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Diritto all’unità familiare – Il caso di un coniuge irregolare e nascita di un figlio

a cura dell'Avv. Marco Paggi

Una questione che sempre più spesso viene sollevata anche nei quesiti che ci vengono inviati è quella relativa alla possibilità di un nucleo familiare di vivere regolarmente in Italia quando uno solo dei membri del nucleo familiare è regolarmente soggiornante.
Una casistica che talvolta si presenta nell’ambito del matrimonio è quella in cui si verifica la nascita di un figlio.

La legge, com’è noto, prevede che, nel caso di una persona in condizioni irregolari di soggiorno, il provvedimento di espulsione non possa essere adottato qualora vi sia uno stato di gravidanza certificato e quindi per tutta la durata della gravidanza e per gli ulteriori 6 mesi dalla nascita del concepito, per i primi 6 mesi di vita del bambino.
L’art. 19 per del T.U, sull’immigrazione prevede in questi casi un espresso divieto di espulsione ed il relativo Regolamento di attuazione del prevede che in questi casi debba essere concesso un permesso di soggiorno per motivi di salute o cure mediche.

Una domanda che spesso ci viene posta è se sia possibile, nel caso in cui uno dei due genitori abbia un regolare permesso di soggiorno in Italia e possieda, sia in relazione all’occupazione svolta, sia nella relazione alla disponibilità di alloggio, i requisiti prescritti dall’art. 29 del Testo Unico per la ricongiunzione familiare, regolarizzare, o meglio stabilizzare, la condizione di soggiorno dell’altro coniuge che invece ha ottenuto il permesso di soggiorno per cure mediche in relazione alla gravidanza.
Ci si chiede quindi se sia possibile, dopo il permesso di soggiorno per cure mediche in funzione della gravidanza della mamma, acquisire poi un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, ovvero se sia possibile la ricongiunzione familiare o la stabilizzazione della famiglia, una volta che si è verificato il possesso dei requisiti da parte dell’altro coniuge per perfezionare la ricongiunzione familiare. Tutto questo, ovviamente, senza dover far sì che la mamma ed il neonato se ne debbano tornare al loro paese di provenienza (per la verità il paese di provenienza della madre, non del nascituro) per poi attendere la lunghissima procedura, di recente prolungata con il nuovo decreto legislativo numero 160, per la ricongiunzione familiare.
Chiaro che questa sarebbe pur sempre una strada possibile ma sconterebbe una separazione, peraltro in una fase molto delicata, quella della gravidanza e della nascita del bambino, del nucleo familiare. Separazione che sarebbe destinata, facendo una previsione assolutamente ottimistica, a durare 6 mesi. Questo perché, com’è noto, i tempi di attesa per ottenere l’appuntamento agli sportelli unici e per il successivo inoltro delle domande di autorizzazione alla ricongiunzione familiare sono lunghissimi. Il successivo rilascio del nulla osta comporta ulteriori tempi di attesa, il seguente rilascio del visto d’ingresso da parte della rappresentanza consolare competente per territorio all’estero, comporta ancora ulteriori lungaggini.

Anche il solo buon senso vorrebbe che si trovasse una strada, che si riconoscesse una possibilità, per perfezionare una coesione familiare che d’altra parte si presuppone abbia tutti i requisiti dal punto di vista del reddito e della disponibilità di alloggio che legittimerebbero comunque un bel giorno il perfezionamento di questo iter.
Non si vede quale senso abbia imporre questa sofferenza al nucleo familiare per realizzare comunque, sia dopo molto tempo, lo stesso risultato pratico. E’ altresì chiaro che, come si può immaginare, non tutti se la sentano di seguire la normativa secondo le modalità che sarebbero indicare dall’amministrazione e questo andrebbe a creare delle complicazioni nel vivere in condizioni di irregolarità di soggiorno e dei costi sotto diversi profili che tutti possono immaginare.

