Il tema dell’immigrazione è ritornato di attualità grazie alle proposte della neo-ministra all’integrazione in materia di cittadinanza e sull’abrogazione del reato di clandestinità, seguite da una reazione immediata del centrodestra che ha fatto capire subito come qualsiasi modifica in queste materie potrebbe compromettere l’esistenza stessa del governo “di larghe intese”. Altre questioni avvertite da tempo, anche per tentativi di sbarco che sono costati la vita a diversi migranti, o hanno comportato gesti tragici di autolesionismo nei CIE fino ai tentativi di suicidio, come le pratiche arbitrarie di detenzione amministrativa ed i respingimenti collettivi in frontiera, rischiano così di restare ancora una volta sullo sfondo del dibattito pubblico. Sembrano sempre più lontane le modifiche legislative sui centri di detenzione che, sino a pochi mesi fa, un movimento molto articolato rivendicava con un buon riscontro mediatico e politico oltre che con iniziative, come le visite periodiche nei centri di identificazione ed espulsione, che avevano permesso ovunque di evidenziare trattamenti inumani o degradanti ed una serie di inadempienze alle convenzioni stipulate dagli enti gestori. Nulla si sa delle diverse indagini aperte in proposito dalla magistratura.
Malgrado i silenzi dei principali media nazionali, si verificano ancora, in Sicilia come in Puglia, una serie di prassi illegittime applicate dalla polizia di frontiera che ignora impunemente le prescrizioni vincolanti in materia di respingimento e trattenimento amministrativo, dettate dal Regolamento Frontiere Schengen, n.562 del 2006, che impone formalità e garanzie precise per tutti i casi di respingimento, dalla Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE, secondo cui il trattenimento amministrativo si può verificare solo all’interno dei CIE con precise garanzie procedurali, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che all’art. 19 vieta espressamente le espulsioni ed i respingimenti collettivi. Per non parlare della Costituzione italiana continuamente tradita nella violazione degli articoli 13 e 24 che stabiliscono l’obbligo della convalida giurisdizionale del trattenimento amministrativo ed il diritto ad un ricorso effettivo per tutti, dunque anche per gli immigrati irregolari, come ribadito dall’art. 13 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Particolarmente critica la situazione nella quale si vengono a trovare coloro che provengono dall’Egitto, anche perché le procedure di identificazione sono assai rapide e non si considera che la maggiore età in Egitto si consegue con il compimento del diciottesimo anno di età, e dunque i divieti di respingimento stabiliti in favore dei minori, come stabilisce la nostra giurisprudenza, andrebbero applicati anche in favore di tutti coloro che sono da considerare come minori nel proprio paese di origine. Ma nelle poche ore nelle quali si svolgono le procedure di prima identificazione non vi è alcuna possibilità di contatto con avvocati ed associazioni indipendenti, in quanto tutti i migranti vengono “isolati” dalle forze di polizia in strutture di prima accoglienza inaccessibili, luoghi diversi come scuole, stadi e palestre reperiti dalle prefetture, di fatto veri e propri centri di detenzione temporanei ed informali. Dopo l’utilizzo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) come luoghi chiusi di detenzione, si è passati adesso alla creazione temporanea di centri di (primissima) accoglienza reperiti dalle locali prefetture nei quali le persone vengono interrogate dalla polizia ed identificate, senza potere fare valere i diritti di difesa e senza avere accesso alla procedura di asilo. Per i tunisini si utilizzano stadi e capannoni ubicati nelle province di Agrigento e Trapani, per gli egiziani da ultimo si sono aperte provvisoriamente diverse strutture di prima accoglienza a Siracusa e nei dintorni. Notizie su strutture simili giungono anche dalla Puglia e dalla Calabria. Già nel mese di marzo di quest’anno avevamo denunciato casi di respingimento collettivo da parte della polizia di frontiera di Siracusa. Adesso queste pratiche illegittime proseguono con cadenza regolare e si estendono ad altre regioni italiane, come se il decreto legislativo n.25 del 2008 non avesse espressamente abrogato quelle residue disposizioni della legge Martelli (39/90) che consentivano alle autorità di polizia in frontiera di valutare come manifestamente infondata una richiesta di asilo e di procedere immediatamente all’accompagnamento forzato.
