1.Nessuna svolta al Consiglio Europeo di Bruxelles del 25 e 26 ottobre 2013.
Continua la politica “doppia” del Consiglio e della Commissione, malgrado un timido tentativo di discontinuità proposto dal Parlamento Europeo con una Risoluzione votata il 23 ottobre.
In questa Risoluzione il Parlamento sottolinea che la ricollocazione dei beneficiari di protezione internazionale e dei richiedenti asilo è una delle forme più concrete di solidarietà e di condivisione delle responsabilità; pone l’accento sull’importanza di progetti quali il progetto pilota di ricollocazione da Malta all’interno dell’UE (EUREMA) e la sua proroga, in base al quale i beneficiari di protezione internazionale sono tuttora ricollocati da Malta in altri Stati membri, e raccomanda lo sviluppo di ulteriori iniziative di questo tipo. Iniziative che sarebbe dunque promuovere anche per i migranti giunti in Italia, Il Parlamento inoltre “plaude alle proposte della Commissione di avviare un’operazione di ricerca e soccorso da Cipro alla Spagna e di rafforzare Frontex aumentandone la dotazione finanziaria e le capacità, al fine di salvare vite e lottare contro la tratta di esseri umani e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, invitando i co-legislatori (Commissione e Consiglio) a concordare rapidamente nuove disposizioni vincolanti in materia di intercettazione per quanto riguarda le operazioni in mare svolte sotto il coordinamento di Frontex, in modo da conseguire misure di soccorso efficaci e coordinate a livello di Unione e garantire che le operazioni siano condotte nel pieno rispetto delle pertinenti leggi e norme internazionali in materia di diritti umani e rifugiati, nonché degli obblighi derivanti dal diritto del mare”.
Il Parlamento, tra gli altri auspici, “invita l’Unione, Frontex e gli Stati membri ad assicurare che l’assistenza ai migranti in difficoltà e il soccorso in mare figurino fra le priorità fondamentali in sede di attuazione del regolamento EUROSUR appena adottato”; in questa ottica si “invita, in via prioritaria, a migliorare il coordinamento dei mezzi e delle risorse dell’Unione, tra cui quelle a disposizione di Frontex (ad esempio EUROSUR) ed Europol, al fine di intensificare, insieme ai paesi terzi, la lotta contro le reti criminali della tratta di esseri umani e del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, ribadendo “ la necessità che la solidarietà dell’Unione vada di pari passo con la responsabilità, aggiungendo che gli Stati membri hanno l’obbligo giuridico di venire in aiuto dei migranti in mare”. Infine, dopo avere espresso “ preoccupazione per il crescente numero di persone che rischia la vita intraprendendo pericolose traversate del Mediterraneo verso l’UE”, il Parlamento UE invita gli Stati membri ad adottare misure che consentano ai richiedenti asilo di accedere in maniera sicura ed equa al sistema di asilo dell’Unione”, rilevando “che l’ingresso legale nell’UE è preferibile all’ingresso irregolare, il quale presenta maggiori rischi, anche con riferimento alla tratta di esseri umani e alla perdita di vite umane”.
Le proposte del Parlamento Europeo non si limitano, peraltro, alle questioni della protezione internazionale e del diritto di asilo, ma riguardavano anche i cosiddetti migranti economici. Per loro il Parlamento “esorta l’Unione a elaborare una strategia più ampia, soprattutto per il Mediterraneo, che ponga la migrazione dei lavoratori nel contesto dello sviluppo sociale, economico e politico dei paesi del vicinato; invita l’Unione e gli Stati membri a esaminare gli strumenti disponibili nel quadro della politica dell’UE in materia di visti e della sua legislazione sulla migrazione dei lavoratori”. Prospettiva questa condivisibile perché appare indubbio che la chiusura dei canali di ingresso per lavoro ha comportato una pressione enorme sugli istituti dell’asilo e della protezione sussidiaria, contribuendo allo svuotamento del sistema di garanzie che l’Unione Europea aveva approntato in favore dei profughi e di tutti coloro che fossero risultati bisognosi di protezione internazionale. Anche in questa ottica, il Parlamento “invita l’Unione e gli Stati membri a modificare o a rivedere eventuali normative che infliggono sanzioni a coloro che prestano assistenza ai migranti in pericolo in mare; invita la Commissione a rivedere la direttiva 2002/90/CE del Consiglio volta a definire le sanzioni in caso di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, al fine di chiarire che la prestazione di assistenza umanitaria ai migranti che si trovano in pericolo in mare va considerata positivamente e non costituisce in alcun modo un’azione sanzionabile”.
Il Parlamento ha invece respinto le proposte, pure contenute in una mozione della GUE/NGL, la Sinistra Europea, di aprire un “corridoio umanitario” dalla Libia, paese che neppure aderisce alla Convenzione di Ginevra e nel quale sono noti da anni gli abusi che vengono inflitti ai profughi in transito, in particolare su donne e minori. Al riguardo il Parlamento si limita ad invitare “ a una migliore e più efficace collaborazione tra l’Unione e i paesi terzi per impedire che tragedie come quella avvenuta al largo di Lampedusa continuino a ripetersi; ritiene che gli accordi sulla gestione della migrazione tra l’UE e i paesi di transito verso l’Unione debbano rappresentare una priorità dell’Unione nel prossimo futuro, priorità che comprende il finanziamento delle strutture di polizia e della formazione nell’ambito delle capacità di applicazione della legge nonché l’assistenza a tali paesi – e ai paesi di origine dei migranti – finalizzata a diversificarne e migliorarne l’economia, e sottolinea la necessità che i paesi terzi rispettino il diritto internazionale per quanto riguarda il salvataggio di vite umane in mare e garantiscano la protezione dei rifugiati nonché il rispetto dei diritti fondamentali”. Appare invece piuttosto generico l’invito del Parlamento all’Unione ed agli Stati membri “ad adottare misure adeguate e responsabili in relazione al possibile afflusso di rifugiati negli Stati membri. Il Parlamento sollecita quindi la Commissione e gli Stati membri a continuare a monitorare la situazione attuale e a impegnarsi in favore della pianificazione di emergenza, dello sviluppo di capacità, del dialogo politico e del rispetto dei loro obblighi in materia di diritti umani in relazione alle condizioni di detenzione”. Si invitano infine gli Stati membri “a rispettare il principio di non respingimento, in conformità del diritto internazionale e dell’UE in vigore” ed “a porre immediatamente fine a eventuali pratiche di detenzione inappropriata e prolungata in violazione del diritto internazionale ed europeo”. Un invito che appare assai pertinente in Italia, ed in Sicilia in particolare, con riferimento ai cd. centri informali, luoghi di trattenimento amministrativo spacciati come centri di prima accoglienza, nei quali i migranti rimangono per giorni senza alcun provvedimento formale ed al di fuori di qualsiasi controllo giurisdizionale. In proposito il Parlamento “segnala che i provvedimenti detentivi nei confronti dei migranti devono sempre costituire oggetto di decisione amministrativa nonché essere debitamente giustificati e temporanei”.
