondimento del progetto In Limine di ASGI

Le gravi conseguenze dell’utilizzo delle navi quarantena si sono manifestate in modo violento fin da quando, il 20 maggio scorso, Bilal Ben Massaud, un ragazzo di 28 anni, si è buttato in mare per raggiungere a nuoto la costa rimanendo così ucciso. All’inizio di ottobre Abou Diakite, un ragazzo di quindici anni, è morto a seguito di un ricovero d’urgenza, intervenuto solo dopo molti giorni di isolamento sulla nave GNV Allegra. Poco tempo prima, il 15 settembre, Abdallah Said, di 17 anni, moriva per un’encefalite tubercolare all’Ospedale Cannizzaro di Catania, dove era stato trasferito dopo un periodo di isolamento sulla Nave quarantena GNV Azzurra.

Questi episodi, insieme alle testimonianze raccolte1, raccontano di livelli di assistenza gravemente insufficienti a garantire non soltanto condizioni di vita adeguate ma la stessa sicurezza e incolumità delle persone che si trovano a bordo delle navi.

Sia i cittadini stranieri intervistati dal progetto In Limine sia gli operatori umanitari della Croce Rossa intervistati da Eleonora Camilli hanno rappresentato l’inadeguatezza dell’assistenza medica. La totalità delle persone intervistate dal progetto ha affermato di non aver ricevuto alcuna assistenza medico-psicologica. Tra questi, sette persone hanno dichiarato che, nonostante avessero espresso il bisogno di incontrare un medico, non sono state visitate. Ciò sia in relazione a disturbi lievi quali l’emicrania o il mal di mare sia in situazioni più delicate, come nel caso di una donna in avanzato stato di gravidanza che ha dichiarato di non essere mai stata sottoposta a visite mediche durante il mese trascorso a bordo della nave. Gli intervistati hanno inoltre dichiarato unanimemente di non essere a conoscenza dell’esistenza a bordo delle navi di servizi di assistenza psicologica o di forme di supporto rivolte a persone vulnerabili o con bisogni particolari.

Gli operatori umanitari della Croce Rossa intervistati da Eleonora Camilli confermano l’esistenza di gravi carenze: personale medico e infermieristico insufficiente e impreparato, impossibilità di fornire l’accompagnamento necessario a persone che hanno subito traumi e violenze o che sono vittime di tratta, assistenza medica inadeguata.

Per quanto riguarda i sistemi di prevenzione del contagio, dalle interviste emerge che solo in rare occasioni i dispositivi di protezione individuali sarebbero stati distribuiti quotidianamente dal personale della CRI. Nella maggior parte dei casi, i dispositivi sarebbero stati consegnati dietro richiesta dei cittadini stranieri.

La misura stessa della quarantena sulla nave, in assenza di informazioni, risulta incomprensibile: gli operatori della Croce Rossa parlano di persone fatte salire a bordo senza che ne conoscessero il motivo e la maggior parte dei cittadini stranieri intervistati ha sostenuto di non aver ricevuto informazioni chiare sulla misura di quarantena adottata e di aver appreso dei motivi dell’isolamento tramite passaparola. Nessuna delle persone intervistate, inoltre, ha ricevuto alcuna informativa legale a proposito della propria posizione giuridica, dei propri diritti e dei propri doveri, nonostante tutti siano stati sottoposti a identificazione tramite rilevamento foto-dattiloscopico prima dell’imbarco o nelle fasi successive.

Le persone intervistate hanno riferito di essere state alloggiate in cabine con due posti letto ciascuna, all’interno delle quali venivano anche consumati i pasti.

Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha messo in evidenza due criticità relative all’utilizzo delle navi per la quarantena: “l’effettività dell’informazione sui diritti che si riesce a rendere in nave da parte del personale della Croce Rossa, quando questa non è supportata da materiale scritto, presentato in più lingue, dato il numero amplissimo di persone ospitate; la difficoltà di rapportarsi con le persone in modo tale da riconoscerne il passato spesso traumatico e conseguentemente elaborare un piano di concreto supporto. La morte del quindicenne Abou, sottoposto a un passato di maltrattamenti o tortura nel suo percorso di viaggio, è prova dolorosa di tale difficoltà. Queste due criticità rischiano di divenire centrali nel contesto della tutela dei diritti nei casi in cui si proceda con la prassi del respingimento differito non appena le persone vengono portate a terra.”.

