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Dossier Caritas 2012 – Superata quota 5 milioni di stranieri. 263 mila permessi non rinnovati: ma non sono numeri

Solo 7.155 domande d'asilo accolte. Almeno 7.431 richiedenti asilo e rifugiati in attesa di accoglienza. 78.500 nuovi nati

Il messaggio che il Dossier Statistico Immigrazione ha scelto per
il 2012 è: “Non sono numeri”. Si è voluto così ridare centralità
alla dignità degli immigrati in quanto persone, ispirandosi a una
riflessione di Papa Benedetto XVI, fatta in occasione dell’Angelus
nella domenica della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato
(15 gennaio 2012): “Milioni di persone sono coinvolte nel
fenomeno delle migrazioni, ma esse non sono numeri! Sono
uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un
luogo dove vivere in pace”. Seppure la dimensione quantitativa
sia indispensabile a una conoscenza reale del fenomeno migratorio,
questa attitudine non deve mettere in secondo piano la tutela
della dignità umana.

Le migrazioni sono un fenomeno inevitabile (e una risposta
strategica) in un mondo attraversato da crisi politiche ed economiche
e segnato dalla diseguale distribuzione della ricchezza;
senz’altro, dopo una certa flessione dei flussi in entrata riscontrata
a partire dal 2009 nei paesi industrializzati, sono destinate ad
aumentare ancora.
Gli organismi internazionali accreditano circa 214 milioni tra
migranti e rifugiati nel mondo nel 2010. Nell’Unione Europea,
nello stesso anno, il saldo migratorio con l’estero è stato positivo
per 950mila unità e le acquisizioni di cittadinanza sono state
803mila. Gli stranieri residenti, inclusi i comunitari che costituiscono
la maggioranza (60%), sono 33,3 milioni (800mila in più
rispetto all’anno precedente), per i tre quarti concentrati in Francia,
Germania, Italia, Regno Unito e Spagna. In quest’ultimo
paese, però, come anche in Portogallo e in Irlanda, il loro numero
è ultimamente diminuito. L’incidenza media degli immigrati
sui residenti europei è del 6,6%; tuttavia, se si considera il gruppo
dei nati all’estero che hanno acquisito la cittadinanza del
paese di residenza, si arriva a 48,9 milioni di persone che fanno
dell’UE il principale polo immigratorio al mondo insieme al Nord
America.

Alcuni Stati membri si accingono ad attuare, o hanno già
attuato, modifiche alle rispettive politiche migratorie: la Danimarca
è indirizzata ad abolire il sistema a punti attualmente in
vigore per ottenere il soggiorno a tempo indeterminato; la Polonia,
a fronte di un esodo in continua diminuzione, sta conoscendo
un maggiore afflusso di immigrati, specialmente dai paesi
vicini; in Spagna i cittadini stranieri irregolari (circa 150mila
secondo stime) sono stati privati – non senza polemiche – della
copertura del servizio sanitario nazionale. Nel mese di giugno
2012 il Consiglio dei Ministri dell’Interno dell’area Schengen,
preoccupato per i flussi dell’ultimo periodo (Nord Africa), ha
deciso di modificare il Trattato e di reintrodurre i controlli alle
frontiere in caso di pressioni straordinarie (scelta tuttavia criticata
dal Parlamento Europeo e dalla Corte Europea dei diritti umani).
Anche in Italia, terra d’asilo e paese d’immigrazione, sono in
corso mutamenti che il Dossier ha ampiamente analizzato.