La casistica di questo tipo e talvolta affrontata dall’autorità giudiziaria e diamo commento di due sentenze che si preoccupano di questa problematica, ovvero della possibilità e delle condizioni per ottenere una regolarizzazione del soggiorno della mamma e del bambino se ed in quanto in Italia vi è già il padre che lavora regolarmente ed ha un alloggio capiente per tutto il nucleo familiare e quindi potrebbe ottenere la ricongiunzione familiare secondo la normale procedura. In altre parole ci si chiede se sia possibile transitare dal permesso di soggiorno per motivi di salute rilasciato per una donna in stato di gravidanza e nei primi sei mesi della vita del bambino al permesso di soggiorno per famiglia senza passare dal via facendo un lunghissimo percorso.
La Corte d’appello di Brescia con decreto 17 gennaio 2007 si è occupata di questo problema e ha svolto una minuziosa ricostruzione del quadro normativo a riguardo affrontando un caso simile a quello che abbiamo esemplificato in astratto. Il Tribunale di Brescia aveva in prima istanza valutato il ricorso degli interessati respingendolo, mentre la Corte d’appello di Brescia ha accolto il reclamo del nucleo familiare dichiarando che la madre ha un diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi di famiglia, ovvero la conversioni del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso di soggiorno per motivi di famiglia
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La Corte d’appello di Brescia dice che l’art. 30 del Testo Unico è sufficientemente chiaro. E’ possibile ottenere la conversione di un permesso di soggiorno di cui si è in possesso se ci sono le condizioni richieste dalla legge per la ricongiunzione familiare e se il permesso di soggiorno precedentemente posseduto, senza che sia specificata la tipologia di questo permesso di soggiorno, sia scaduto da non più di un anno.
Le condizioni per la conversione del permesso, secondo l’art. 30 del Testo Unico sull’immigrazione sono: che il familiare sia regolarmente soggiornante (quello che potrebbe attrarre a se con la procedura del ricongiungimento familiare); che vi siano le condizioni per la ricongiunzione familiare, in altre parole che vi siano i requisiti previsti dell’art. 29 disponibilità di reddito e alloggio; che sia stata chiesta la conversione dell’originario permesso di soggiorno in permesso di soggiorno per motivi di famiglia nel termine di un anno dalla scadenza del precedente permesso di soggiorno.

La legge, dice la Corte d’appello di Brescia, non introduce nessuna distinzione tra i permessi di soggiorno, non dice quindi che certi permessi possono essere convertiti in permessi di famiglia ed altri permessi di soggiorno, di natura più o meno speciale, non possono essere convertiti in permessi per motivi di famiglia. Il fatto che il permesso di soggiorno rilasciato in base all’art. 19 per cure mediche durante la gravidanza e nel primi 6 mesi di vita del bambini abbia un carattere temporaneo non potrebbe giustificare una diversa conclusione, secondo la Corte d’appello di Brescia.
Tutti i tipi di permesso di soggiorno sono temporanei, questo è bene ricordarlo, nessuno di essi sarebbe tale da attribuire al titolare la qualifica di soggiornante regolare stabile. Il requisito del regolare ingresso nel territorio dello stato non rileva ai fini che qui interessano. Il fatto che si distingua tra persone che hanno il permesso di soggiorno ma erano precedentemente irregolari e persone che invece sono regolari fin dal primo ingresso in Italia, non è preso in considerazione dalla normativa vigente. Il titolo che legittima il regolare soggiorno nel territorio della Repubblica è solo il permesso di soggiorno che normalmente presuppone l’ingresso regolare ma può anche prescindere da esso, come avviene per tutti i casi previsti dall’art. 28 del Regolamento di attuazione che muovono da principi di carattere umanitario.
Di conseguenze non vi è una regione, dal punto di vista legale, per distinguere tra permessi di soggiorno precari, o temporanei, o speciali, e permessi di soggiorno normali. Tutti i permessi sono di natura temporanea e sono diversificati in base a diverse esigenze valutate dal legislatore. Quando vi è una norma come l’art. 30 del Testo Unico che dice che si può convertire un permesso di soggiorno, non meglio specificato, in permesso per famiglia, dovrebbe valere anche per permesso per cure mediche previsto dall’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione.

Le considerazioni svolte dalla Corte d’appello di Brescia con il decreto del 17 gennaio 2007 sono molto chiare e sembrano alquanto rispettose della normativa.