Infine, occorre rilevare che diversi studi hanno mostrato come la permanenza a bordo delle navi non solo non sia efficace per limitare la diffusione del virus ma possa aumentare il rischio di contagio. La concentrazione di molte persone in luoghi che non consentono, per esempio, il necessario distanziamento e una corretta aerazione degli spazi, possono condurre ad un aumento dei contagi, aggravato dall’insufficienza o dalla lontananza delle strutture sanitarie in grado di offrire il supporto necessario nei casi più gravi.

Ai fini dell’espletamento delle attività emergenziali connesse all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria a bordo delle imbarcazioni dedicate, gli aspetti operativi e finanziari sono disciplinati da una Convenzione stipulata in data 8 maggio 2020 tra il soggetto attuatore, il Capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione (DLCI) del Ministero dell’Interno, e la CRI. La Convenzione resta in vigore fino al termine dell’emergenza.

Tra i servizi che la CRI è tenuta ad assicurare vi sono l’assistenza sanitaria, l’assistenza psicologica, l’individuazione e il supporto delle donne in stato di gravidanza e dei casi vulnerabili a rischio clinico/psicologico2 con il supporto dello psicologo presente nell’equipe sanitaria, il trattamento delle condizioni croniche rilevate, la mediazione linguistico-culturale, l’assistenza sociale, attività di supporto logistico e servizi, compresa la fornitura di dispositivi di protezione individuale al personale imbarcato, assicurati per il tramite di personale tecnico sanitario, di mezzi, di strutture e di know-how dedicati, e di personale volontario. Il personale dovrebbe essere reperibile h 24.

Inoltre, le linee guida della CRI prevedono che siano fornite informazioni specifiche circa le motivazioni della permanenza sulle navi “mettendo in evidenza la finalità sanitaria dell’operazione, nonché la durata temporanea della stessa, legata all’esito dei tamponi durante il corso della quarantena” e l’organizzazione di specifici focus group e momenti formativi. In particolare, i focus group riguardano il ruolo della CRI, il diritto alla salute, il diritto all’unità familiare, la protezione internazionale, lo sfruttamento lavorativo e la tratta, la situazione epidemiologica italiana legata alla diffusione del Covid-19. Sono previste “sessioni specifiche per donne e ragazze” sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, conduzione delle gravidanze, corretta igiene personale, informative specifiche sui diritti dei minori e dei minori non accompagnati, attività educative mamma-bambino3.

Gli impegni contenuti nei documenti sottoscritti dalla CRI e dal DLCI e nelle linee guida della CRI stessa sembrano essere in grande misura disattesi.

In base alle informazioni raccolte attraverso le interviste ai cittadini stranieri che hanno trascorso la quarantena sulle navi e secondo quanto dichiarato dagli operatori umanitari a Redattore Sociale, sulle navi quarantena mancherebbero i servizi sanitari di base, sistemi adeguati di prevenzione del contagio, assistenza psicologica e sostegno alle persone in situazioni di vulnerabilità. L’assenza di queste misure in una situazione di detenzione di fatto è particolarmente grave e può evidentemente avere effetti estremamente negativi sulle condizioni delle persone a bordo. Tale mancanza è ancor più grave se si considera che le persone che si trovano sulle navi possono essere sopravvissute a tortura e trattamenti inumani, aver vissuto lunghi periodi di detenzione in condizioni degradanti, possono aver subito perdite e lutti o aver rischiato di naufragare.

Non sembrano inoltre essere garantite le misure di assistenza sociale e legale. I cittadini stranieri si trovano quindi in una situazione di sospensione, con un accesso estremamente ridotto all’informazione e in condizioni gravemente inadeguate.

– Primo contributo: L’esperimento delle navi quarantena e i principali profili di criticità

  1. Nell’ambito del progetto In Limine, fra la seconda metà di maggio e gli inizi del mese di novembre 2020, sono state condotte interviste a 82 cittadini stranieri che, dopo il loro arrivo in Italia, hanno trascorso la quarantena a bordo di una delle navi messe a disposizione dal Governo. Attraverso le interviste, sono state raccolte informazioni in relazioni a tutte le navi-quarantena operative nel periodo della ricerca.
  2. Donne vittime di violenza, vittime di tratta, minori non accompagnati, vittime di percosse, vittime di torture
  3. Per consultare i documenti relativi ai servizi della CRI si veda, oltre alla Convenzione, il documento Indicazioni per attività sanitaria (da p. 54 e da p. 63) al seguente link: https://inlimine.asgi.it/wp-content/uploads/2020/12/All.1-Elementi-di-risposta-CRI.pdf .