Nessuna di queste proposte ha trovato accoglienza e sviluppo operativo in occasione del Consiglio dell’Unione Europea che si è svolto a Bruxelles il 26 ottobre scorso, nel quale la materia dell’immigrazione e dell’asilo è stata introdotta soltanto alla fine dell’ordine del giorno, dopo le gravissime tragedie che nelle settimane precedenti avevano funestato le acque del Mediterraneo. Nelle Conclusioni del Consiglio solo una rituale espressione di “preoccupazioni” per le vittime di Lampedusa. E poi mentre si nomina da subito una “task force” di esperti alle dirette dipendenze della Commissione Europea, che dovrà riferire entro dicembre allo stesso Consiglio sui controlli di frontiera e sull’agenzia Frontex, anche con riferimento a possibili accordi con i paesi di transito, non è venuta nessuna decisione in materia di protezione internazionale, questione rinviata al primo Consiglio che si terrà nel giugno del 2014 dopo le elezioni europee, che probabilmente segneranno un’avanzata dei partiti populisti e xenofobi. E le prossime scelte dell’Unione Europea in materia di immigrazione ed asilo non potranno che risentirne negativamente.
A Bruxelles, dunque, non c’è stata proprio nessuna svolta, come il governo italiano ha tentato di fare credere, e come alcuni giornali hanno annunciato (ad esempio Repubblica del 27 ottobre). Piena continuità, invece, con le direttive e i regolamenti già adottati dall’Unione Europea in materia di asilo il 26 giugno scorso, incluso il Regolamento Dublino III, che dal primo gennaio 2014 sarà operativo e che, anche se amplierà alcune garanzie procedurali e la sfera dei familiari che possono chiedere il ricongiungimento, renderà ancora più difficile la condizione dei potenziali richiedenti asilo, in particolare di quelli che non intendono farsi identificare in Italia ( per i quali si introduce la detenzione amministrativa). Intanto i profughi possono continuare a morire in mare e nei paesi di transito, come è successo in Libia, non solo a sud, ai confini con il Niger, ma anche e ad est, in Cirenaica, ai confini con l’Egitto. I crescenti rapporti di collaborazione e formazione tra le polizie dei diversi paesi non stanno impedendo che i migranti in transito continuino ad essere detenuti illegalmente, sia in Libia che nei centri informali di prima accoglienza nei quali vengono confinati dopo il loro arrivo in Italia, anche in modo da essere “esposti” agli agenti diplomatici dei governi, meglio delle dittature, dei paesi di provenienza, come si sta verificando da tempo in Sicilia.
Nessun impegno del Consiglio dell’Unione Europea, dunque, per misure di accoglienza umanitaria o per una equa distribuzione dei rifugiati a livello europeo. Nessun accenno alla possibilità di aprire un corridoio umanitario o di facilitare ai profughi, già negli stati di transito, il rilascio dei visti di ingresso verso i paesi dell’Unione Europea. Come se l’Europa non avesse nessuna competenza a gestire situazioni di crisi umanitaria, e soprattutto come se l’Europa non fosse in grado di garantire una politica comune in materia di asilo e protezione sussidiaria o umanitaria. Tutto rinviato al 2014. In realtà l’Europa ha già una politica dell’asilo per il 2014 e come emerge dall’acronimo EASO che non è difficile rinvenire nei più recenti documenti ufficiali adottati dai diversi organi dell’Unione (Sistema europeo di supporto ai paesi che devono affrontare i problemi derivanti dall’ingresso di potenziali richiedenti asilo). E tutti i paesi europei applicano, seppure con notevoli difformità, le Direttive Accoglienza (Direttiva 2003/9), Qualifiche (2004/83) e Procedure (2005/85), che recentemente sono state integrate, il 26 giugno scorso con altre Direttive in materia di Accoglienza e di Procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, che dovrebbero rendere più uniformi le legislazioni e le prassi applicate nei paesi dell’Unione Europea.
