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Donne – Umma vuole restare a scuola

di Grazia Satta

Si parla spesso dell’immigrazione generalizzando comportamenti, stili di vita e donne sotto un unico velo che le copre tutte.
Nelle scuole si cerca in continuazione di costruire protocolli: per l’accoglienza, per la promozione di chi parla male l’italiano – ma è bravissimo in tutte quelle materie nelle quali la bella loquela non serve – per la segnalazione ai servizi sociali di tutti quei casi che, nell’ottica della nostra cultura, sono classificabili in maltrattamenti e limitazioni alla libertà personale.
Da tanti anni costruisco protocolli che puntualmente non rispetto, spinta dalla necessità di agire urgentemente, con creatività e dicendo qualche bugia.
Mi consolo ricordandomi che la mia amica Hafida definiva “bugie bianche” quelle dette a fin di bene.

L’ultima urgenza si è presentata poco tempo fa, proprio alla fine dell’anno scolastico, nella scuola dove lavoro. Si sono rivolti a me, in qualità di responsabile per gli alunni stranieri, dei colleghi preoccupatissimi di perdere come alunna una ragazza pakistana.
Umma frequenta la seconda superiore, ha assolto il così detto obbligo scolastico. Il padre ha un po’ di esperienza con le nostre leggi e le rispetta mediando tra due culture con una faticosa elasticità.
Che necessità ha Umma di continuare la scuola? Si sposerà, avrà dei figli, una casa da curare e la sua vita sarà lineare come vuole la tradizione. Sarà preservata da qualunque grillo possa saltarle in testa!
Umma non è una seconda generazione, è in Italia da pochi anni, ancora in tempo però per due anni di frequenza scolastica imposti dalla legge per l’obbligo. Frequenta l’unica scuola vicino a casa, ma non le importa di non aver avuto alcuna possibilità di scelta, perché tutto ciò che c’è da imparare va bene. E’ l’alunna che tutti vorrebbero, una di quelle per le quali qualunque sapere è un valore aggiunto ed il fatto che sia un bene quasi proibito lo condisce di un gusto speciale. Ha voti altissimi in tutte le materie.

Suo fratello in quanto maschio trova tutte le strade aperte. E’ più giovane di lei di appena un anno, è svogliato come spesso lo sono quelli della sua età e “costretti” ad un privilegio.
E soprattutto è un maschio, il maschio di casa!
A casa la mamma sostiene silenziosamente la lotta della figlia, ma non contraddice il padre. Non vuole che la figlia abbia una vita infelice. Sa che ciò che rende libera una donna è l’autonomia economica e per raggiungerla la scuola aiuta.
Sanno entrambe, madre e figlia, che quella del padre è una posizione di difesa nei confronti della comunità. Stare alle regole condivise è importante, mostrarsi meno autorevoli in famiglia, deboli nei confronti di una figlia, può essere un preoccupante motivo di isolamento sociale e cosa ancor più grave di derisione.
Umma ha fiducia nei suoi insegnanti, si muove in punta di piedi e soffia una richiesta d’aiuto. “Peccato, l’anno prossimo, non sarò più con voi, mio padre pensa che per me sia meglio prepararmi per il futuro di moglie e madre. Nel frattempo aiuterò la mamma in casa”. Non dice altro, non lancia accuse, né rivendica alcun diritto che sa bene di avere, secondo le leggi italiane.
Lei, la mamma in casa l’aiuta già ora, e per rendersi ancora più utile segue il fratello nei compiti e lo sostiene nel suo non brillantissimo percorso scolastico.
Parlare con lei mi è facile, la conosco perché partecipa attivamente alla vita scolastica anche nei momenti collegiali dove non ha paura di dire i suoi pensieri che sono sempre equilibrati ed efficaci.

Le chiedo se vuole essere aiutata e quale sia il modo giusto per farlo.
Umma vuole essere aiutata, non vuole, però, che si pensi che suo padre sia cattivo e non vuole che lui sappia che si è rivolta a noi per nessun motivo. E’ categorica: “…non deve saperlo, mi raccomando!”
Mi sembra di essere una funambula ubriaca con un vassoio pieno di preziosissimi cristalli.
Il protocollo mi direbbe di convocare la famiglia, e se necessario, alla presenza di un mediatore linguistico, attraverso il quale sciorinare tutto ciò che giustamente spetta ad Umma in un paese libero dove ha diritto all’istruzione.
Ad un rifiuto di collaborazione il passo successivo sarebbe il coinvolgimento delle autorità competenti.
La legge tutelerebbe Umma, ma Umma non vuole niente per diritto e non vuole nuocere a suo padre per niente al mondo. Non vuole vittorie, vorrebbe che il padre mettesse in pratica ciò che già capisce, ma che un codice miope e maligno della comunità lo costringe a rinnegare. Vorrebbe il padre dalla sua parte e non vorrebbe esporlo ad alcuna umiliazione.
Questi ragazzi sono spesso molto più adulti di noi adulti. Vogliono cambiare le cose, ma non si rivolterebbero mai contro le proprie famiglie. Affrontano i problemi senza stringere irrimediabilmente i nodi della matassa.

Muovo un passo sulla fune e chiamo al telefono il padre di Umma. Non lo conosco e non voglio parlare con lui in un linguaggio tecnico.
Risponde immediatamente alla convocazione. Io per lui sono l’ufficialità della scuola.
Mi invento un discorso, una bugia bianca.
“L’ho convocata a proposito di suo figlio, il maschio. A scuola zoppica e siamo preoccupati perché abbiamo saputo che il prossimo anno sua sorella ha deciso di non frequentare. E’ un vero peccato perché il suo aiuto, dal momento che è molto brava in tutte le materie, gli avrebbe permesso di andare avanti negli studi. Noi non sappiamo come convincerla. Contiamo sulla sua autorità come padre. Sarebbe un peccato che un maschio si arrendesse!”
Mi ringrazia, lo ringrazio complice. Umma, il giorno dopo è sorridente e rassicurata: continuerà la scuola!
Abbiamo tutti raggiunto un obiettivo e non abbiamo lasciato vittime su nessun campo di battaglia.
Insoddisfatto per l’ennesima volta per la sua inutilità, rimane sul terreno un protocollo frustrato!