Di segno esattamente opposto è un decreto del 10 gennaio 2008 del Tribunale di Vicenza che invece giunge a conclusioni diverse, dando ragione alla teoria sostenuta dalla Questura di Vicenza che, in un caso analogo, aveva rifiutato la conversione di un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche in permesso di soggiorno per motivi di famiglia pur sussistendo i requisiti per il ricongiungimento familiare.
La Questura di Vicenza sottolineava il carattere eccezionale dell’ottenimento del permesso causa gravidanza, quindi, secondo la Questura, essendo la madre entrata e irregolarmente avrebbe dovuto comunque tornartene nel paese d’origine una volta scaduto il permesso temporaneamente concesso per poi eventualmente seguire la procedura di ricongiunzione familiare ed aspettare all’estero il tempo necessario per il perfezionamento dell’iter.
In tale contesto, dice il Tribunale di Vicenza, l’interpretazione della locale Questura appare conforme alla lettera e alla ratio delle norme vigenti le quali ancorano la regolarità del soggiorno quale presupposto del rilascio di permesso di soggiorno per motivi di famiglia alla precondizione di un ingresso e di una successiva permanenza nel territorio nazionale regolari, questo anche se la norma non parla di una pregresso soggiorno regolare, ma semplicemente di un permesso di soggiorno che sia stato rilasciato a prescindere dal fatto che prima di ottenere quel permesso di soggiorno la persona fosse in condizioni irregolari o meno.

La sentenza del Tribunale di Vicenza, per la verità, sembra meno ancorata al testo della norma e più ancorata ad un’esigenza di politica d’immigrazione, perché la preoccupazione del Tribunale di Vicenza è il fatto che questo escamotage della gravidanza e del successivo rilascio di permesso per cure mediche si presterebbe a divenire uno strumento di elusione delle regole dettate dal legislatore.

Una diversa prospettiva questa, almeno alla luce del diritto che si presenta estranea al tessuto della disciplina vigente in materia di regolamentazione dell’immigrazione. Mentre la Corte d’appello di Brescia opera una ricostruzione del testo delle norme vigenti, il Tribunale di Vicenza fa delle considerazioni che sono invece più assimilabili a delle valutazione di politica legislativa piuttosto che di applicazione del cosiddetto diritto positivo. Si tratta di divergenze di vedute che d’altra parte che sono fisiologiche anche all’attività interpretative delle autorità giudiziarie. Si può capire molto bene da questa esemplificazione che le possibilità di stabilizzare la condizione di soggiorno per un nucleo familiare, composto da un coniuge regolare e dall’altro coniuge ed il figlio nato in Italia in condizioni irregolari, sono rimesse ad una valutazione che può essere alquanto diversificata. Questo è lo stato dell’arte dell’interpretazione attualmente in uso presso le sedi giudiziarie e credo che sarebbe il caso di fare un po’ di chiarezza dal punto di vista legislativo per evitare che le sorti di un nucleo familiare e soprattutto del nascituro siano rimesse a orientamenti interpretativi piuttosto che ad una valutazione obiettiva in relazione a diritti riconosciuti a livello internazionale.
Questo è un accenno contenuto anche nella sentenza della Corte d’appello di Brescia. La convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, recepita anche nell’ordinamento giuridico italiano, obbligherebbe ad applicare ed interpretare le leggi sempre alla luce di uno scopo primario, cioè quello di garantire quanto più possibile la tutela delle condizioni di vita e la coesione familiare dei bambini. Non sembra che la normativa contenuta nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo sia considerata però sempre direttamente vincolante per il legislatore, ma certo, al di la degli aspetti più o meno giuridici, il buon senso potrebbe far capire un’altra cosa: l’immigrazione irregolare non si governa o non si contrasta impedendo ad un bambino nato sul territorio italiano di vivere col papà e con la mamma quando uno dei due sia regolarmente soggiornante e munito di tutti i requisiti per il ricongiungimento familiare e soprattutto che non serve a quel bambino e nemmeno all’ordine ed alla sicurezza pubblica della collettività, creare un inutile ostacolo temporale burocratico alla realizzazione di un ricongiungimento familiare che comunque si realizzerebbe al costo di penare molto tempo in una condizione di separazione e di difficoltà di sussistenza.