Il Consiglio dell’Unione Europea di Bruxelles del 26 ottobre ha deciso di non decidere, in pratica di non consentire neppure la verifica della praticabilità concreta di corridoi umanitari e di salvataggi dei migranti in mare, perché poi fossero distribuiti tra i diversi paesi dell’Unione. Non ha raccolto dunque nessuna delle sollecitazioni che provenivano persino dalla mozione bipartisan approvata dal Parlamento Europeo, punto e basta. Le burocrazie della Commissione Europea, con la nuova task force di esperti, e l’agenzia Frontex, che già si stavano ponendo ( da tempo) il problema di come coinvolgere i paesi di transito, Egitto e Libia soprattutto, per bloccare le partenze proseguiranno nelle loro politiche fatte di opacità e di diplomazia parallela. E su questo si orientano ingenti risorse. Per questi strenui difensori della lotta senza quartiere a quella che definiscono come ”immigrazione illegale”, non c’è spazio per la proposta di un autentico diritto d’asilo europeo, che faciliti la concessione di visti di ingresso direttamente presso le sedi consolari degli stati europei nei paesi di transito. E che poi comporti il trasferimento legale in Europa e l’avvio di una procedura secondo gli standard delle Direttive europee in materia di asilo. Perché nei paesi di transito non è ratificata (come in Libia) o non viene effettivamente applicata neppure la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati ( come in Tunisia, in Algeria ed in Marocco), che comunque presenta standard molto selettivi, molto più selettivi dei casi di protezione sussidiaria o di protezione temporanea che possono trovare riconoscimento in Europa, sempre che le persone abbiano la possibilità di fare ingresso nel territorio di uno stato dell’Unione, senza annegare prima in mare o morire in un deserto.
2. L’Europa fortezza, sicurezza e sorveglianza delle frontiere. Quale protezione per le vittime ?
Come ha osservato il giornale francese Le Monde il 26 ottobre scorso, “le drame de Lampedusa et ses centaines de cadavres retrouvés en mer étaient encore dans les mémoires au moment où les chefs d’Etat et de gouvernement se sont réunis, vendredi 26 octobre, les Européens sont divisés et préfèrent encore attendre. Pour éviter que la Méditerranée ne se transforme à nouveau en cimetière de migrants –− candidats à l’asile ou postulants à une vie meilleure–, les Vingt-Huit pensent charger Frontex, l’agence de surveillance des frontières européennes, d’orchestrer des opérations de repérage et sauvetage en Méditerranée. Mais peut-on cumuler le rôle de police des frontières avec celui de secouriste ? Peut-on lutter contre l’immigration clandestine et tendre la main aux migrants en danger ? « Ce n’est pas impossible, mais compliqué », reconnaît Gil Arias Fernandez, directeur adjoint de Frontex, qui a reçu Le Monde mercredi, dans son bureau, à Varsovie. « Il n’y a pas de contradiction entre les deux missions », poursuit-il, défendant l’idée que Frontex n’est pas qu’un outil de repression”. In realtà non è difficile osservare che “contrôles renforcés obligeraient les migrants à prendre des chemins de traverse de plus en plus risqués pour contourner les barrières que Frontex place sur leur route. « Ce n’est pas juste. C’est méconnaître notre mission », ha affermato Arias Fernandez, l’unico forse che continua ad affermare che Frontex non ha nulla da fare con operazioni di blocco in mare di migranti partiti dalle coste nordafricane.
Dopo il vertice del Consiglio dell’Unione Europea, il Presidente Letta ha definito le sue conclusioni “soddisfacenti”, qualcuno ha continuato a parlare addirittura di una svolta. Come se l’Europa non avesse avuto fin qui una sua politica in materia di asilo, politica che in realtà prosegue, al di là delle Direttive e dei Regolamenti approvati di recente, soprattutto attraverso le attività di varie agenzie dagli acronimi incomprensibili, EASO, FRONTEX, EUROSUR, EURODAC, EUBAM, giorno dopo giorno, delegando ai paesi della frontiera meridionale ( Grecia, Cipro, Malta, Italia e Spagna) il compito di salvare vite umane, di reggere la domanda di accoglienza derivante dall’ingresso di migliaia di potenziali richiedenti asilo, e soprattutto di gestire rapporti bilaterali con paesi di transito che non rispettano i diritti fondamentali della persona.
Questo documento dell’Ufficio Europeo per il supporto agli stati membri in materia di diritto di asilo (EASO) chiarisce le politiche dell’Unione Europea in questa materia e fa capire tutta la portata strumentale del rinvio a giugno del 2014 decisa dal Consiglio dell’Unione Europea per intervenire sulle Direttive e sui Regolamenti già esistenti in materia di protezione internazionale. Tutti sembrano dare per scontato che intanto la maggior parte dei richiedenti asilo sarà costretta a darsi alla clandestinità per trasferirsi nei paesi dell’Europa centro-settentrionale, e questo risultato, effetto perverso delle politiche europee (Regolamento Dublino II) che costringono alla clandestinità anche i potenziali richiedenti asilo, risulta alla fine un alibi buono per tutti per non intervenire, per non affrontare il problema dell’accoglienza, in Italia ridotta a standard infimi, e per non affrontare la questione dell’accesso protetto e legale ( corridoio umanitario) in Europa per i profughi bloccati in Egitto, in particolare nel Sinai, ed in Libia. Non intervenire subito significa accettare un ulteriore restringimento del diritto di asilo in Europa, e mettere in conto altre migliaia di vittime.
