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Diritto di Voto – Commento alla proposta dell’On. Fini

La questione del diritto di voto alle elezioni amministrative per gli immigrati è tornata di estrema attualità a seguito della nota proposta dell’Onorevole Fini di modificare l’art.48 della Costituzione con il seguente testo: “Agli stranieri non comunitari che hanno raggiunto la maggiore eta’, che soggiornano stabilmente e regolarmente in Italia da almeno sei anni, che sono titolari di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, che dimostrano di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari e che non sono stati rinviati a giudizio per reati per i quali è obbligatorio o facoltativo l’arresto, e’ riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative in conformita’ alla disciplina prevista per i cittadini comunitari. L’esercizio del diritto di cui al comma 1 è riconosciuto a coloro che ne fanno richiesta e che si impegnano contestualmente a rispettare i principi della Costituzione italiana.”.
Al riguardo, va ricordato che la proposta di estendere il voto agli stranieri titolari di carta di soggiorno era stata inizialmente prevista nel disegno di legge ordinaria che, poi, è divenuta la cosiddetta legge Turco-Napolitano n. 40 del 1998 (successivamente “trasfusa” nel c.d. Testo unico sull’immigrazione di cui al D.Leg.vo n. 286/98); tuttavia la previsione del diritto di voto è stata a suo tempo stralciata durante l’iter parlamentare dal testo originario: infatti, si sosteneva allora che vi erano dubbi sulla legittimità costituzionale di una legge ordinaria che riconoscesse il diritto di voto per gli stranieri, sicché era stato ritenuto preferibile “trattare a parte” la questione con una separata proposta di modifica della Costituzione, che è stata poi presentata nel 1999 dalla stessa On. Turco ed altri.

Ora, il testo proposto dall’On. Fini colpisce anzitutto perché non si richiede la carta di soggiorno bensì un qualsiasi permesso di soggiorno che consente un “numero indeterminato di rinnovi”, come appunto il p.s. per motivi di lavoro subordinato, autonomo o per ricongiungimento familiare. E c’è una bella differenza, se si considera che, pure dopo aver maturato i sei anni di soggiorno, è di fatto necessario attendere ancora molto tempo per ottenere la carta di soggiorno, sia a causa delle note lungaggini burocratiche (tempi di prenotazione, ecc.) e sia perché ancora oggi molte questure di fatto inducono l’immigrato a presentare la domanda di carta di soggiorno solo in occasione della scadenza del permesso di soggiorno, anziché quando matura il suo diritto. Inoltre, per avere la carta di soggiorno anche per i familiari a carico, è pure necessario dimostrare, con apposita certificazione rilasciata dai comuni o dalle Asl, che si ha la disponibilità di un alloggio idoneo, sulla base dei parametri regionali fissati per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Come è noto, ciò blocca l’accesso alla carta di soggiorno per moltissime persone che, pure vivendo e lavorando onestamente, non possono permettersi l’affitto in base ai prezzi di mercato di un alloggio “adeguato” che risponda a detti requisiti. E’ quindi facilmente intuibile che vincolare il diritto di voto al possesso del semplice permesso di soggiorno anziché della carta di soggiorno avrebbe l’effetto di allargare numericamente la base elettorale degli immigrati. Non so dire, comunque, se questa significativa differenza contenuta nella proposta dell’On. Fini sia dovuta ad una scelta consapevole oppure, come forse è verosimile, ad una mera svista del compilatore del testo (a conferma di ciò vi sarebbe una dichiarazione dell’On. La Russa, il quale ha presentato la proposta sostenendo che essa sottintende il possesso della carta di soggiorno…).

Anche se per i non addetti ai lavori può sembrare una sottigliezza, vi è una profonda differenza tra la proposta di estendere il voto con legge ordinaria e la proposta di modifica della Costituzione, per il semplice motivo che una legge costituzionale, secondo l’art.138 della Costituzione, richiede il voto favorevole, con due successive deliberazioni ad intervallo non inferiore a tre mesi, da parte della maggioranza assoluta dei membri di entrambi i rami del Parlamento nella seconda votazione. In altre parole, per modificare la Costituzione, anche a non voler considerare i tempi molto più lunghi, sono richieste maggioranze tali per cui, nella pratica, si comprende sin d’ora che non vi sono in realtà apprezzabili probabilità che la proposta venga approvata.

Ma è proprio vero che serve una modifica della Costituzione e che, invece, una legge ordinaria non potrebbe disciplinare validamente questa materia? Al riguardo mi permetto di sollevare seri dubbi, dal momento che gli stranieri comunitari votano alle amministrative già dal 1996, in base ad una legge ordinaria che ha recepito una direttiva comunitaria. D’altra parte, il diritto di voto amministrativo per gli immigrati extracomunitari è espressamente previsto nella Convenzione di Strasburgo del 1992 sulla partecipazione alla vita pubblica locale degli stranieri regolarmente soggiornanti; la Repubblica Italiana ha ratificato tale Convenzione in modo condizionato, ovverosia riservandosi di recepire solo “in seguito” nell’ordinamento nazionale proprio la parte sul voto. In buona sostanza, una legge ordinaria che sopprimesse la riserva adottata al momento della ratifica di detta Convenzione (come infatti era originariamente previsto nel d.d.l. “Turco-Napolitano”) non potrebbe essere considerata dal punto di vista della legittimità costituzionale in termini diversi dalla legge ordinaria che ha riconosciuto il voto ai comunitari, anche perché la Costituzione italiana è nata nel 1948, quando di comunità europea non si parlava ancora e gli stranieri erano “tutti uguali”, e non conosce quindi diverse garanzie o particolari privilegi per i comunitari rispetto agli extracomunitari. A conferma della possibilità di legiferare in materia con legge ordinaria, vale la pena di sottolineare che una recente riforma, sancita dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n°3, ha modificato il Titolo V° della Costituzione in materia di autonomie locali ed in particolare ha modificato il testo dell’art.117 della Costituzione, prevedendo espressamente che, fra le materie per le quali la competenza legislativa deve essere esercitata in via esclusiva dal Parlamento, vi è anche, oltre all’immigrazione ed alla condizione giuridica dello straniero, la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. Poiché in nessun punto si specifica che ci vuole una legge costituzionale, le ragioni a sostegno della possibilità di legiferare con legge ordinaria sembrano ulteriormente rafforzate.
A parere di chi scrive sembra dunque che i dubbi di legittimità costituzionale, che di fatto hanno evitato di disciplinare con legge ordinaria il voto degli immigrati, nascondano una preoccupazione che ha poco a che fare col diritto e che probabilmente risente molto di più di valutazioni di opportunità di tipo elettorale: in buona sostanza, se nel passato recente il centro sinistra ha accantonato la questione, credo che ciò sia avvenuto più per il timore di perdere voti nelle imminenti elezioni che in base a scrupoli di legittimità costituzionale; per converso, se ora il centro destra affronta la stessa questione negli stessi termini, spero di sbagliarmi ma credo che Fini abbia giocato questa partita per ragioni interne agli equilibri della maggioranza e non per arrivare al risultato.

D’altra parte, se ci fosse così tanta sensibilità per il necessario rispetto dei principi costituzionali, questa avrebbe dovuto essere dimostrata con una più attenta formulazione della legge Bossi-Fini, che invece è stata letteralmente bersagliata da un nugolo di questioni di legittimità che la Corte Costituzionale dovrà vagliare nelle prossime settimane.