Questo libro non offre soltanto una rassegna delle fonti normative o delle prassi applicate in materia di allontanamento forzato degli immigrati irregolari, ma costituisce un esercizio di memoria, in un tempo nel quale la cultura dell’emergenza cancella in qualche giorno avvenimenti tragici e violazioni reiterate di diritti umani. Quando il legislatore interviene, per superare una fase che ha avuto costi umani ed economici esorbitanti, non si riesce a uscire dalla logica sicuritaria che ha condizionato le normative e le prassi applicate in materia di immigrazione e asilo. Malgrado le condanne subite dall’Italia a livello internazionale, i procedimenti giudiziari per gli abusi nelle pratiche di respingimento, di espulsione e di trattenimento amministrativo vanno a rilento o si arenano alle prime battute. Anche per questa ragione occorre riflettere su fatti che ben difficilmente potranno essere accertati nelle sedi giurisdizionali. Quello che non si vede, non esiste, quindi quello che si riesce a nascondere non è mai accaduto, e chi si affanna a rincorrere la verità è un pericoloso nemico interno che va fermato, o reso innocuo. Si prospetta la fine dello stato di diritto e la crisi del principio di uguaglianza. E dunque la difesa dei diritti dei migranti diventa, giorno dopo giorno, impegno per difendere la democrazia.
Diritti fondamentali e frontiere
Dopo essere diventata un fenomeno strutturale dell’economia
globale, l’immigrazione in Europa, ed in Italia in particolare, si
caratterizza da tempo per la progressiva chiusura dei canali di
ingresso legale, che alimenta vaste sacche di clandestinità e contribuisce ad un diffuso sfruttamento degli immigrati costretti
all’ingresso irregolare. Nel discorso politico e nel senso comune
della “gente” si è diffusa sempre di più l’esigenza di detenere
ed allontanare con l’accompagnamento forzato in frontiera, in
qualunque modo ed a qualsiasi costo, coloro che hanno fatto
ingresso o si trovano a soggiornare senza documenti, i cd. irregolari,
ai quali si sovrappone spesso la categoria dei clandestini (1).
La maggior parte dei potenziali richiedenti asilo è costretta a
viaggiare senza documenti, ma anche nei confronti dei soggetti
più vulnerabili, come donne e minori non accompagnati, si
apprestano gli strumenti di contrasto della cd. immigrazione
clandestina, anche quando è del tutto evidente, come nel caso
dei profughi provenienti dalla Libia, che si tratta di persone che
non possono essere respinte. L’obiettivo del contrasto dell’immigrazione “clandestina”, annunciato con enfasi dai politici, è raggiunto solo in minima parte ed i costi delle misure di trattenimento
e delle procedure di allontanamento forzato lievitano
in continuazione. Ma il dispiego di mezzi militari alle frontiere
e l’adozione di prassi sempre più violente nella detenzione
amministrativa, e nelle operazioni di rimpatrio forzato, sembrano
garantire un facile consenso, soprattutto in tempi di crisi
economica, anche se i giudici nazionali e le corti internazionali
sanzionano prassi di polizia palesemente illegittime (2).
Una situazione di guerra all’immigrazione “illegale” che si
verifica anche dopo l’ingresso nel territorio dello stato, magari
dopo interventi di soccorso in mare, quando gli immigrati sono
trattenuti in centri di “prima accoglienza” che di fatto svolgono
la funzione di centri di identificazione e di espulsione senza le
garanzie di difesa e di accesso alle procedure di asilo previste
dalla legge.
Lo spauracchio del rimpatrio, anche se nei fatti si concretizza
in meno della metà dei casi di trattenimento amministrativo
in un centro di identificazione ed espulsione (CIE)(3), ha un
rilevante impatto su tutti gli immigrati e contribuisce alla loro
subordinazione sociale. Anche su coloro che hanno già un
permesso di soggiorno, che diventa ogni giorno che passa
sempre più a rischio di revoca o di mancato rinnovo (4).