3. I rapporti con la Libia e la cooperazione pratica delle forze di polizia
Secondo quanto riferito BBC News del 13 ottobre 2013 su alcune imbarcazioni cariche di migranti si è persino sparato subito dopo la partenza dalle coste libiche, e queste imbarcazioni, dopo poche ore sono affondate,“migrants who survived when their boat capsized in the Mediterranean say they were were shot at as they left Libya. One survivor told the BBC that people on the boat were shot, and that bullet holes caused the boat to start sinking”. In questo caso poche decine di sopravvissuti dopo l’intervento congiunto di mezzi militari italiani e libici.Trovava così conferma quanto affermato da numerosi profughi giunti in Sicilia che riferivano di essere stati sottoposti ad un mitragliamento, subito dopo la partenza dalla costa libica, da parte di una imbarcazione non meglio identificata. Qualche settimana dopo è filtrata un’altra scarna notizia, ma solo sulla stampa libica. E’ stato ritrovato un barcone era arenato sulla costa della Cirenaica, nei pressi della città di Derna, con tanti abiti di donne e bambini sparpagliati sulla battigia. Così il Libya Herald di Tripoli il 29 ottobre 2013: “clothing found near a wrecked fishing boat on a beach near Derna yesterday, is thought to have belonged to illegal immigrants. The vessel appeared to have run aground in the Lathroon district, to the west of Derna. Scattered on the beach was a large quantity of children and women’s clothes. It is not known what happened to those who were aboard
Poi la notizia, ripresa anche dall’ANSA il 31 ottobre che “guardiacoste libici”, avrebbero effettuato un salvataggio in acque internazionali, raggiungendo un natante guasto e riportando 150 migranti di diversa nazionalità a Zawia, 40 chilometri ad ovest di Tripoli, dove “sono stati consegnati alle autorità competenti”. Legittimo il dubbio che l’imbarcazione che ha effettuato questo salvataggio non fosse proprio alle dipendenze delle autorità libiche, termine alquanto incerto sia a terra che, assai probabilmente, nelle acque prospicienti la costa, dove non arrivano i mezzi della missione militare ed umanitaria italiana “Mare Nostrum”. E subito sono arrivati gli apprezzamenti da parte della missione EUBAM dell’Unione Europea già operativa in Libia nella formazione di forze di polizia da impiegare nelle attività di contrasto dell’immigrazione (illegale) in Mediterraneo ed altrove ( è infatti previsto l’invio di numerosi agenti di collegamento libici nei principali paesi europei interessati dall’immigrazione irregolare dalla Libia). Come riferisce la stampa libica, “the Coastguard sent two 12-metre Rigid Hull Inflatable Boats (RHIBs) to rescue the migrants on Wednesday, after receiving an emergency call. The dinghy’s engine had failed, leaving the boat drifting in the Mediterranean Sea some 120 nautical miles off the Libyan coast. Women and children were transferred into one of the Libyan vessels and the dinghy, with the other migrants on board, was towed back to Libya. Seguono gli elogi dell’agenzia dell’Unione Europea EUBAM, “I would like to praise the actions of the Coastguard and the crews involved in this rescue,” said EUBAM Libya’s Naval Coastguard Trainer David Aquilina. “With limited capabilities, they showed courage and commitment, and risked their own lives, in carrying out this action.” Si deve osservare al riguardo che proprio negli stessi giorni membri della Guardia Costiera libica hanno partecipato ad un corso di formazione di tre settimane organizzato proprio dalla missione dell’Unione Europea EUBAM ( EU Border Assistance Mission) Libya. Infatti, come si apprende dalla stampa libica, in quegli stessi giorni, “members of the Coastguard are currently taking part in an initial three-week training programme organised by EUBAM Libya. Una attività di formazione che dunque ha avuto una immediate ricaduta operative sulle operazioni di salvataggio e recupero dei migranti in fuga dalla Libia verso l’Europa. “Whilst a great deal of work lies ahead, this rescue shows the determination of the Libyan Naval Coastguard to make a real difference in maritime safety and security,” ha dichiarato il Capomissione di EUBAM, Antti Hartikainen. “EUBAM is working very well with its local counterparts to deal with the very real challenges that lie ahead in border security,” he added. In realtà EUBAM Libya è presente in Libia dal mese di maggio del 2013 su invit0 del governo libico . Come riferisce la stampa “the mission mentors, trains and advises Libyans working in various areas of border security on ways to strengthen Libya’s land, sea and air borders”.
Ma che cosa è questa missione dell’Unione Europea denominata EUBAM e finora sconosciuta al grande pubblico ? Di certo l’Italia vi partecipa attivamente e dall’inizio di giugno su richiesta del premier Zeidan “the EU has also posted to Libya an Italian-dominated border team of more than 100 security advisers to help the Zeidan government set up an “integrated border management system”, A causa delle difficili condizioni sul terreno dominato dale ilizie paramilitary che non sempre obbediscono agli ordine delle autorità centrali, sembrerebbe che il team di poliziotti europei sia rimasto confinato a Tripoli, dove “rarely leave their Tripoli hotel because of security concerns that prevent them from traveling around the country to assess what is needed to secure Libya’s land borders”.
Il programma EUBAM prevede anche l’addestramento di base di circa 500 militari libici che, dopo la fase iniziale, verranno inviati in Italia per completare l’attività formativa. L’addestramento e la selezione del personale libico è condotto, in coordinamento con le autorità locali, da un team di quindici militari dell’Esercito Italiano. Il progetto nasce su specifica richiesta del governo di Tripoli nell’ambito del G8 Compact, in cui è stata prevista un’ampia offerta addestrativa e formativa a favore delle reclute locali.Interamente finanziato dal Governo di Tripoli, il programma si inserisce nella Cooperazione bilaterale tra Italia e Libia nel settore della Difesa – regolata dal Memorandum of Understanding firmato a Roma il 28 maggio 2012 – e prevede l’addestramento di militari provenienti dalle tre regioni libiche: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Gli addestratori italiani sono integrati nella Missione Italiana in Libia (MIL), lanciata lo scorso 1 ottobre quale evoluzione dell’Operazione “Cyrene”, con l’obiettivo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa a favore del governo libico. Negli stessi giorni in cui tutto il circo mediatico era presente a Lampedusa, dove erano annegati centinaia di migranti provenienti dalla Libia, nessun giornale italiano ha dato notizia di un impegno tanto importante delle autorità militari italiane in quel paese.
4. I precedenti della collaborazione tra Unione Europea, Italia e Libia nella lotta contro l’immigrazione “illegale”
La collaborazione di polizia tra Italia e Libia, definita anche come “cooperazione pratica”, non è nuova ed in qualche modo ha supplito alla mancanza di un accordo globale tra l’Unione Europea e la stessa Libia, un accordo che si persegue da anni, ma che anche a causa delle vicende politiche e delle guerre umanitarie condotte in quel paese non si è mai potuto raggiungere. Più che di accordi veri e propri, da sottoporre ad un difficile passaggio in Parlamento per la ratifica, si è preferito insistere con le intese operative, come i protocolli firmati a Tripoli il 27 dicembre 2007, dai quali discendeva una catena di comando comune, quegli stessi protocolli operativi ed i loro allegati erano stati recepiti integralmente nel Trattato di amicizia stipulato da Gheddafi con Berlusconi nel 2008.
