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Da Repubblica del 1 giugno 2008

Due rassegne dedicate ai cineasti arabi e romeni mostrano i volti di due comunità cittadine

Un viaggio dai classici maghrebini ai filmaker di oggi, il dopo-Ceausescu in 13 documentari

Non sono questi i giorni migliori per parlare di integrazione. Eppure dal cinema arrivano notizie che testimoniano di una città multietnica, capace di far dialogare le sue identità, le sue culture. Qualcosa ha cominciato a muoversi la passata stagione, con due successi lontanissimi per tema e per geografia – 4 settimane, 3 mesi e 2 giorni di Cristian Mungiu, Palma d’ oro a Cannes, e Cous cous di Abdellatif Kechiche, vincitore morale a Venezia. Un film romeno, bello e durissimo, sugli aborti clandestini sotto il regime di Ceausescu, e uno maghrebino (Kechiche è franco-tunisino), poetico quanto amaro spaccato di vita nordafricana nella Marsiglia contemporanea. Due titoli simbolo di altrettante culture, che hanno risvegliato l’ attenzione delle rispettive comunità, le più numerose tra quelle che popolano l’ area metropolitana (26 mila i romeni nella nostra «Bucarest italiana»). Le donne arabe si sono mosse dal cuore di San Salvario per andare al cinema a ritrovare le atmosfere di casa nel gustoso, colorato Cous cous e così i romeni, ormai cittadini europei, hanno cercato nei quartieri le sale dove si proiettasse il film del loro connazionale Mungiu, occasione per riflettere su luoghi e tempi lasciati alle spalle, forse con nostalgia più probabilmente con sollievo.
A questi stranieri non più sans-papier, a questi nuovi torinesi che partecipano della vita della città non soltanto nelle scuole e negli ospedali ma nei teatri e nei cinema, per una interessante coincidenza si rivolgono due eventi quasi in contemporanea nei prossimi giorni; a loro e a chi sia interessato ad esplorare la loro cultura nel segno di un autentico processo di integrazione, che non può che passare attraverso la conoscenza reciproca.
Da una parte la mostra in corso a Rivoli «Le porte del Mediterraneo» sconfina sul grande schermo con «Uno sguardo sul cinema arabo» che da martedì prossimo fino all’ 8 giugno propone al Museo Diffuso della Resistenza quindici titoli molto diversi tra loro per provenienza, epoca e stile, per offrire una panoramica sulla cultura araba, tuttora oggetto (al pari di quella israeliana, come dimostra la querelle alla Fiera del Libro) di pregiudizi e diffidenze.
Dall’ altra il Museo del Cinema propone, dal 9 al 15 giugno al Massimo, «Tara mea (La mia terra)», un ciclo di tredici documentari che raccontano la Romania di oggi attraverso lo sguardo dei suoi autori, tutti invitati a presentare e discutere in sala le loro opere. Del cinema arabo si sa. Molto meno si conosce di quello romeno, arrivato sulle vetrine internazionali grazie ai registi premiati a Cannes, Puiu, Mitulescu, Porumboiu, Nemescu fino a Mungiu nel 2007. Un’ occasione per scoprirlo, non nella fiction ma nei suoi aspetti legati alla realtà. La rassegna nasce dalla collaborazione tra Fieri (Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’ immigrazione), Museo Nazionale del Cinema, Istituto Romeno di Cultura Umanistica di Venezia e Biblioteche Civiche. Diversi i temi. Alcuni pesanti: la vita durante il socialismo (Nascuti la comanda), le politiche antiaboriste del regime, il controllo dei media e dell’ informazione (Râzboi pe calea undelor), le frontiere (Podul peste Tisa), le migrazioni contemporanee (Last Peasants), la vita dei bambini di strada di Bucarest (My home), i disastri ambientali (New Eldorado). Altri più lievi: il confronto tra generazioni (Asta E), il rapporto uomo-natura (Carpatia, La drum), la cooperazione internazionale (Satul sosetelor). Una sezione è dedicata ai Rom: Blestemul ariciului che racconta la vita di una povera famiglia contadina alla ricerca di occupazioni precarie, Fanfaron, fanfaron affresco della tradizione della musica rom nei paesi della Moldavia, Caravane 55 che segue lo sgombero di un campo nomadi nella periferia parigina in seguito (perenne déjà-vu) all’ opposizione della popolazione locale. Antologica, invece, la rassegna sul cinema arabo che affianca classici come il leggendario La mummia di Chadi Abdel Salam o Cairo Station del maestro Youssef Chahine a opere recenti come The Fifth Pound di Khaled El-Hagar, promettente allievo di Chahine in concorso nel 2000 al Torino Film Festival, o A Gulf between us di Nabil Ayouch, rivelazione alla Festa del Cinema di Roma. Il 5 la giornata sarà dedicata alle produzioni, quasi tutte inedite, dei filmaker siriani Osama Mohammed e Omar Amiralay, entrambi dissidenti, fortemente critici nei confronti del governo del loro paese.
La rassegna è curata da Martina Corgnati e Sherif Awad (che introdurranno tutte le proiezioni) e promossa dall’ Archivio nazionale cinematografico della Resistenza con il sostegno della Regione.