La condizione giuridica e la vita quotidiana degli immigrati
irregolari si caratterizzano così per violazioni sempre più gravi
dei diritti fondamentali della persona, violazioni che spesso la
vittima non può neppure denunciare per non incorrere in un
arresto o in una espulsione (5). Se è difficile esercitare i diritti di
difesa per gli immigrati irregolari presenti da anni nel territorio
nazionale, che comunque hanno acquisito un minimo
radicamento sociale e familiare, le violazioni più gravi si verificano
in occasione dell’ingresso in Italia e subito dopo, nelle
fasi dell’accoglienza che si trasforma spesso in detenzione o
in confinamento. Le particolari modalità di respingimento e
di trattenimento amministrativo nei cd. centri per stranieri,
centri di identificazione ed espulsione (CIE), oppure di confinamento
nei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) o
nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), strutture
in realtà assai diverse tra loro (6), configurano prassi di polizia estremamente rapide ed ampiamente discrezionali, ben oltre la
legge ed il dettato costituzionale, che in materia di condizione
giuridica dello straniero (art. 10 Cost.) rinvia alle norme vincolanti
del diritto comunitario ed alle convenzioni di diritto
internazionale (7).
I respingimenti collettivi in acque internazionali, le prassi di
respingimento immediato in frontiera, i respingimenti “differiti”
adottati dai questori (8), i provvedimenti di espulsione comminati
dai prefetti sulla base di criteri meramente discrezionali (9),
magari dopo il mancato rinnovo del permesso di soggiorno,
e le misure di trattenimento nei centri di detenzione amministrativa,
risultano assai spesso in violazione dei più elementari
diritti di difesa, delle garanzie in materia di libertà personale,
del diritto alla salute, diritti che caratterizzano le costituzioni
democratiche e che, in base all’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione
n. 286 del 1998, vanno riconosciuti allo straniero « comunque presente nel territorio dello stato »(10). E non si tratta di mere posizioni ideologiche, come qualcuno vorrebbe sostenere,
ma di quanto emerge dalle sentenze dei giudici che
hanno rilevato la diffusa illegittimità dei provvedimenti di allontanamento forzato e di trattenimento amministrativo, abusi
rilevati puntualmente anche nei Rapporti delle agenzie delle
Nazioni Unite, dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa,
che tengono conto delle denunce della società civile, oltre che
delle scarne informazioni fornite dai governi di turno.
Lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui diritti dei
migranti, François Crépeau ricorda, nelle anticipazioni di un
rapporto pubblicato nel mese di ottobre del 2012, il presupposto
da cui bisogna partire nell’analizzare le politiche migratorie
per verificare che vengano tutelati i diritti fondamentali dei
migranti. Per il Rapporteur, « l’immigrazione irregolare non
è un crimine, non è un reato contro le persone, non è un
reato contro il patrimonio, e non è un reato contro la sicurezza
pubblica, è solo l’ attraversamento di una frontiera ».
Violazioni sempre più gravi dei diritti dei migranti irregolari
sono state denunciate nel tempo anche dall’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati (11), da Save The Children (12), da Terre des Hommes (13), e da MEDU, Medici per i diritti umani (14),
in rapporti facilmente reperibili nei siti delle diverse organizzazioni,
ma puntualmente ignorati dai decisori politici e dalle
autorità amministrative, come dalla maggior parte dei mezzi di
informazione. Violazioni dei diritti fondamentali della persona
umana che si verificano ovunque, alle frontiere marittime come
negli aeroporti internazionali, e poi ancora dopo l’ingresso
irregolare nel territorio dello stato, ma con conseguenze più
gravi nel caso dei soggetti “vulnerabili”, come i richiedenti
asilo, i minori non accompagnati (15), i malati e le vittime di tratta
o di altre forme di violenza. Spesso non è neppure possibile ricorrere
ad un’autorità giurisdizionale, basti pensare alla rapidità
delle procedure di allontanamento forzato, quando si finisce rinchiusi all’interno di un centro di transito o di detenzione informale, alla cronica mancanza di interpreti, alle difficoltà
frapposte per la sottoscrizione della procura agli avvocati di
fiducia (16), ai limiti posti per l’accesso al patrocinio gratuito, ed
al ruolo subalterno dei difensori d’ufficio, privati dei tempi
necessari per un effettivo esercizio dei diritti di difesa.