Al di fuori di veri e propri accordi bilaterali, difficili da stipulare con un paese che non aveva neppure ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, le relazioni bilaterali tra i due paesi in materia di immigrazione ed asilo sono state affidate alla cooperazione pratica tra le forze di polizia, con la copertura dei rispettivi ministeri dell’interno. Come se in Libia esistesse la garanzia dello stato di diritto, come se la Libia riconoscesse e desse effettiva attuazione quantomeno alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che comunque nei paesi di transito, ad esempio in Marocco, si può applicare nel dieci per cento dei casi, e non in tutti i casi di protezione sussidiaria ed umanitaria che consentono un soggiorno legale in Europa a quanti riescono comunque a raggiungere il territorio di uno degli stati membri dell’Unione. Dietro questi memoriali di intesa, sempre strisciante, ed affidato alla discrezionalità delle forze di polizia, il tentativo di ricondurre nei paesi di transito non solo i cittadini provenienti da quei paesi, ma anche cittadini di paesi terzi che quindi, una volta eseguite le prime misure di rimpatrio forzato, possono essere soggetti ad una serie successiva di misure di allontanamento forzato, che spesso hanno come conseguenza un vero e proprio refoulement, vietato dall’art.33 della Convenzione di Ginevra.
Si potrebbero ricordare, solo per fare un esempio, i voli di rimpatrio collettivo verso la Libia organizzati dall’aeroporto di Lampedusa a partire dal mese di ottobre del 2004, o alle migliaia di deportazioni effettuate nel 2005 dalla Libia verso altri paesi grazie ai soldi generosamente messi a disposizione dai governi italiani del tempo. Eppure, secondo un rapporto di Human Rights Watch, “nel corso di un vertice tenutosi a Bruxelles il 2-3 giugno 2005, il Consiglio dell’UE su Giustizia e Affari Interni ha appoggiato una Conclusione del Consiglio sulla cooperazione con la Libia in tema di immigrazione, affermando che qualsiasi cooperazione con la stessa non potrà che essere “limitata nella sua sfera di azione e realizzarsi su una base tecnica ad hoc”, finché la Libia non si fosse pienamente integrata nel Processo Barcellona. Al contempo, è stata indicata la volontà di progredire tramite una serie di misure ad hoc, nonostante la Libia sia ancora lontana dal conformarsi agli standard del acquis di Barcellona.Tali misure comprendono il rafforzamento di una “cooperazione operativa sistematica tra i rispettivi servizi nazionali responsabili delle frontiere marittime” e lo sviluppo di operazioni congiunte nel Mar Mediterraneo comprendenti il temporaneo schieramento di navi ed aerei di Stati membri dell’UE. Le misure ad hoc comprendono anche l’invio di funzionari di collegamento dell’UE preposti all’immigrazione (immigration liaison officers – ILO) in porti libici e all’aeroporto di Tripoli a scopo di intercettazione”. L’UE spera di definire un’area di ricerca e soccorso per la Libia che attualmente non esiste. La definizione di acque italiane/internazionali/libiche è inoltre assai complessa nel Canale di Sicilia”.
Sempre secondo il rapporto di Human Rights Watch, il 19 febbraio 2004 il Consiglio dell’UE Giustizia e Affari Interni ha adottato un regolamento relativo alla creazione di una rete di funzionari di collegamento preposti all’immigrazione. Questa fa riferimento alla “prevenzione e lotta all’immigrazione clandestina, al rimpatrio di immigrati clandestini e alla gestione dell’immigrazione legale, ma non contiene alcun riferimento al diritto di richiedere asilo” (Council of the European Union, 2561st Council Meeting, Justice and Home Affairs, Brussels, 19 February 2004, 5831/04). La Conclusione del Consiglio chiedeva inoltre l’avvio di un dibattito esplorativo tra l’Unione Europea e la Libia per sviluppare una “cooperazione concreta” al fine di “affrontare la migrazione clandestina in settori quali la formazione, il rafforzamento della struttura istituzionale, problemi in materia d’asilo, e sensibilizzazione dell’opinione pubblica circa i pericoli della migrazione clandestina”.Tra i temi di discussione a breve termine ( nel 2005) figuravano le modalità attraverso cui rimpatriare i richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta “a seguito di una procedura indipendente di conforme agli standard internazionali”, e una più stretta collaborazione e formazione di competenze per “la gestione dei flussi migratori e la protezione dei rifugiati”, in collaborazione con l’UNCHR.
5. Gli attuali rapporti di collaborazione e le prospettive di accordo tra Unione Europea e Libia.
Dal 2004 ad oggi la collaborazione tra l’Unione Europa, la Libia, e gli stati dell’Unione che si affacciano nel Mediterraneo ha avuto alterne vicende, legate al cambio dei governi, nei paesi occidentali, ed alla parabola di Gheddafi, quindi alla guerra ed alla sua uccisione. Ma anche dopo il 2011 questi rapporti sono rimasti segnati da un clima di grave incertezza perché le autorità centrali non hanno ancora il pieno controllo di tutto il territorio libico, nel quale non esiste ancora una unica autorità di polizia, né tantomeno si può parlare di ripristino di un qualsiasi stato di diritto in un paese che è ancora caratterizzato da detenzioni arbitrarie e da processi sommari ai danni di molti migranti ritenuti, a torto o a ragione, mercenari o simpatizzanti di Gheddafi.