La presenza dei migranti in Italia
Il Dossier ha stimato che il numero complessivo degli immigrati
regolari, inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagraanagrafe, abbia di poco superato i 5 milioni di persone alla fine del 2011, un numero appena più alto di quello stimato lo scorso
anno (5.011.000 rispetto a 4.968.000).
Nel 2011 il Ministero degli Affari Esteri ha rilasciato 231.750
visti per inserimento stabile, in prevalenza per motivi di lavoro e di
famiglia, mentre sono stati circa 263mila i permessi di soggiorno
validi alla fine del 2010 che, dopo essere scaduti, non sono risultati
rinnovati
alla fine del 2011.
I permessi di soggiorno in vigore alla fine dell’anno, inclusi i
minori iscritti sul titolo dei genitori e al netto dei casi di doppia
registrazione (archivio del Ministero dell’Interno revisionato
dall’Istat), sono stati 3.637.724, in leggero aumento rispetto ai
3.536.062 del 2010 (+2,9%).
Da questa base si è partiti per elaborare la stima del Dossier e
quantificare, anche con il supporto di altri archivi, la consistenza
degli immigrati comunitari che, come è noto, non sono più inclusi
nell’archivio dei permessi di soggiorno. Il numero stimato dei
comunitari (1.373.000, per l’87% provenienti dai nuovi 12 Stati
membri) è stato ottenuto applicando ai residenti a fine 2010 lo
stesso tasso d’aumento riscontrato tra i soggiornanti non comunitari
nel 2011. Le principali collettività sono risultate: Romania
997.000, Polonia 112.000, Bulgaria 53.000, Germania 44.000,
Francia 34.000, Gran Bretagna 30.000, Spagna 20.000 e Paesi
Bassi 9.000.
La ripartizione della stima totale per aree continentali vede prevalere
l’Europa, tra comunitari (27,4%) e non comunitari
(23,4%), seguita dall’Africa (22,1%), dall’Asia (18,8%) e dall’America
(8,3%), mentre le poche migliaia di persone provenienti
dall’Oceania e gli apolidi non raggiungono neppure lo 0,1%.
Tra i soggiornanti europei non comunitari (1.171.163), gli albanesi
sono i più numerosi (491.495). Seguono 223.782 ucraini;
147.519 moldavi; 101.554 serbi e montenegrini; 82.209 macedoni;
37.090 russi; tra i 20mila e i 30mila ciascuno, i bosniaci, i
croati e i turchi. L’Albania è anche il primo paese per numero di
studenti universitari (oltre 11mila, nell’anno accademico
2011/2012, su un totale di 65.437, mentre secondo un recente
studio dell’European Migration Network nell’UE gli studenti internazionali sono 1 milione e 200mila).
Per quanto riguarda il continente africano, alla fine del 2011 i
marocchini risultano essere la prima collettività, con 506.369 soggiornanti (i più numerosi anche tra tutti i non comunitari). Le altre
grandi collettività africane provengono da Tunisia (122.595), Egitto
(117.145), Senegal (87.311), Nigeria (57.011), Ghana
(51.924); seguono Algeria (28.081) e Costa d’Avorio (24.235);
quindi, con circa 15mila soggiornanti, Burkina Faso e, con 10mila
soggiornanti o poco meno, Camerun, Eritrea, Etiopia, Mauritius e
Somalia. In totale, i soggiornanti africani sono 1.105.826.
Un ampio approfondimento su diverse collettività asiatiche è
contenuto nel volume Asia-Italia. Scenari migratori, che nel 2012
Idos ha curato per il Fondo Europeo per l’Integrazione in collaborazione con la Caritas e la Fondazione Migrantes. Gli immigrati
dall’Asia, che alla fine del 2010 hanno inciso per il 12,7% sull’insieme
dei residenti stranieri nell’Unione Europea, nell’anno successivo
sono arrivati a incidere in Italia per 6 punti percentuali in più, per
un totale di 924.443 soggiornanti. In particolare, l’Italia è lo Stato
membro che nell’UE accoglie le collettività più numerose di cinesi
(277.570 soggiornanti nel 2011), filippini (152.382), bangladesi
(106.671) e srilankesi (94.577), mentre è il secondo Stato per
quanto riguarda la presenza di indiani (145.164) e pakistani
(90.185).
La componente americana totalizza nel suo complesso 415.241
soggiornanti. Le principali collettività provengono dal Perù con
107.847, dall’Ecuador con 89.626, dal Brasile con 48.230 e dagli
Stati Uniti con 36.318, seguite – con circa 20mila soggiornanti ciascuna
– dai cittadini della Colombia, di Cuba e della Repubblica
Dominicana e quindi – con circa 10mila – di Argentina, Bolivia ed
El Salvador.
Ad attestare i solidi legami che queste collettività hanno con l’Italia
sono innanzi tutto l’elevata incidenza dei minori (tra i non
comunitari 23,9% e 897.890 unità) e il fatto che la maggior parte
di essi è nata nel nostro paese.

