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E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia

Il rapporto dell'associazione “Terra!” analizza la filiera agroalimentare

E’ stato presentato nei giorni scorsi il rapporto “E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia” che si occupa appunto di indagare la situazione dello sfruttamento del lavoro in agricoltura nel continente europeo.

Il rapporto, curato dall’associazione “Terra!”, indaga il fenomeno dello sfruttamento del lavoro dei migranti in agricoltura, c.d. caporalato, analizzando soprattutto la situazione di Italia, Spagna e Grecia. Si tratta di un lavoro collettivo che raccoglie inchieste sul campo svolte da giornalisti e ricercatori e che mira a rappresentare il fenomeno del caporalato sotto una veste diversa da quella offerta comunemente. Mentre infatti in Italia il fenomeno dello sfruttamento in agricoltura viene solitamente presentato come una questione interna che riguarda essenzialmente il Sud, con questo lavoro, come evidenziato dallo stesso Fabio Ciconte, direttore di Terra!, si vuol sottolineare come in realtà il problema dello sfruttamento del lavoro sia piuttosto “una piaga connessa a un’economia di filiera fragile”. Ecco allora che la questione dello sfruttamento lavorativo in agricoltura è presentata come “un lungo fil rouge che attraversa le campagne europee”. In questa nuova ottica, parlare di caporalato, significa soprattutto parlare di produzione e di distribuzione, indagare i meccanismi delle filiera agroalimentare e soffermarsi sul potere che hanno i grandi soggetti di questa catena di imporre le proprie regole sul mercato. Una filiera, quella agroalimentare, che schiaccia i soggetti deboli e favorisce lo sfruttamento della manodopera nelle campagne.

Nelle tre nazioni analizzate, la presenza di stranieri impiegati nel settore dell’agricoltura è molto elevata e sono presenti grandi sacche di irregolarità. Il ricorso al lavoro straniero non è casuale, tutt’altro. “La centralità dei profitti nell’agroalimentare ha reso necessario il ricorso al lavoro straniero, perché flessibile e malpagato”. Certo, le realtà dei tre paesi analizzati presentano differenze e peculiarità, ma questo non impedisce di individuare una cornice comune all’interno della quale si inserisce il rapporto tra lavoratore e impresa, tra sfruttato e sfruttatore. Come identica appare la condizione di fragilità dei produttori della filiera agroalimentare di questi paesi, una filiera fatta di tante individualità e di scarsa organizzazione.

La “huerta d’Europa”, l’orto più grande d’Europa, è la Murcia nella Spagna meridionale, 450mila abitanti, 470mila ettari di terreni adibiti all’agricoltura. Un’infinita distesa di campi coltivati a limoni, cocomeri, meloni, broccoli e peperoni. A raccogliere migliaia di braccianti, tra cui molte donne, provenienti in particolare dalla zona del Maghreb, con contratti sottoscritti attraverso agenzie interinali (ETT) pensati per precarizzare la situazione dei lavoratori.
La contratación en origen è la nuova frontiera del lavoro grigio nei confronti di lavoratori e lavoratrici provenienti da paesi terzi e a pagarne le spese sono in particolare le lavoratrici marocchine che raccolgono le fragole a Huelva. Di fatto un lavoro a cottimo con ampi margini di guadagno per le grandi aziende, che hanno sostituito le piccole imprese famigliari degli anni Ottanta, e la possibilità di pagare i lavoratori e le lavoratrici in nero.
Un circolo vizioso che costringe i pochi agricoltori rimasti a comprimere sempre di più il costo della manodopera bracciantile per mantenere un minimo di competitività; con l’innesto, negli ultimi anni, di grandi società di investimento che monopolizzano il mercato dei pesticidi, delle sementi e delle consulenze aziendali.

Anche a Monolada, in Grecia, la coltivazione principale è quella della fragola; qui i braccianti della filiera agricola sono per lo più migranti (90% circa) inseriti in un contesto di lavoro nero, sotto l’egida dei caporali, e nella totale assenza di controlli.
Secondo Ismini Karydopoulou, ricercatrice di Generation 2.0 “in Grecia è la frammentazione del processo di produzione e della filiera a far sì che si tolleri che le imprese sono in possesso di una certificazione che attesti lo sfruttamento della manodopera ma che esse possono al contempo permettersi di conservare una facciata di legittimità e standard di qualità. È molto difficile, in mezzo a questa frammentazione e alla confusione che genera, identificare chi è il produttore, chi gestisce l’azienda e chi assume i braccianti”.

In Italia quello agricolo rappresenta un settore con grandissime criticità aggravate sicuramente dalla crisi sanitaria in corso da più di un anno, ma non solo. Piana del Sele, Agro Pontino e zona del Foggiano, sono le principali realtà indagate. In queste aree sono state riscontrate forti disgregazioni tra gli addetti del settore e una debolezza delle politiche di filiera che penalizzano fortemente lo sviluppo agricolo e, di conseguenza, le condizioni generali degli operatori coinvolti. Problemi che si sommano alle questioni precipuamente connesse al mondo del lavoro, ovvero alla contrattualizzazione dei lavoratori e all’utilizzo di manodopera in condizioni di irregolarità. Situazione questa che è una mera risultante della legislazione italiana che produce irregolarità e fallisce anche i pochi tentativi di sanarla, incidendo così sulla qualità del lavoro e sulle condizioni di vita dei braccianti che appaiono a dir poco indecorose.
Il comparto agricolo del Sud Italia è da anni in una fase di generale evoluzione: da una parte la meccanizzazione del lavoro (basti pensare alla raccolta del pomodoro) diminuisce la richiesta di lavoratori, con conseguente restrizione del mercato, dall’altra la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), attraverso le cosiddette “aste al doppio ribasso” e una politica speculativa, schiaccia i piccoli produttori anche attraverso la scarsa valorizzazione dei prodotti.

Grazie all’analisi comparata di quello che avviene in Spagna, Grecia ed Italia presente all’interno del Rapporto stilato da “Terra!”, siamo in grado di affermare che le problematiche che da tempo riscontriamo nel nostro paese, appaiono sistemiche e continentali. Distorsioni frutto del sistema economico e del sistema di produzione dominante nell’occidente europeo: da questa constatazione elementare occorre allora partire per indagare più a fondo certe dinamiche e ricercare soluzioni profonde.
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Scarica il rapporto (ita – eng)

Introduzione
Nel nostro paese, il caporalato viene solitamente raccontato come un tema di cronaca interna, una questione preoccupante che affligge in particolare il Sud. Con questo rapporto, Terra! scardina la narrativa convenzionale per calare il fenomeno in un contesto più ampio, quello europeo.

E(U)xploitation è un viaggio in Italia, Spagna e Grecia, un viaggio fatto per restituire una fotografia che oltrepassi la cronaca e renda più evidenti le cause profonde dello sfruttamento lavorativo in agricoltura. Cause che si annidano nella fragilità delle economie dell’Europa meridionale, nell’atomizzazione del settore agricolo alle prese con le pressioni della grande distribuzione e dei grossisti.

Il rapporto è un importante compendio delle tante disfunzioni, spesso comuni, delle filiere agricole dell’Europa mediterranea, un documento di denuncia ma anche di analisi. Un testo per il pubblico e per la politica, che deve trovare al più presto una soluzione europea a questa piaga.

Avv. Arturo Raffaele Covella

Foro di Potenza.
Sono impegnato da anni nell’ambito della tematica del diritto dell’immigrazione, con particolare attenzione alla protezione internazionale e alla tutela dei lavoratori stranieri. Collaboro con diverse associazioni locali che si occupano di migrazioni. Scrivo per diverse riviste.

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.