Malgrado questa situazione, nota da tempo e documentata da numerosi rapport delle principali agenzie umanitarie, come Human Rights Watch, Amnesty International, Pro Asyl, l’Unione Europea, con la decisione del Consiglio del 22 maggio 2013, ha promosso ed avviato l’operazione EUBAM Libya, inviando alcune decine di “esperti” ed agenti di polizia con il compito di formare le forze di polizia libiche e successivamente di assistere le autorità libiche nei controlli di frontiera. La missione ha avuto inizio ufficialmente alla fine di maggio, ed i suoi componenti hanno trovato alloggio e sede operativa provvisoria in quello stesso albergo, il Corinthia Hotel di Tripoli, nel quale poche settimane fa una milizia armata ha sequestrato e poi riconsegnato alla fine della giornata il primo ministro libico Zeidan. Il primo dicembre dovrebbe essere aperta a Tripoli la sede ufficiale dell’agenzia, che a regime dovrebbe contare su uno staff di 111 componenti oltre a 54 aiutanti locali e 54 bodyguards. Le attività esterne dei componenti della missione si svolgeranno dunque sotto scorta armata.
Compito iniziale di questa ennesima agenzia/missione dell’Unione Europea sarà fornire “border management strategy” alle autorità libiche nell’ottica dominante del contrasto della immigrazione ”illegale”. Trenta milioni di euro di spesa per un anno, la stessa somma annunciata da Barroso a Lampedusa dopo la strage del 3 ottobre, soldi dei quali si sono perse le tracce nei meandri della burocrazia europea.
Second EUobserver, la missione europea Eubam “should, in due course, strengthen the Libyan authorities’ ability to manage border crimes, including trafficking of people and illegal migration.”Non può che destare allarme la circostanza, riferita dalla stessa fonte, che l’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne FRONTEX sta pianificando “attività concrete” da realizzare in Libia sotto l’egida della missione EUBAM, infatti “EU border control agency, Frontex, is also planning “concrete activities” in Libya under Eubam’s flag”. Certamente per il momento si tratterà di iniziative assai limitate, se si considera che il personale di EUBAM, attualmente alloggiato all’Hotel Corinthian di Tripoli è sorvegliato e protetto da una agenzia di sicurezza privata francese, ARGUS, che svolge i medesimi compiti di sorveglianza con diverse ambasciate di paesi europei presenti a Tripoli. La sinergia delle missioni FRONTEX ed EUBAM, in futuro, dovrebbe dare un contributo decisivo al ripristino dei controlli di frontiera in Libia, sia alle frontiere meridionali che sulle coste settentrionali, in modo anche da frenare l’afflusso di migranti, ormai quasi esclusivamente potenziali richiedenti asilo, in Europa. Ma intanto e probabilmente ancora per molto tempo, si tratterà di operazioni militari di puro contrasto non certo rivolte a fornire protezione umanitaria ai profughi in fuga dai loro paesi e costretti ad attraversare la Libia nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Altre attività di sicurezza per le missioni esterne di Eubam sarebbero svolte da Aegis, una società di sicurezza privata inglese, e da GardaWorld, un’altra società privata canadese, che proteggerà gli agenti di EUBAM nelle missioni esterne per la modica cifra di 6.2 milioni di euro all’anno, un quinto dell’intero bilancio annuale di EUBAM. A partire dal 1 novembre 2013 dunque la missione EUBAM sta così esternalizzando le sue attività di monitoraggio e al di là della formazione, si limiterà a raccogliere “security reports daily, weekly, monthly and six monthly” da inoltrare alle agenzie dell’Unione Europea. La missione di EUBAM sarà comunque ridefinita in base all’evoluzione della situazione sul terreno, infatti “the current trend of serious criminal incidents (armed robberies, kidnappings, etc.) and increased inter-factional clashes will continue and the indications are that they will become more pronounced during the lifespan of the mission.” E ancora, “the armed clashes [might] escalate to such a degree as to make Eubam-L unable to function.” Per queste ragioni Eubam, che per le missioni operative avrà bodyguards con specializzazioni infermieristiche, sarà dotata di un ambulanza ed i suoi componenti si muoveranno all’esterno protetti da caschi e da giubbetti anti-proiettili, con veicoli di scorta e e con agenti di sicurezza armati di pistole e fucili!
L’obiettivo di Eubam in realtà va dunque ben oltre la mera formazione teorica delle forze di polizia, ma sarà anche quello cooperare attivamente con la polizia di frontiera libica in modo da raggiungere e sorvegliare la immensa frontiera meridionale della Libia ancora da mettere in sicurezza. Un compito immane che sembra impossibile da assolvere ricorrendo solo ad esperti o a missioni militari, in assenza di forze di interposizione e di sicurezza e di un serio impegno politico della comunità internazionale. Rimane da comprendere se la messa in atto di questa “missione” comporterà una maggiore protezione per i profughi in transito. O li esporrà al rischio già sperimentato di subire respingimenti collettivi verso i paesi di origine dai quali sono fuggiti. Peter Bouckaert, rappresentante di Human Rights Watch (HRW), ha dichiarato che la missione dovrebbe entrare anche in zone nelle quali attualmente non entra neppure l’esercito ufficiale libico, dove spadroneggiano le milizie qaediste “a no-go area, even for Libyan security forces … it’s a closed military zone where you have extremists, such as al-Qaeda in the Islamic Maghreb, and criminal smuggling networks, who have looted stock from Libya’s arsenals and who have big financial interests.”
Secondo EUobserver, EUBAM dovrebbe aiutare la Libia a sviluppare capacità di sorveglianza e di intercettamento in stretto collegamento con le forze governative e le relative milizie armate succedute al regime di Gheddafi. Si tratta dunque di un progetto finanziato dall’Unione Europea che sta partendo mentre il Parlamento Europeo e l’opinione pubblica dei paesi membri viene tenuta rigorosamente all’oscuro su tutto quanto gli agenti europei stanno attuando in Libia, in quella stessa Libia dove i migranti in transito vengono trattenuti illegalmente, abusati e venduti da una banda ad una milizia armata, come se si trattasse di merce. Nick Witney, già a capo dell’ European Defence Agency a Brussels, ha intanto dichiarato che Eubam potrà proteggere anche gli interessi economici occidentali, ed europei in particolare, in un paese ricco di risorse petrolifere. Gli appelli, lanciati ancora di recente dopo le stragi di Lampedusa e di Malta, per una maggiore protezione delle vite e dei corpi dei migranti in transito in Libia sembrano dunque destinati a cadere ancora una volta nel vuoto, travolti dal prevalere delle considerazioni di ordine economico.