Immigrazione e lavoro
In Italia la grave crisi ancora in corso, attestata anche dalla continua
delocalizzazione all’estero di diverse attività produttive, tra il
2007 e il 2011 ha provocato la perdita di un milione di posti di
lavoro, in parte compensati da 750mila assunzioni di stranieri in
settori e mansioni non ambiti dagli italiani. Anche nel 2011, mentre
gli occupati nati in Italia sono diminuiti di 75mila unità, gli
occupati nati all’estero sono aumentati di 170mila. Attualmente
gli occupati stranieri, incluse anche le categorie non monitorate
dall’indagine campionaria dell’Istat, sono circa 2,5 milioni e rappresentano un decimo dell’occupazione totale. Nello stesso
tempo tra gli stranieri è aumentato il numero dei disoccupati
(310mila, di cui 99mila comunitari) e il tasso di disoccupazione
(12,1%, quattro punti più in più rispetto alla media degli italiani),
mentre il tasso di attività è sceso al 70,9% (9,5 punti più elevato
che tra gli italiani). I neocomunitari, che tra i residenti incidono
per un quarto, nell’archivio Inail raggiungono quasi un terzo tra i
lavoratori nati all’estero occupati come dipendenti e il 40% tra i
nuovi assunti del 2011.
Nell’attuale congiuntura la forza lavoro immigrata continua a
svolgere un’utile funzione di supporto al sistema economico-produttivo
nazionale per la giovane età, la disponibilità e la flessibilità
(caratteristiche che, purtroppo, spesso si traducono in forme più o
meno gravi di sfruttamento). Gli immigrati sono concentrati nelle
fasce più basse del mercato del lavoro e, ad esempio, mentre tra
gli italiani gli operai sono il 40%, la quota sale all’83% tra gli
immigrati comunitari e al 90% tra quelli non comunitari.
Motivati dal bisogno di tutela, sono oltre 1 milione gli immigrati
iscritti ai sindacati, con una incidenza dell’8% sul totale dei sindacalizzati e del 14,8% sulla sola componente attiva. Del resto, gli
archivi dell’Inail attestano che essi sono maggiormente soggetti al
rischio infortunistico: tra i lavoratori nati all’estero, in controtendenza
con l’andamento generale, gli infortuni sono infatti cresciuti,
raggiungendo un’incidenza media del 15,9% sugli infortuni
complessivi a fronte del 15% dell’anno precedente. Le ispezioni
condotte nel 2011 hanno riscontrato in situazione irregolare il
61% delle aziende sottoposte a verifica, in circa la metà dei casi
per lavoro nero, condizione che accresce l’esposizione dei lavoratori
al rischio di infortunio sul lavoro.
Il Rapporto 2012 sul mercato del lavoro degli immigrati, curato dal
Ministero del Lavoro, attesta che il peso dei lavoratori non comunitari
(per i comunitari non sono stati riportati i dati) sulle prestazioni
previdenziali e assistenziali dell’Inps non è eccessivamente
elevato: 10,2% per la cassa integrazione ordinaria e 6,9% per
quella straordinaria; 5,1% per l’indennità di mobilità; 11,8% per
l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola, 7,7% per
quella con requisiti ridotti e 8,8% per quella agricola; 0,2% per le pensioni di invalidità, vecchiaia e ai superstiti; 0,9% per le pensioni
assistenziali; 8,1% per le indennità di maternità; 5,1% per i
congedi parentali e 10,8% per gli assegni per il nucleo familiare.
I collaboratori familiari (poco più di 750mila quelli nati all’estero
assicurati presso l’Inps) rappresentano la categoria più numerosa
tra gli immigrati e costituiscono una risorsa preziosa per un paese
in cui ogni anno 90mila persone in più diventano non autosufficienti,
dove il bisogno di assistenza aumenterà con il crescente
invecchiamento della popolazione autoctona (aumento degli
ultra65enni dall’attuale 20,6% della popolazione al 33% previsto