Per gli immigrati fermati all’ingresso o subito dopo aver
superato irregolarmente la frontiera il trattenimento può non
arrivare neppure alla fase di convalida da parte dell’autorità
giudiziaria: nel caso in cui gli ostacoli all’accompagnamento
coattivo alla frontiera siano rimossi, entro i brevi termini previsti
per il controllo giurisdizionale (48 ore per la comunicazione
e altre 48 per la convalida) dall’art. 13 della Costituzione, oltre
che dall’art. 14 del Testo Unico n.286 del 1998 in materia di
immigrazione, lo straniero “respinto” può essere rimpatriato
senza che alcun giudice sia chiamato a convalidare una misura
indubbiamente limitativa della libertà personale. Una prassi
applicata da anni sulla base dell’art. 10 comma 1 e 2 del T.U.
sull’immigrazione, in materia di respingimento, che si pone in
contrasto con quanto affermato dalla sentenza n. 105 del 2001
da parte della Corte Costituzionale, secondo la quale tutte le diverse
ipotesi di accompagnamento forzato in frontiera, siccome
provvedimenti amministrativi che limitano la libertà personale,
devono essere soggette alla convalida del giudice, nei ristretti
termini temporali dettati dall’art. 13 della Costituzione.
Da anni si assiste dunque ad una proliferazione di normative
di stampo emergenziale che, in materia di allontanamento
forzato e detenzione degli immigrati irregolari, assegnano ai
vertici delle autorità amministrative e militari poteri tanto ampi
da incidere sui diritti fondamentali della persona umana sottraendosi a qualunque controllo giurisdizionale. Provvedimenti
legislativi adottati sull’onda di emergenze annunciate ed amplificate
dai mezzi di informazione ben al di là della loro effettiva
consistenza, come i cd. pacchetti sicurezza varati dal governo
nel 2009 e nel 2011 (17), poi ratificati dal Parlamento con voti di
fiducia, sostanzialmente rimessi nella loro concreta attuazione
alle scelte discrezionali delle autorità di polizia e del Ministero
dell’Interno, hanno svuotato la valenza effettiva della riserva di
legge, consolidato principio costituzionale che assegna appunto
alla legge, e non ai provvedimenti amministrativi, la regolazione
della “condizione giuridica dello straniero”, richiamata
dall’art. 10 della Costituzione (18). Una disciplina che dovrebbe
anche rispettare la gerarchia delle fonti normative. Secondo
l’art. 10 comma 2 della Costituzione, infatti, “l’ordinamento
giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale
generalmente riconosciute e “la condizione giuridica dello
straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali” (19).
Quando i giudici intervengono con le loro sentenze, sanzionando
norme o prassi amministrative che, in materia di allontanamento
forzato e di trattenimento degli stranieri irregolari, si
discostano dai principi costituzionali o dalle previsioni vincolanti
del diritto comunitario e del diritto internazionale, sembra che
basti un successivo intervento del legislatore, o persino una circolare
interna,magari allo scopo dichiarato di “evitare ricorsi” (20), per
“sterilizzare” la portata di controlli giurisdizionali. Un autentico
attentato al principio della separazione dei poteri, che dovrebbe costituire il cardine dello “stato di diritto” in un paese che si definisce
ancora come “democratico”. Ma la rottura costituzionale si
consuma già con il ricorso inarrestabile alla decretazione d’urgenza
ed alla dichiarazione periodica del cd. stato di emergenza, anche
in presenza di fenomeni come gli “sbarchi”, più spesso interventi
di salvataggio, che si intensificano a cadenza ciclica, costituendo
ormai un evento che dovrebbe trovare le istituzioni pronte a
fornire risposte adeguate e tempestive. E solo una minima parte
dell’immigrazione irregolare (meno del dieci per cento) deriva
dall’ingresso via mare, spesso frutto di operazioni di soccorso
che si sono svolte in acque internazionali. Eppure sembra che l’emergenza immigrazione sia conseguenza soltanto degli “sbarchi”
nell’Italia meridionale, ed in particolare in Sicilia, con il periodico
intensificarsi degli arrivi dai paesi africani che si affacciano sul
Mediterraneo. Si è utilizzata persino una piccola isola di frontiera
come Lampedusa, in situazioni esplosive indotte periodicamente
dalle scelte strumentali dei governi di turno, per promuovere
modifiche legislative e prassi amministrative in aperto contrasto
con il dettato costituzionale e le normative comunitarie.Ma per
comprendere come si è arrivati alla situazione odierna occorre
ricostruire il percorso di progressivo inasprimento delle misure
di contrasto dell’immigrazione irregolare.
