Il 28 febbraio scorso si chiudeva la cd. emergenza umanitaria Nord Africa che era stata aperta nel febbraio del 2011 dal Governo Berlusconi. II Ministro dell’Interno Cancellieri,con una nota del 18 febbraio, comunicava quanto deciso in questo senso dal Tavolo di Coordinamento nazionale, e soprattutto la scelta di percorsi di uscita dall’emergenza che si sostanziavano nella concessione di una somma di danaro contante (in media 500 euro) ai singoli, abbandonandoli praticamente a se stessi. I centri di accoglienza gestiti dalla protezione civile venivano chiusi, e molti rifugiati buttati praticamente sulla strada erano costretti a subire lo sfruttamento dei caporali per garantirsi la sopravvivenza, mentre altri si trasferivano in diversi paesi europei caratterizzati da sistemi di accoglienza ed integrazione più efficaci. Molti di loro, alla scadenza dei documenti di soggiorno italiani, creavano movimenti di resistenza per rimanere nei paesi nei quali ormai avevano trovato anche lavoro, ma nei quali non potevano regolarizzarsi, in base al regolamento Dublino II perché erano transitati precedentemente in Italia. Da quel momento molti loro compagni giunti sulle coste italiane, in particolare in Sicilia, rifiutavano di farsi identificare, ed in molti casi si davano alla clandestinità fuggendo dai centri di prima accoglienza, allo scopo di presentare una domanda di protezione internazionale in un paese nel quale accoglienza ed integrazione non fossero solo parole stampate sulla carta. Una fuga che potrebbe essere favorita da nuovi canali di sfruttamento della clandestinità.
Con il Governo Monti il passaggio ad un sistema di accoglienza ordinario avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il coordinamento e la programmazione delle diverse fasi da parte di tavoli regionali, che avrebbero dovuto coordinare l’attività dei Prefetti nelle diverse province, con il monitoraggio delle persone presenti, delle risorse impiegate, dei percorsi di inserimento attivati. Molte regioni, dalla Lombardia alla Sicilia sono state assenti in questa delicata fase di transizione e i Tavoli regionali per la gestione dell’emergenza si sono riuniti pochissime volte senza produrre alcun coordinamento concreto. Tutto è rimasto affidato alle decisioni dei singoli Prefetti e dei Questori, mentre le risorse venivano drasticamente tagliate e si accumulavano anche i ritardi nell’erogazione delle somme previste dalle convenzioni stipulate con gli enti gestori.
Intanto l’emergenza Nord Africa, e non solo, si aggravava perché aumentava in modo consistente, soprattutto in provincia di Siracusa, ed in Calabria, anche il numero dei profughi provenienti dalla Siria, a lungo negati dalle autorità di polizia che continuavano a definirli come “sedicenti”, e che oggi costituiscono una realtà inconfutabile. La situazione nei paesi del nord africa, in continuo peggioramento, soprattutto in Egitto e in Tunisia, comportava un incremento delle partenze, anche se il grosso degli arrivi, meglio dei salvataggi, era costituito da migranti sub sahariani, in particolare somali ed eritrei, che riuscivano a fuggire dalla Libia. Persone vittime di ogni tipo di abusi ingabbiati spesso da anni in quel paese, delle quali i nuovi potentati locali, che ne controllano in armi il territorio, hanno deciso di liberarsi. E sulla loro pelle si sta ridisegnando la mappa di un nuovo racket transnazionale che nessuna autorità di polizia ha saputo finora contrastare. I periodici arresti di qualche scafista rimangono solo effimera cronaca locale ma non portano avanti di un millimetro una vera azione di contrasto che dovrebbe partire dall’apertura di canali legali di ingresso, da una pronta accoglienza e da una maggiore protezione delle vittime. Evitando soprattutto la fuga nella clandestinità, che oggi sembra dilagare, a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali.