Ma c’è anche di peggio. Il governo maltese, che ha già un solido accordo di riammissione con la Libia, solo temporaneamente sospeso a partire dal mese di luglio, ha recentemente proposto alla Task Force europea istituita dal Consiglio Europeo del 26 ottobre di aumentare le pressioni diplomatiche ed economiche sui paesi di transito e di origine in modo da potere ritrasferire in questi paesi i richiedenti asilo le cui domande di asilo dovessero venire respinte. Una percentuale molto elevata di coloro che arrivano sulle coste europee, variabile da paese a paese, ma sempre assai rilevante, anche considerando la circostanza che in Italia non si supera il 45 per cento delle domande accolte, e in altri paesi si scende a percentuali ad una sola cifra. Il primo ministro maltese si è dichiarato pronto a riattivare gli accordi di riammissione già esistenti con la Libia, anche se è noto che questi accordi colpirebbero non cittadini libici ma cittadini di paesi terzi, come somali ed eritrei, che potrebbero essere imprigionati, torturati o rimpatriati dopo la loro deportazione in Libia, come si è già verificato in molti casi di respingimenti collettivi effettuati ( nel 2009 e nel 2010 anche dall’Italia) da parte delle autorità maltesi verso la Libia.
Il transito di potenziali richiedenti asilo in Libia, diretti verso l’Europa, continua ad essere considerato esclusivamente nell’ottica del contrasto dell’immigrazione “illegale”, al punto che la maggior parte dei paesi europei, secondo il primo ministro maltese, sarebbe d’accordo per proporre il tema della cd. immigrazione illegale, come tema dominante del prossimo Summit Euroafricano fissato per il mese di aprile del 2014.
Ma gli altri paesi europei non rimangono a guardare e partecipano attivamente alla formazione dei militari libici per un maggiore controllo del territorio e delle frontiere. Nel mese di settembre il primo ministro libico Zeidan, prima di essere vittima di un sequestro lampo, aveva annunciato che sarebbero stati addirittura 1600 gli agenti di polizia che Turchia, Italia e Regno Unito avrebbero inviato per garantire attraverso attività di formazione della polizia locale maggiore sicurezza nei territori e più efficaci controlli alle frontiere. Anche gli Stati Uniti, la Bulgaria e la stessa Nato si stanno ponendo il proposito di inviare altri agenti in un paese che per larghe parti del suo territorio è caduto in mano a gruppi armati all’interno dei quali si stanno inserendo elementi qaedisti, che potrebbero assumere anche posizioni egemoni, come è accaduto nella parte settentrionale del Mali. La prospettiva di una “somalizzazione” della Libia, un paese enorme, scarsamente popolato, che si affaccia nel Mediterraneo e dal quale dipendono i rifornimenti energetici di mezza Europa non può evidentemente che allarmare, molto più di quanto non assuma rilevanza la questione delle decine di migliaia di migranti in fuga che vorrebbero raggiungere l’Europa ma che rimangono intrappolati in Libia, o sono costretti a tentare la rischiosa via di una traversata “da clandestini”. E non saranno le missioni militari-umanitarie come “Mare Nostrum” a garantire maggiore sicurezza, specie dopo che si è saputo, e si sono viste le immagini, di veri e propri uffici di polizia installati a bordo delle navi militari per compiere le operazioni di prelievo delle impronte e di identificazione subito dopo la fine delle operazioni di recupero a mare dei naufraghi, quando le persone sono ancora inebetite e non possono opporre alcuna resistenza o avere la minima contezza delle conseguenze legali di quella identificazione anche per la successiva procedura di asilo e l’applicazione del Regolamento Dublino. Una decisione, quella di creare uffici di polizia con personale del ministero dell’interno a bordo di navi militari operanti in acque internazionali che sta avendo gravissime conseguenze, con le imbarcazioni cariche di migranti che, se non vengono bloccate subito dopo la partenza, come si è visto recentemente in Libia, allungano le rotte ed evitano di chiedere soccorso alle unità militari italiane, per arrivare direttamente sulle coste siciliane, con evidenti rischi per la vita delle persone, ed in particolare di quelle più vulnerabili, come donne e bambini che sono solo “colpevoli di viaggio” e magari vogliono solo ricongiungersi con i loro parenti già legalmente residenti nei paesi del Norderuropa..
6.La posizione del governo italiano e le proposte respinte
Enrico Letta, dopo un incontro con il primo ministro libico Zidan il 4 luglio 2013, all’indomani della visita del Papa a Lampedusa e del suo accorato appello, aveva promesso: “Argineremo i flussi. Ci servono risorse, mezzi e know how, ma bisogna anche creare sviluppo nei Paesi d’Origine”, affermando poi che “la stabilizzazione delle istituzioni in Libia interessa l’Italia in primo luogo e interessa tutto il Mediterraneo. Questo è necessario per controllare i flussi di immigrati clandestini e per far sì che questo controllo possa avvenire con pieno rispetto delle regole internazionali e naturalmente con rispetto delle regole legate al diritti dell’uomo”. Sfuggiva allora al presidente Letta che la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia via mare non parte per la mancanza di “sviluppo” nei paesi di origine, ma è costretto ad abbandonare casa, famiglia, affetti, lavoro o studio, per effetto di atroci dittature o di interminabili guerre civili. In quella occasione Letta ha spiegato che l’ Italia avrebbe offerto “aiuto e sostegno” alla Libia per l’addestramento di 5000 unità delle forze armate libiche, compresa la guardia di costiera fornendo anche strumenti per il controllo dei confini. Evidentemente gli esperti governativi che hanno suggerito al premier italiano queste posizioni sono rimasti gli stessi di quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi ed al Viminale Roberto Maroni. Stesso linguaggio, stessi obiettivi, identici risultati fallimentari, centinaia di vittime, nel 2013 come nel 2009 e nel 2011, altre “emergenze immigrazione” vissute dal nostro paese, esperienze che evidentemente non hanno insegnato proprio nulla. Ed i continui richiami all’esigenza di un intervento da parte dell’Europa si sono risolti in un nulla di fatto, malgrado gli impegni presi da Barroso a Lampedusa, poi smentiti dalla tattica dilatoria del Consiglio dell’Unione Europea riunito a Bruxelles il 26 ottobre scorso.