L’istituto della detenzione amministrativa, a partire dalla
legge 40 del 1998 (cd. legge Turco–Napolitano), anticipata sotto
questo aspetto dai decreti Dini e dalla cosiddetta Legge Puglia
del 1995, veniva poi recepito all’interno del Testo Unico n.286
del 1998, con la possibilità di un allontanamento forzato degli
immigrati irregolari trattenuti nei centri senza che fosse prevista
la preventiva convalida giurisdizionale. La sentenza della
Corte Costituzionale n. 105 del 2001 (21), non riusciva a cancellare le relative norme, gli articoli 10 (sui respingimenti), 13 (sui
provvedimenti di espulsione) e 14 (sul trattenimento amministrativo)
del Testo Unico, ma ne proponeva una applicazione
costituzionalmente orientata, anche se restavano spazi enormi
per l’uso, e l’abuso, della discrezionalità amministrativa nel
trattenimento e nel successivo allontanamento forzato degli
immigrati entrati o soggiornanti nel territorio dello stato senza
documenti validi. Sul rigoroso principio immediatamente
precettivo dell’art. 13 della Costituzione, che impone una fase
immediata di controllo giurisdizionale su qualunque limitazione
della libertà personale praticata dalle autorità di polizia, è
prevalso, a partire dalla relazione di accompagnamento della
legge Turco–Napolitano n. 40 del 1998, il richiamo rituale all’art.
5 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti
dell’Uomo, che consente alle autorità amministrative poteri
molto ampi in materia di allontanamento forzato degli stranieri
irregolari. Una norma che però andava letta ed applicata alla
luce del riconoscimento dei diritti fondamentali della persona
contenuti nella stessa Convenzione Europea a salvaguardia dei
diritti dell’uomo, come nei confronti dell’Italia, soltanto nel
2012 ed in singoli casi, la Corte Europea di Strasburgo è riuscita
ad affermare. E la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea ha reso direttamente vincolanti per gli stati i principi e
la giurisprudenza della Corte Europea che vietano la tortura
e i trattamenti inumani o degradanti (art. 4), e riaffermano il
divieto di espulsione collettiva (art. 19).
L’espansione della discrezionalità amministrativa è stata favorita
anche dai ritardi dei governi. Il regolamento di attuazione
della legge 40, poi trasfusa nel Testo Unico n. 286, del 1998, venne
emanato solo l’anno successivo, con il decreto del Presidente
della Repubblica (DPR) n.394 del 1999, dopo una serie di trattenimenti
nei centri di permanenza ed accoglienza temporanea
eseguiti dalle forze dell’ordine secondo le istruzioni interne
stabilite da Prefetti e Questori, sulla base di circolari ministeriali
riservate. Una gestione sottratta ad un effettivo controllo
giurisdizionale di quelli che allora si chiamavano CPT, avendo perso subito qualunque carattere di accoglienza, culminata con
la rivolta ed il rogo del Centro Serraino Vulpitta di Trapani, il
29 dicembre del 1999 (22), a seguito della quale persero la vita sei
immigrati nordafricani. Dopo quella tragedia, con l’ennesima
circolare ministeriale (cd. circolare Maritati) si tentò di “umanizzare”
e razionalizzare la gestione di strutture chiaramente
detentive, cercando di porre limiti alla promiscuità dei trattenuti,
ed al circuito perverso carcere–detenzione amministrativa,
che di fatto si traduceva in una “doppia pena”. Ben presto apparve
però evidente come la materia restava saldamente ancorata
alla potestà discrezionale dell’autorità amministrativa locale e
della Direzione centrale pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno.