Secondo l’AGI, il 16 aprile scorso, dopo l’ennesimo sbarco nella Locride, “un barcone carico di disperati con una quarantina fra uomini e donne di nazionalita’ egiziana, molti i minori, è approdato a Capo Bruzzano, nel reggino. I carabinieri della compagnia di Bianco e del commissariato di polizia hanno intercettato un gruppo di giovani che si aggirava sulla spiaggia. I naufraghi ritrovati sono stati intercettati da polizia e carabinieri che hanno subito avviato indagini e provveduto alla loro identificazione”. Gli stessi sarebbero stati “ricoverati al centro C.o.m.(centro operativo misto) di Bianco”. Non si sa nulla della sorte toccata a coloro che sono stati ritenuti adulti, né di quanti abbiano potuto chiedere asilo. In passato, secondo le cronache della stampa locale, la maggior parte degli egiziani giunti in Puglia e Calabria sono stati rimpatriati nel giro di poche ore.
Il 19 aprile scorso, come riferisce il Giornale di Sicilia, a Siracusa “sessantuno migranti, tra cui una bambina di circa quattro anni, stipati su un motopesca fatiscente e con i motori in avaria sono stati soccorsi dalle motovedette della Guardia costiera di Siracusa a circa 12 miglia a est delle coste siracusane. Il peschereccio, circa 13 metri di lunghezza, in legno, definito in pessime condizioni, è stato trainato nel Porto grande di Siracusa. A terra è stato approntato il dispositivo di assistenza per fornire il primo aiuto ai migranti (secondo le prime indicazioni potrebbe trattarsi per lo più di egiziani, anche se la bimba ed il padre sarebbero siriani), sottoporli ai controlli sanitari ed alle operazioni di identificazione. Sulla banchina antistante il comando della Guardia costiera è scattato il presidio di forze dell’ordine, protezione civile, volontari ed autorità sanitaria marittima. Al lavoro anche gli investigatori dello speciale nucleo interforze della procura della Repubblica di Siracusa specializzato in indagini legate agli sbarchi di migranti”. Mentre coloro che sono stati riconosciuti come minori sono stati trasferiti in altre strutture, diverse decine di migranti egiziani ritenuti adulti sono stati immediatamente rimpatriati, applicando con tutta probabilità la disposizione dell’art. 10 comma 1 del T.U. sull’immigrazione, che prevede il respingimento immediato ai varchi di frontiera, anche se si trattava di persone che avevano fatto ingresso nel territorio dello stato per ragioni di soccorso e che, anche per questa ragione, avrebbero avuto diritto ad un procedimento equo ed imparziale, senza escludere una valutazione medica più approfondita per l’accertamento dell’età e l’accesso alla procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Un successivo articolo del Giornale di Sicilia del 23 aprile 2013 ricostruisce uno sbarco. Secondo quanto riferisce il giornale, “le indagini, che sono state condotte insieme al Gruppo interforze della Procura ed alla Guardia di finanza, hanno permesso di ricostruire tutte le fasi del viaggio, iniziato dal porto di Alessandria D’Egitto”. Dall’articolo si è appreso che sarebbe fuggito da quello che viene definito come “un centro di prima accoglienza” un gruppo di immigrati. Secondo il giornale “una parte di questi fuggitivi è stata acciuffata dalla polizia mentre continueranno oggi le ricerche degli altri ma è solo una questione di tempo. Senza soldi e privi di documenti sarà difficile se non impossibile reggere la ”latitanza”. Il giornalista conclude con una rassicurazione, “gli egiziani saranno comunque rimpatriati e già una buona fetta di loro è nel loro paese: una beffa, dopo aver speso i risparmi di una vita per quella traversata in mare”. Quanto avvenuto in questi giorni nella zona di Siracusa si verifica da tempo anche se la stampa nazionale non se ne occupa più. Dall’articolo del Giornale di Sicilia, nel quale si giunge a parlare di “latitanza” come se i fuggitivi avessero commesso un reato e dovessero scontare una pena, si ha quindi la conferma dell’esistenza a Siracusa di un centro di accoglienza/detenzione informale e della pratica dei respingimenti collettivi immediati, malgrado i divieti stabiliti dalle Convenzioni internazionali e dal Regolamento frontiere Schengen del 2006.
Secondo una notizia dell’agenzia ASCA del 30 aprile 2013, 78 migranti, una quarantina dei quali minorenni, sarebbero stati soccorsi nella notte da due unità navali della Guardia costiera. Secondo quanto riferito all’Asca dal luogotenente Bosco, capo della sala operativa della capitaneria di Siracusa ”un’imbarcazione da pesca con scritte arabe, e’ stata avvistata da un velivolo della Guardia di finanza”, e quindi intercettata dalle due unità navali della Guardia costiera ”circa 25 miglia a largo delle coste di Siracusa”. Il barcone con a bordo i migranti ”era alla deriva a causa di un’avaria al timone” e ”date le condizioni del mare e’ stato impossibile il trasbordo, pertanto l’imbarcazione e’ stata rimorchiata da due unità navali della Guardia costiera insieme ad altre due della Finanza fino all’interno del Porto grande di Siracusa”. Tutti i migranti, sia i minori che i maggiorenni in buone condizioni di salute, sono stati condotti ”presso l’istituto Umberto primo di Siracusa, un centro di accoglienza”, come ha riferito Bosco. Delle quasi 80 persone soccorse ”alcune sono state ricoverate presso l’ospedale civile di Siracusa, mentre altre attenzionate in quanto disidratate e spossate”, ha riferito il luogotenente. ”Probabilmente – ha aggiunto – i tre scafisti si nascondono tra i migranti soccorsi, mentre il barcone e’ stato posto sotto sequestro e verrà poi demolito in base alla legge vigente”, ha concluso Bosco. Dopo qualche giorno, di notte, molti degli immigrati presenti in questo “centro di accoglienza” sono stati portati all’aeroporto di Catania. Ad ogni persona corrispondeva un poliziotto in borghese che li avrebbe accompagnati in manette sull’aereo per Roma. All’arrivo a Roma alcuni di loro sarebbero stati presi in consegna dalla polizia e trasferiti su un altro aereo poi decollato per la Siria. Senza che a nessuno fosse consentito chiedere asilo o avvalersi della difesa di un avvocato, rispediti indietro come pacchi, esattamente come l’Italia aveva respinto verso la Libia nel 2009 i migranti che poi avevano fatto ricorso alla Corte Europea di Strasburgo che nel febbraio del 2012 condannava il nostro paese (caso Hirsi Jamaa e altri). Ma dalla Siria o dall’Egitto, come per la maggior parte dei migranti respinti verso la Libia, non è mai stato possibile fare arrivare un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Se i respingimenti collettivi sono effettuati con queste modalità e con questi tempi non solo è precluso l’accesso alla procedura di asilo ed una corretta individuazione dei soggetti vulnerabili, ma viene annullato anche lo stesso diritto ad un “ricorso effettivo” garantito dalla Direttiva sui rimpatri n.115 del 2008 e dall’art.13 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Negli stessi giorni, alla fine del mese di aprile, un gruppo di altri 12 migranti e’ stato salvato dai carabinieri a largo delle coste calabresi, mentre la Guardia costiera di Gallipoli ha soccorso 32 persone – 10 uomini, 7 donne e 15 bambini di cui un neonato di appena 2 mesi – lasciate ancorate in mare su una barca a vela di 10 metri: gli scafisti erano, intanto, fuggiti a bordo di un’imbarcazione secondaria, poi ritrovata dagli inquirenti poco distante. ”Non conosciamo il luogo di partenza dell’imbarcazione, ma i migranti sono di nazionalita’ afgana e siriana e sono tutti in buone condizioni di salute”, ha indicato all’Asca, Achille Selleri, comandante in seconda della Capitaneria di porto di Gallipoli della Guardia costiera. Non si sa nulla della sorte degli immigrati di nazionalità afghana e siriana che come tali avrebbero dovuto ricevere tempestivamente informazioni sulla possibilità di chiedere asilo e avere accesso alla relativa procedura.
Ancora il 2 maggio del 2013 un nuovo sbarco di migranti sulle coste siciliane, in località Scalo Mandria, nel comune di Portopalo di Capo Passero, nel Siracusano. Come riferisce la stampa locale “tra gli stranieri, ci sarebbero afgani e siriani, in tutto 20 uomini, 2 donne e 5 minori. Visitati dai medici, le loro condizioni sono state ritenute buone. Per la traversata è stata utilizzata una barca a vela, intercettata da motovedette della Guardia di finanza e della Guardia costiera al limite delle acque internazionali. I carabinieri hanno avviato le procedure per l’identificazione e per individuare gli scafisti del gruppo. Secondo quanto si è appreso in seguito tutti coloro che ad un primo esame sono stati ritenuti maggiorenni sono stati sottoposti alla procedura di respingimento immediato, non solo gli egiziani ed i tunisini, come avviene da tempo, ma sembrerebbe anche un gruppo di siriani, malgrado la situazione di guerra civile che caratterizza il loro paese, per i quali vige un esplicito divieto di respingimento in base all’art. 19 del T.U. n.286 del 1998 sull’immigrazione, oltre che del Regolamento Frontiere Schengen n. 562 del 2006. E sembrerebbe anche che si sia trattato di respingimenti collettivi, senza una completa identificazione individuale, ma solo sulla base di una generica attribuzione della nazionalità e della provenienza, una pratica espletata in poche ore dalle forze di polizia, malgrado i divieti sanciti dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU e dall’art. 19 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea. Pratiche di rimpatrio collettivo consentite evidentemente dalle autorità consolari dei paesi di origine sulla base degli accordi di riammissione tuttora vigenti.
Si tratta di prassi amministrative applicate da molto tempo. Come denunciato dall’ACNUR, dall’ASGI e dalla Caritas di Catania, dopo lo sbarco sulle coste della Sicilia orientale del 26 ottobre 2010, sono stati rimpatriati 68 migranti (con un volo diretto a Il Cairo), 44 minori sono stati inseriti nel circuito delle comunità alloggio protette, altri 17 migranti sono stati arrestati con l’accusa di essere trafficanti. Gli immigrati dichiaravano di essere palestinesi, ma secondo le forze dell’ordine erano egiziani. “Indipendentemente dalla loro nazionalità – ha dichiarato il direttore della Caritas Catania – non è stato concesso loro il tempo e la possibilità di istruire una pratica per l’iter di asilo politico, come da normativa, lasciando poi valutare la situazione a chi è competente nel giudizio. E questo avviene in uno Stato di diritto”. All’aeroporto di Catania era presente un agente consolare egiziano che effettuava i riconoscimenti, mentre in un altra stanza alcuni avvocati attendevano invano che qualcuno presentasse richiesta di protezione internazionale. Una richiesta evidentemente troppo pericolosa per chi, grazie alle scelte del ministero dell’interno del nostro democratico paese, era stato già identificato dal proprio ufficio consolare.
Le indagini condotte per la ricerca di probabili scafisti hanno di fatto consentito di “isolare” interi gruppi di migranti subito dopo lo sbarco, per procedere quindi, in qualche giorno, a respingimenti collettivi, impedendo persino il contatto con quegli enti umanitari convenzionati con il ministero dell’interno proprio per individuare i soggetti vulnerabili e fornire informazioni, anche di carattere legale, subito dopo l’ingresso nel territorio italiano. Da anni, nei centri di prima accoglienza temporanei, come a Pozzallo, in provincia di Ragusa, ed informali, come quello di Siracusa, non viene neppure consentito l’accesso dell’ACNUR e dell’OIM, convenzionate con il ministero dell’interno proprio per operare nei luoghi di frontiera nell’ambito del progetto Praesidium, per assistere potenziali richiedenti asilo e altre categorie di immigrati come i minori non accompagnati e le vittime di tratta.
Ed ancora il 30 aprile 2013 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e Save the Children – che dal 2006 operano come partner nell’ambito del progetto Praesidium finanziato dal Ministero dell’Interno – dichiaravano “di non avere la possibilità di incontrare e informare sui loro diritti i migranti egiziani e tunisini giunti in Italia via mare”. Secondo quanto riferito in un comunicato, “come già accaduto più volte, anche oggi alle organizzazioni è stato negato l’accesso ai 78 migranti egiziani sbarcati a Siracusa, tra cui 25 minori non accompagnati. Le organizzazioni, così come stabilito anche dalla convenzione con il Ministero dell’Interno, avevano richiesto di poter incontrare i migranti a conclusione delle ordinarie operazioni da parte delle forze dell’ordine e prima che fossero adottati provvedimenti sul loro status giuridico ed eventuali misure di allontanamento dal territorio italiano. Secondo lo stesso comunicato “dall’inizio dell’anno sono stati centinaia i migranti egiziani e tunisini rimpatriati senza avere avuto la possibilità di entrare in contatto con le Organizzazioni umanitarie, che svolgono un’importante attività di tutela nei confronti di persone bisognose di protezione tra cui rifugiati, vittime di tratta e minori non accompagnati. Una problematica sollevata anche da Francois Crepeau, Special Rapporteur per i diritti delle persone migranti presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, al termine della sua missione in Italia dello scorso ottobre 2012. L’UNHCR, l’OIM e Save the Children, pur comprendendo l’importanza di esercitare il legittimo controllo delle frontiere nell’ambito di flussi migratori misti, ribadiscono la necessità di tutelare i diritti di tutti i migranti indipendentemente dal loro Paese di origine, e chiedono nuovamente alle autorità che venga concesso alle Organizzazioni di svolgere pienamente le attività di tutela previste dal proprio mandato”.
L’appello delle grandi organizzazioni umanitarie, rimasto inascoltato per anni, trovava un supporto inattaccabile nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, una giurisprudenza che le forze di polizia di frontiera hanno ignorato o evitato di applicare, adducendo che nessuno dei migranti respinti avrebbe presentato una istanza di protezione internazionale. Un’argomentazione frequente quando gli immigrati irregolari sono fermati nelle zone di transito internazionale degli aeroporti, ai varchi di frontiera marittima, come nei porti di Venezia, Ancona e Bari, oppure adesso nei centri informali di accoglienza/detenzione in Sicilia, sono respinti nel giro di pochi giorni senza presentare domande di asilo, senza difesa legale e senza convalida giurisdizionale. E già nel 2001 la Corte Costituzionale con la sentenza n. 105 affermava che qualsiasi procedura di accompagnamento forzato in frontiera comportava una limitazione della libertà personale e come tale non poteva sottrarsi al rispetto delle garanzie dettate dall’art. 13 della Costituzione italiana.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 26253 del 27 ottobre 2009, depositata il 15 dicembre 2009 – accogliendo il ricorso di un cittadino nepalese contro l’espulsione disposta a seguito dell’ingresso irregolare attraverso scalo aeroportuale mentre era trattenuto nello scalo stesso, senza poter avviare la procedura di riconoscimento della protezione internazionale – ribadisce “il diritto dello straniero clandestinamente entrato nel territorio dello Stato di presentare la istanza di riconoscimento della condizione di rifugiato e di permanere nello Stato stesso, munito del permesso temporaneo o ristretto nel Centro di identificazione, sino alla definizione della procedura avente ad oggetto la verifica della sussistenza delle condizioni per beneficiare dello status ovvero della protezione umanitaria”. In base all’art. 10 della Costituzione, nella lettura che ne fornisce la giurisprudenza, anche l’accesso alla procedura di asilo costituisce un diritto soggettivo perfetto, come il diritto di difesa ed il diritto alla salute, e dunque la polizia di frontiera ha l’obbligo ricevere qualunque manifestazione di volontà, anche verbale o per gesti concludenti, che esprime una richiesta di asilo, ed è obbligata a trasmetterla alla Questura che a sua volta deve garantire l’inoltro della domanda alla competente Commissione territoriale. A parte qualche scarno comunicato della stampa locale sembra che i migranti che giungono in Sicilia e i altre regioni dall’Egitto, e da altri paesi a rischio come l’Afghanistan e la Siria scompaiano comunque dopo qualche giorno come se fossero inghiottiti da un grande “buco nero”.
Chiediamo che una commissione indipendente composta da parlamentari e giornalisti possa accertare le procedure seguite nelle operazioni di detenzione informale e di respingimento collettivo, con particolare riferimento ai migranti provenienti dalla Tunisia, dall’Egitto e più recentemente dalla Siria. Se -come appare probabile- il governo adesso in carica continuerà a mantenere queste pratiche di detenzione e respingimento, e gli accordi di riammissione che sembrano legittimarle, dovrà intensificarsi l’impegno di denuncia con la richiesta di accesso da parte di associazioni indipendenti, avvocati e giornalisti, non solo nei CIE, ma in tutti i luoghi di detenzione informale che in Sicilia e in altre regioni vengono utilizzati per “isolare e selezionare” gli immigrati prima della esecuzione “materiale” dei respingimenti collettivi.