Il premier Letta non cita espressamente l’impegno europeo di EUBAM ma pone gli stessi ambiziosi obiettivi dell’Unione Europea, fino ad oggi regolarmente mancati: “Il controllo non riguarda solo la costa, ma anche il sud, in particolare la frontiera del Ciad, che è la più complessa da gestire. Per noi – ha ribadito – il controllo delle frontiere e la gestione dei flussi di immigrati clandestini sono una grandissima priorità ed è prioritario che la nostra cooperazione trovi dei risultati positivi e riesca a gestire questo fenomeno oggi purtroppo incontrollato”. In quella occasione Zidan prometteva che “in Libia faremo tutto lo sforzo di cui siamo capaci per arginare il fenomeno dell’immigrazione clandestina” e ha spiegato di aver chiesto la “cooperazione dell’Italia per le infrastrutture necessarie per il controllo del confine meridionale. Quindi per centri di accoglienza degli immigrati, punti di controllo per le forze di polizie di frontiera e tutti gli attrezzi necessari per il pieno controllo del confine”. Abbiamo visto per tutti questi ultimi mesi, e soprattutto con le due stragi di ottobre, davanti Lampedusa e nelle acque maltesi, quali sono stati gli esiti tragici di queste politiche fatte di grandi annunci e di modeste misure operative, quasi per intero rivolte al contrasto della cd. immigrazione illegale e non alla protezione dei potenziali richiedenti asilo. La crisi economica dilagante ha permesso operazioni di rimozione di queste tragedie che si sono fatte dimenticare in pochi giorni con la complicità di una parte del mondo dell’informazione che ha puntato più sul sensazionalismo delle notizie che non sulla formazione di una coscienza critica nell’opinione pubblica. Le proposte possibili, praticabili a livello interno ed internazionale sono state sistematicamente cancellate o respinte, come quelle avanzate da Luigi Manconi, Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, per l’apertura di un canale di ingresso umanitario dalla Libia, o di Christopher Hein del Cir, per la concessione di un visto di ingresso da parte delle ambasciate dei paesi europei nei paesi di transito, prima che i migranti siano costretti a raggiungere la Libia nel tentativo di imbarcarsi verso l’Europa. Come sono rimaste del tutto inascoltate le proposte della mozione GUE/NGL ( la Sinistra Europea) presentate al Parlamento Europeo il 23 ottobre scorso.
Al di là del mancato recepimento di queste proposte però, quello che manca maggiormente è la totale assenza di una politica mediterranea dell’Unione Europea, come è emerso nel corso dell’ultimo vertice del Consiglio dell’Unione a Bruxelles il 26 ottobre scorso. I rapporti con i paesi di transito vengono trattati sempre all’interno dei dossier che riguardano la lotta alla criminalità transnazionale ed alla tratta, i controlli dei confini ed il contrasto dell’immigrazione “illegale” come del terrorismo. Si assiste inoltre ad una diplomazia parallela affidata ad agenzie amministrative che vanno ben oltre le scelte maturate all’interno del Parlamento Europeo, organo che dovrebbe garantire processi decisionali più trasparenti e democratici, con la proliferazione di comitati ristretti dagli acronimi incomprensibili che operano alle dirette dipendenze della Commissione e del Consiglio, e spesso con un elevato grado di autoreferenzialità come si è verificato negli anni con FRONTEX, al punto che nel 2012 (Sentenza della Corte (grande sezione) del 5 settembre 2012. Parlamento europeo contro Consiglio dell’Unione europea. Causa C-355/10 su Codice frontiere Schengen – Decisione 2010/252/UE – Sorveglianza delle frontiere marittime esterne – Introduzione di modalità supplementari in materia di sorveglianza delle frontiere – Competenze di esecuzione della Commissione – Portata – Domanda di annullamento) la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dovuto adottare una decisione che dava ragione al Parlamento Europeo, in conflitto con la Commissione e con il Consiglio proprio sulle scelte da adottare per fornire a Frontex nuovi indirizzi operativi. Questa conflittualità potrebbe ancora riproporsi se la Commissione Europea vorrà prevaricare ancora il Parlamento Europeo nell’adozione a dicembre degli indirizzi operativi da fornire a Frontex ed a Eubam. Visti gli ultimi passaggi delle istituzioni europee a questo punto, appare comunque necessario che l’iniziativa politica, e non solo di carattere umanitario, venga ripresa a livello locale e nazionale da quel vasto circuito di associazioni antirazziste che ha ormai strutturato rapporti di collaborazione anche al di là del livello europeo. Sarà una strada lunga e difficile, ma non sono date altre possibilità per tentare di invertire la linea di tendenza dell’Unione Europea in materia di asilo ed immigrazione, a partire da una lotta serrata, a livello nazionale per difendere i diritti dei migranti contro Direttive e Regolamenti orientati prevalentemente alla sicurezza ed alla protezione delle frontiere e quindi a leggi assai spesso incostituzionali o in contrasto con i principi del diritto internazionale come le prassi amministrative affidate alla totale discrezionalità delle autorità di polizia.