Nei territori proliferavano centri di prima accoglienza aperti dalle Prefetture in virtù dalla legge Puglia del 1995, luoghi dalle caratteristiche giuridiche affidate alla discrezionalità della polizia, talvolta veri e propri centri di detenzione informale, sempre alla ricerca dei soliti scafisti da gettare in pasto all’opinione pubblica per distogliere l’attenzione dalle clamorose lacune del sistema di accoglienza. Per le persone coinvolte in questo meccanismo infernale la prospettiva di una lunga attesa in condizioni disumane di sovraffollamento, una totale carenza di informazioni e di assistenza legale, una grande difficoltà di accesso alla procedura di asilo e ad un vero sistema di accoglienza, nessuna prospettiva di integrazione. Il collasso del sistema di accoglienza in Italia, malgrado l’aumento dei posti disponibili nel sistema SPRAR, si ripercuoteva anche su Lampedusa, dove il Centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola tornava a funzionare con il triplo degli “ospiti” consentiti dalla capienza ridotta della struttura, ancora parzialmente inutilizzabile dopo il rogo scoppiato nel settembre del 2011.
In Sicilia la situazione era resa ancora più grave per la mancanza di una legge regionale sull’immigrazione, e per la latitanza del governo regionale su una tematica che era stata spesso oggetto di appassionati proclami da parte del Presidente Crocetta. Parole, solo parole, non seguite da fatti concreti e da impegni di spesa coerenti e continuativi.
Secondo quanto riferito dagli organi di stampa, a livello regionale, l’unica iniziativa concreta in questa materia è stata la convocazione, il 4 aprile 2013, di un tavolo tecnico del coordinamento SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) della Regione Sicilia.
Come si ricava dalle agenzie “I lavori, presieduti dal coordinatore regionale arch. Marco Aurelio Sinatra, sindaco di Vizzini, hanno visto la partecipazione dei membri designati dal coordinamento regionale, in rappresentanza dei progetti SPRAR delle città di Acireale, Agrigento, Caltagirone, Castelvetrano, Castroreale, Marsala, Chiaramonte Gulfi, Vizzini, Trapani. Dopo l’audizione tenutasi in prima commissione affari istituzionali all’ARS, nel decorso mese di marzo, il tavolo tecnico ha avviato l’attività del “laboratorio” per la definizione di una bozza di legge quadro regionale in materia di immigrazione. Così come concordato con l’assessore regionale alle politiche sociali e della famiglia, dott.ssa Ester Bonafede, il tavolo tecnico continuerà i lavori di elaborazione del disegno di legge in stretta collaborazione con il dipartimento dell’assessorato regionale competente.
L’iniziativa è finalizzata ad offrire un contributo alle istituzioni regionali per la definizione di un quadro normativo che promuova interventi finalizzati alla piena uguaglianza ed integrazione degli immigrati nel territorio regionale siciliano”.
Alla fine di giugno, proprio mentre si aggravava l’ennesima emergenza sbarchi a Lampedusa e sulle coste della Sicilia sud-orientale veniva presentato un Disegno di legge regionale, dopo che alcuni parlamentari di diverse aree politiche avevano già depositato diversi disegni di legge regionali in materia di immigrazione ed asilo. Ancora carta su carta, in assenza di un dibattito che in sede legislativa portasse in tempi rapidi all’adozione di una legge regionale attesa da anni. La Sicilia rimane così l’unica regione italiana priva di una legge regionale sull’immigrazione e la gestione del sistema di accoglienza è affidato esclusivamente alle Prefetture ed agli organi di pubblica sicurezza. E le conseguenze si vedono, basterebbe andare a verificare la situazione del Centro di Prima accoglienza e soccorso di Pozzallo (Ragusa) o i centri di prima accoglienza di Porto Empedocle (Agrigento) o di Porto Palo ( Siracusa) per verificare in quali condizioni materiali e giuridiche vengano “accolti” i migranti che giungono non tanto a seguito di sbarchi, quanto piuttosto dopo vere e proprie azioni di salvataggio in alto mare e che dunque avrebbero bisogno di strutture recettive particolarmente efficienti, soprattutto nel caso di minori non accompagnati e donne, molte delle quali in avanzato stato di gravidanza.