E non si realizzò mai una vera collaborazione tra
il Ministero della giustizia e l’amministrazione degli interni
per favorire la identificazione degli immigrati in carcere prima
della scadenza dei termini di detenzione. La circolare Maritati
venne presto accantonata anche per la caduta del governo e la
sostituzione del sottosegretario. Fino al 2001 non era neppure
prevista la convalida giurisdizionale per l’internamento nei
“centri di permanenza ed accoglienza temporanea ” (CPTA),
come se la misura amministrativa del trattenimento incidesse
solo sulla libertà di circolazione e non anche sulla libertà personale,
le cui limitazioni andavano sottoposte ad un tempestivo
controllo giurisdizionale, garantito a tutti, e non soltanto ai
cittadini, dall’art. 13 della Costituzione (23).
Note:
1. Cfr. B. NASCIMBENE (a cura di), con contributi di P. BONETTI, Diritto degli
stranieri, CEDAM, Padova, 2004; F. ANGELINI, M. BENVENUTI, A. SCHILLACI (a cura di),
Le nuove frontiere del diritto dell’immigrazione:integrazione, diritti, sicurezza, Jovene
Editore, Napoli 2011.
2. Da ultimo si rinvia alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
del 23 febbraio 2012, sul caso Hirsi in www.meltingpot.org/articolo17441.html.
3. Si rinvia per i dati più aggiornati al rapporto di MEDU, Medici per i diritti
umani, L’iniquo ingranaggio dei CIE, luglio 2012, e sempre della stessa organizzazione,
Medici per i Diritti Umani, Le sbarre più alte. Rapporto sul centro di identificazione
ed espulsione di Ponte Galeria a Roma, maggio 2012, facilmente reperibili nel sito
www.mediciperidirittiumani.org
4. Basti pensare al legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, che
si realizza con la figura del contratto di soggiorno introdotto dalla legge Bossi–Fini
del 2002, ed al più recente accordo di integrazione, una sorta di permesso di soggiorno
a punti, che espone alla perdita del documento di soggiorno anche coloro che
lavorano e vivono in Italia da anni. Il tema dell’allontanamento forzato degli immigrati
irregolari non comprende soltanto gli sbarchi e l’attraversamento delle frontiere
terrestri degli immigrati senza visto di ingresso, ma riguarda sempre più spesso
immigrati che hanno goduto in precedenza del permesso di soggiorno, e dopo avere
perso il lavoro non sono riusciti a trovare entro i brevissimi termini imposti dalla legge (sei mesi) un altro datore di lavoro disposto a metterli in regola, e dunque sono
stati raggiunti da un provvedimento di espulsione con accompagnamento forzato in
frontiera.
5. « Si è venuto formando, in questo modo, un nuovo proletariato, discriminato
giuridicamente e non più solo economicamente e socialmente. I nuovi lavoratori
immigrati infatti, soprattutto se clandestini, non hanno diritti, e sono perciò esposti
al massimo sfruttamento. Il fenomeno non è nuovo. Sempre le diverse generazioni
delle classi operaie sono state formate e alimentate da flussi migratori: dall’emigrazione
dalle campagne che fece nascere il primo proletariato industriale in Inghilterra;
da quella italiana e irlandese negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e il primo
Novecento; dal Sud al Nord dell’Italia nel nostro secondo dopoguerra. Sempre i
nuovi venuti sono stati oggetto di discriminazioni e messi in concorrenza con il
vecchio proletariato. Ma oggi lo sfruttamento e l’oppressione sociale si avvalgono
anche delle disuguaglianze giuridiche che intervengono, nello status civitatis, tra
cittadini e stranieri » in L. FERRAJOLI, Libertà di circolazione e di soggiorno. Per chi?, in
Bovero M. (a cura di), Quale libertà. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza,
Roma–Bari 2004, p. 181.
