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Divieto di espulsioni collettive: il caso di cittadini rom

Per quanto riguarda il divieto delle espulsioni collettive sancito dall’art. 4, Protocollo Addizionale n.4, della Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (oltre che dall’art. 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea), si evidenzia che un recente provvedimento d’urgenza del 2 agosto 2004 del Tribunale di Milano, ha dichiarato la nullità e pertanto la revoca di oltre una decina di decreti d’espulsione adottati in forma collettiva, emessi in data 17 maggio 2004 dal Prefetto della Provincia di Milano.
Il caso preso in considerazione dai giudici di Milano è emblematico, ma non è l’unico, poiché poco tempo prima la Repubblica italiana è stata costretta a negoziare un accordo per risolvere un ricorso che era già stato dichiarato ricevibile dalla Corte europea per i diritti dell’uomo: in questo caso la Corte stessa aveva fatto intendere che l’espulsione collettiva non avrebbe potuto che essere ritenuta illegittima; il governo italiano si è, quindi, visto costretto a correre ai ripari negoziando la revoca del provvedimento di espulsione, concedendo, quindi, un permesso di soggiorno umanitario nei confronti delle persone colpite dal provvedimento con, addirittura, un risarcimento forfettario indicato in euro 7546,90, per ciascuno. Si tratta di un procedimento che risale all’8 novembre 2002.

In particolare il Tribunale di Milano ha preso in considerazione un caso di espulsione collettiva di un gruppo di cittadini di etnia rom, tutti fermati nello stesso momento e nello stesso luogo, e, quindi, colpiti dal medesimo provvedimento di espulsione. Si trattava in pratica di un prestampato che cambiava soltanto le generalità per ciascuno degli interessati, ma che recava identica motivazione. La motivazione, peraltro, era a sua volta alquanto laconica perché si limitava a far riferimento ad una presunta violazione dell’obbligo da parte di ciascuno degli interessati, di presentarsi in questura entro otto giorni per chiedere il permesso di soggiorno (come previsto all’art. 5, comma 2, del T.U. sull’Immigrazione). Parlo di presunta violazione perché di questo non vi era alcuna prova, né alcun riferimento circostanziato. Si rileva peraltro che minimamente sono stati considerate ed esaminate le singole situazioni personali dei soggetti coinvolti (si pensi a chi aveva avuto in passato un permesso di soggiorno, poi scaduto; a chi avrebbe potuto esercitare una domanda d’asilo; a chi non sarebbe stato effettivamente rimpatriabile perché proveniente da zone che non sono considerate a livello internazionale uno Stato, come per esempio il Kossovo).
Sulla base di tali premesse il Tribunale di Milano, ha considerato i suddetti provvedimenti come tipica espulsione collettiva e, applicando l’art. 4, Protocollo Addizionale n. 4, della Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, li ha annullati tutti.
Si vuole peraltro evidenziare l’importanza della pronuncia in oggetto considerato anche che rappresenta un esempio di decisione adottata direttamente dalla Magistratura italiana in base al diritto interno e tenendo conto della norma internazionale citata.