Le proposte
– Chiediamo innanzitutto con urgenza che la Regione Sicilia riconosca l’esistenza del problema che non si può ridurre all’ennesima “emergenza sbarchi”, un problema sino ad ora completamente ignorato. Occorre attivare effettivamente il tavolo di coordinamento regionale con i prefetti, le questure, l’ANCI regionale e con i comuni nei quali trovano accoglienza i richiedenti asilo ed i profughi. Occorre monitorare a livello regionale la situazione esistente ed individuare le modalità operative per garantire percorsi credibili di inserimento sociale di coloro che ottengono in Sicilia il riconoscimento di uno status di protezione, internazionale ( asilo o protezione sussidiaria) o umanitaria.
– In Sicilia occorre adottare al più presto una legge regionale in materia di immigrazione ed asilo con previsioni certe di stanziamenti di bilancio regionale, e con una particolare attenzione per le esigenze dei soggetti più vulnerabili, come i minori, le donne, sempre più spesso vittime di violenze e di sfruttamento, le vittime di tortura, con percorsi di formazione e di qualificazione del personale che dovrà prendere in carico tutte queste persone caratterizzate da situazioni esistenziali tanto diverse. Ancora una volta va ribadito che i migranti non possono essere considerati solo come un numero da suddividere in base a criteri contabili ma come persone che portano dentro di se abusi e violenze neppure immaginabili.
– Vanno chiusi i centri informali di prima accoglienza, come quelli attivati a Porto Palo di Capo Passero, all’interno del mercato ittico, ed a Porto Empedocle (AG) all’interno della zona portuale, in recinti sottoposti a vigilanza militare che nel tempo hanno assunto il carattere di luoghi nei quali la libertà personale è sottoposta ad evidenti limitazioni in assenza di un provvedimento amministrativo formale e della doverosa convalida da parte dell’autorità giudiziaria, come sarebbe previsto anche dall’art. 13 della Costituzione italiana.
– Rispetto alla situazione dei minori non accompagnati, occorre che lo Stato provveda ad erogare con la massima tempestività le somme dovute ai Comuni, sulla base degli accordi stabiliti con i diversi governi, trattandosi di competenze dello Stato centrale. Si deve impedire che nelle regioni di primo arrivo, come la Sicilia, si prosegua con la prassi secondo la quale il collocamento dei minori avviene, da parte dell’autorità di polizia,o delle Prefetture, direttamente presso le strutture di accoglienza,al di fuori di qualsiasi piano regionale, senza il previo accordo e autorizzazione con gli enti locali territorialmente competenti. Ed anche sulle strutture di accoglienza per minori così individuate andrebbe effettuato un monitoraggio continuo, che fin qui si è svolto solo in rare occasioni. Un aspetto ulteriore è poi quello dei minori non accompagnati richiedenti asilo rispetto ai quali, nonostante la norma ponga chiaramente in capo al Ministero dell’Interno la responsabilità, non ci sono certezze di sorta in merito alla copertura dei costi di presa in carico prima dell’entrata nel circuito SPRAR.
– Allo stato della vigente legislazione nazionale e regionale vanno individuati percorsi per portare all’autonomia il maggior numero degli immigrati accolti nei centri di accoglienza, promuovendo percorsi di integrazione ed avviamento al lavoro legale, contrastando lo sfruttamento del lavoro nero attorno alle strutture di accoglienza, e chiudendo strutture ormai ingovernabili come il CARA di Mineo (Catania), dove si verifica il blocco del turn-over e la presenza di oltre tremila persone, alcune delle quali neppure censite.
– Per sbloccare una situazione che è diventata ormai esplosiva occorre che il governo centrale istituisca di nuovo le sottocommissioni competenti ad esaminare le domande di asilo, o ne raddoppi comunque il numero, per garantire tempi di attesa più brevi di quelli attuali, quasi un anno, e il mantenimento di procedure eque e trasparenti nell’adozione di decisioni che condizioneranno tutta la vita dei richiedenti. Ed è anche importante che vengano rimossi gli ostacoli di natura amministrativa e contabile per il pieno accesso dei ricorrenti contro i dinieghi al patrocinio a spese dello stato, unico strumento per evitare che anche in questo campo si diffondano comportamenti speculativi o vere e proprie truffe ai danni dei migranti.