6. Nello Schema di Capitolato di appalto per la gestione dei centri per gli stranieri,
adottato dal Ministero dell’Interno nel 2008, si distinguono: 1) Centri di primo
soccorso ed assistenza (CSPA): strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco
destinate all’accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro
trasferimento presso altri centri (indicativamente 24/48 ore); 2) Centri di accoglienza
(CDA): strutture destinate all’accoglienza degli immigrati per il periodo necessario
alla definizione dei provvedimenti amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale (Legge 29 dicembre 1995 n. 563—c.d. Legge Puglia); 3) Centri
di accoglienza per Richiedenti asilo (CARA): strutture destinate all’accoglienza dei
richiedenti asilo per il periodo necessario alla loro identificazione o all’esame della
domanda d’asilo da parte della Commissione territoriale (Decreto Lg.vo 28 gennaio
2008 n. 25); 4) Centri di identificazione ed espulsione (CIE): strutture (così denominate
ai sensi del Decreto legge 23 maggio 2008 n. 92) destinate al trattenimento
dell’immigrato irregolare per il tempo necessario alle forze dell’ordine per eseguire
il provvedimento di espulsione (Legge 6 marzo 1998, n. 40).
7. Cfr. A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l’espulsione degli immigrati
in Europa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2008; M. SPATTI, I limiti all’esclusione degli
stranieri dal territorio dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2010.
8. L’art. 20, comma 5 del Regolamento di attuazione n. 394 del 1999 precisa a
tale riguardo che « lo svolgimento della procedura di convalida del trattenimento
non può essere motivo del ritardo dell’esecuzione del respingimento ». Lo straniero
“respinto” sembra dunque godere di minori garanzie rispetto a quello che, per essersi
trattenuto sul territorio in posizione irregolare o clandestina, è invece soggetto
a un provvedimento di espulsione. Ed anche questo è il motivo per il quale le
questure adottano provvedimenti di respingimento differito, operando con una
vasta discrezionalità anche in casi nei quali potrebbe emettersi un provvedimento di
espulsione.
9. Cfr. F. VASSALLO PALEOLOGO, Il respingimento differito disposto dal questore e le
garanzie costituzionali, in « Diritto, Immigrazione e Cittadinanza », 2, 2009, p. 15.
10. Cfr. P. BONETTI, I principi, i diritti e doveri. Le politiche migratorie, in B.
NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, CEDAM, Padova, 2004, p. 81 ss.
11. Cfr. L. BOLDRINI, Tutti indietro, Storie di uomini e donne in fuga e di un’Italia tra
paura e solidarietà nel racconto della portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati,
Rizzoli, Milano 2010.
12. Nel Rapporto L’Accoglienza temporanea dei minori stranieri non accompagnati
arrivati via mare a Lampedusa nel contesto dell’emergenza umanitaria Nord Africa,
pubblicato nel sito dell’organizzazione « Save the Children » descrive le condizioni
di accoglienza dei 1.028 minori non accompagnati trasferiti, tra luglio e settembre
2011, da Lampedusa nelle 24 Strutture di Accoglienza Temporanea (SAT) ubicate in
Calabria, Sicilia, Basilicata, Puglia e Toscana.
13. « Sono ancora troppi i minori migranti in Italia che permangono in un
limbo giuridico, e molti finiscono per scomparire dai centri d’accoglienza, anche
perché spesso il personale non è adeguatamente formato per dare loro un’efficace
assistenza ». Questa la denuncia di Terre des Hommes agli European Development
Days, promossi dalla Commissione Europea e dalla Presidenza Polacca del Consiglio
dell’Unione Europea a Varsavia il 15 e il 16 dicembre 2011. « Il modello d’accoglienza
dei bambini e degli adolescenti migranti che abbiamo visto attuare durante il nostro
progetto Faro a Lampedusa presenta delle evidenti violazioni dei diritti fondamentali
dei minori », secondo Federica Giannotta, responsabile dei Diritti dei Bambini di
Terre des Hommes Italia. « Anche se adesso i centri di Lampedusa sono chiusi,
paradossalmente molti minori migranti sono ancora in una sorta di limbo giuridico ».
In molti casi, infatti, pur accolti nelle SAT (Strutture di accoglienza temporanee)
non hanno un tutore, pur essendo molti di loro vicini alla maggiore età e quindi
esposti al rischio di una vicina espulsione: « l’apertura di una tutela, soprattutto
oggi, è l’unica chance che un minore migrante ha per poter vedere convertito il suo
permesso di soggiorno al compimento dei diciotto anni ».