a metà secolo). A loro volta, gli infermieri stranieri (un decimo del
totale) assicurano un apporto indispensabile al servizio sanitario
nazionale e a molte strutture private.
Anche il settore agricolo, scarsamente attrattivo nei confronti
degli italiani, per molti immigrati costituisce una prospettiva di
inserimento stabile (allevamenti e serre) o un’opportunità limitata
a determinati periodi dell’anno (lavoro stagionale) o quanto
meno al momento dell’ingresso, al punto che l’agricoltura è stato
il solo settore ad aver registrato, per gli immigrati, un saldo occupazionale positivo.
Altri settori per i quali il contributo degli immigrati continua a
risultare fondamentale sono l’edilizia, i trasporti e, in generale, i
lavori a forte manovalanza: dai dati messi a disposizione dalle
organizzazioni delle cooperative, risulta che gli immigrati incidono
per oltre un sesto nelle cooperative di pulizie e per oltre un
terzo in quelle che si occupano della movimentazione merci.
L’attenzione alle percentuali permette anche di segnalare la rilevanza
assunta dagli immigrati in altre categorie, seppure quantitativamente
non rilevanti. I marittimi in Italia, la cui flotta per tonnellate
di portata è al 14° posto nel mondo e tra i primi nel comparto
crocieristico (dati di Confitarma), sono 60mila (su un totale
mondiale di 1.372.000) e sul personale operante a bordo gli stranieri
incidono per il 40%, in provenienza soprattutto dalla Romania,
dall’India e dalle Filippine (dove a Manila, dal 2007, opera
una sede distaccata dell’Accademia della Marina Mercantile Italiana
per formare lavoratori del posto che suppliscano alla nostra
mancanza di maestranze).
Tra i calciatori delle squadre di serie A, gli stranieri sono 271 su
un totale di 554, pressoché la metà del totale (48,9%) e addirittura
oltre nell’Udinese e nell’Inter, una squadra al cui interno si parlano
13 lingue e i calciatori stranieri incidono per il 67,9%. Un
terzo dei calciatori immigrati è costituito da latino-americani.
Nel settore imprenditoriale i nati all’estero incidono per il 9,1%,
se si considerano tutte le cariche imprenditoriali, e per il 7,4% se
si restringe l’attenzione ai soli titolari d’impresa, aumentati di
21mila unità nel 2011 (Unioncamere), mentre i titolari con effettiva
cittadinanza straniera (249.464) incidono per il 4,1% (Cna). Il
lavoro autonomo degli immigrati, imprenditoriale o in altre
forme, può conoscere un ulteriore sviluppo, perché attualmente
riguarda l’11% dei comunitari e il 14% dei non comunitari rispetto
al 26% degli italiani.
Se le migrazioni sono di per se stesse una risposta alla crisi, le
rimesse sono un indicatore del ritorno positivo per i paesi di origine.
Le rimesse partite dall’Italia (un quinto rispetto al totale europeo),
erano leggermente diminuite nel 2010 (6,6 miliardi di euro)
ma sono tornate a crescere nel 2011 (7,4 miliardi di euro), in
aumento verso la Cina e in diminuzione verso le Filippine (anche a
seguito della maggiore integrazione delle famiglie filippine in Italia
e del calo delle retribuzioni). Meritano attenzione particolare i cosiddetti “diaspora bond”, buoni destinati a sostenere progetti
per le infrastrutture e per finalità economiche, sociali ed educative,
con una formula che riesce a tenere insieme le finalità dei singoli
migranti e i progetti pubblici dei paesi di partenza. L’Italia si è
segnalata per il monitoraggio avviato sui costi dei servizi di invio
delle rimesse e la loro riduzione (www.mandaisoldiacasa.it),
come anche per il varo dell’Osservatorio nazionale sull’inclusione
finanziaria degli immigrati, nel cui ambito rientra anche l’utilizzo
dei risparmi attraverso le banche.

I dati del Veneto