14. Si veda il rapporto di MEDU, L’iniquo ingranaggio dei CIE, pubblicato nel mese
di luglio del 2012 e facilmente reperibile nel sito www.mediciperidirittiumani.org
15. Secondo Terre des Hommes nel 2011 « 835 minori migranti sono scomparsi
dopo essere stati trasferiti da Lampedusa. Dovremmo chiederci perché mai un
ragazzo, che ha già rischiato la vita per arrivare in Italia, debba scegliere di sottrarsi
alle cure e alla protezione di una struttura di accoglienza, preferendo affrontare i
rischi della strada e dello sfruttamento.
Questi dati sono la conferma di quanto avevamo detto mesi fa, quando ci
dichiaravamo contrari alla scelta delle SAT, dove i minori non potevano ricevere
il giusto supporto e accompagnamento a causa della mancanza di personale
adeguatamente formato ». Cfr. Terre des Hommes, Rapporto finale di attività,
www.famigliacristiana.it
16. Persino quando si voglia fare valere il diritto di ricorso dal paese di origine,
dopo il rimpatrio forzato, i consolati italiani che dovrebbero autenticare le procure
conferite agli avvocati, si rifiutano di ricevere atti e di compiere formalità che sono
prescritte dalla legge, e costringono i pochissimi ricorrenti a rivolgersi, quando se
lo possono premettere, ad un notaio, con un tale aggravio di costi che in molti casi
non è più esercitabile neppure il diritto di difesa.
17. Legge n. 94 del 15 luglio 2009 e Legge n. 129 del 2 agosto 2011.
18. Sulla cd. riserva di legge e più in generale sui principi costituzionali che
devono essere rispettati dal legislatore quando disciplina la condizione giuridica degli
stranieri, cfr. B. NASCIMBENE (a cura di), Il Diritto degli stranieri, CEDAM, Padova, 2004.
19. Sulla disapplicazione della norma interna per contrasto con una direttiva
comunitaria, cfr. Corte di Cassazione, ordinanza 8 settembre 2011, n. 18481, in
« Diritto, Immigrazione e Cittadinanza », 3, 2011, p. 140.
20. Circolare del Ministero dell’Interno, dipartimento della pubblica sicurezza,
protocollo 400/B/2010, a firma del capo della polizia, prefettoManganelli, in «Diritto,
Immigrazione e Cittadinanza », 4, 2010, p. 272.
21. Sulla giurisprudenza della Corte Costituzionale nel 2001, cfr. G. SAVIO, Brevi
note sulla pronuncia della Corte costituzionale n.35/2001 in tema di convalida del trattenimento
in C.P.T., in «Diritto, Immigrazione e Cittadinanza », 1, 2002, p. 107 ; V. ANGIOLINI,
L’accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera e la tutela della libertà personale:
con la sentenza n. 105 del 2001 la Corte fa (solo) il primo passo e lascia ai giudici (comuni) di
proseguire, in «Diritto, Immigrazione e Cittadinanza », 2, 2001, p. 67.
22. Malgrado l’assoluzione del Prefetto di Trapani nel processo penale seguito
alla strage, nel successivo giudizio civile conclusosi davanti al Tribunale di Palermo,
i giudici con la sentenza dell’11 giugno 2008 condannavano il Ministero dell’Interno,
« di cui la Prefettura è organo periferico » a risarcire due superstiti a causa della
omessa installazione di un idoneo impianto antincendio, e per la scarsa diligenza
degli agenti in servizio la sera del rogo, ravvisando anche gli estremi del delitto
di lesioni colpose. Ma non si disponeva nessuna indagine per un nuovo processo
penale.
23. P. BONETTI, Espulsione, accompagnamento e trattenimento dello straniero di fronte
alla riserva di giurisdizione prevista dalla Costituzione, in « Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza », 4, 2000, p. 11; P. BONETTI, Profili costituzionali della convalida giurisdizionale
dell’accompagnamento alla frontiera, in « Diritto, Immigrazione e Cittadinanza »,
2, 2002, p. 13; P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare.