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E’ illegittimo qualsiasi Hot spot per identificare i migranti in mare  

Un comunicato stampa di ASGI

Foto protesta migranti a Lampedusa di Borderline Sicilia

I diritti non potranno mai essere effettivamente garantiti in modo adeguato in alto mare.
ASGI chiede al Ministero dell’Interno e al Governo italiano l’abbandono immediato di questa ipotesi alla luce delle illegittimità sopra elencate e invita l’UNHCR a monitorare attentamente affinché venga garantito l’’effettivo accesso al sistema della protezione internazionale in Italia.

Il Ministero dell’Interno sembra prefigurare la possibilità di creare degli Hotspot per il soccorso e l’identificazione dei migranti in mare a bordo di navi della Marina italiana o su piattaforme in disuso.
Mancano molti particolari sulle misure proposte, ma esse sarebbero in ogni caso illegittime per violazione di norme costituzionali, internazionali e dell’Unione europea.

La Corte europea dei diritti dell’uomo in due sentenze ha già condannato l’Italia, allorché aveva fatto uso di navi per respingere o trattenere di fatto migranti (sent. Hirsi Jamaa 23 febbraio 2012 e sent. Khlaifia 1 settembre 2015), ricordando che la nave italiana che soccorre in mare migranti è territorio italiano e che la sistemazione a bordo di navi da cui gli stranieri non possono scendere costituisce una restrizione della libertà personale.

Qualsiasi nave deve, perciò, comunque sbarcare i migranti sulla terraferma perché possano essere assistiti e possano essere correttamente informati in lingua ad essi comprensibile ed anche fruire del diritto alla difesa, consentendo la verifica corretta di ogni posizione individuale. in modo che si possa con calma verificare una per una le situazioni giuridiche ed umane delle persone soccorse in mare.

L’eventuale respingimento effettuato in mare nei confronti di tutti i migranti che per il momento non avessero presentato domanda di asilo è considerato dalla Corte un’espulsione collettiva, che è vietata dall’art. 4 prot. 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In ogni caso la Corte ribadisce che al migrante deve essere data possibilità di un effettivo ricorso alla difesa e ad un giudice indipendente che possa effettuare un rigoroso esame della sua condizione e che possa anche sospendere la misura adottata.

La misura ipotizzata consisterebbe in una restrizione della libertà personale: come tale, in base all’art. 13 Cost., deve essere prevista in modo tassativo con una norma legislativa e può essere disposta caso per caso soltanto dall’autorità giudiziaria.

La restrizione dei migranti in luoghi chiusi e per un tempo non predeterminato dalla legge è priva di legittimazione giuridica e pertanto in violazione dell’art. 5 Convenzione europea dei diritti umani, in relazione al quale l’Italia è già stata condannata (cfr. sentenza Cedu caso Klajfia c. Italia).

L’identificazione degli stranieri e dei richiedenti asilo in base alle norme dell’UE (direttive 2013/32/UE sulle procedure di esame delle domande di asilo e 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) e alla legislazione italiana che le attua (d. lgs. n. 25/2008, d. lgs. n. 142/2015) deve essere svolta in centri di primo soccorso e accoglienza, in centri di identificazione ed espulsione, in centri governativi di prima accoglienza o nelle Questure e in tali luoghi hanno diritto di essere effettivamente informati dei loro diritti e doveri, inclusa la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale, e a tali centri hanno diritto di accedere organizzazioni nazionali e internazionali di tutela e avvocati per garantire informazione e diritto alla difesa.

Il diritto ad un interprete in lingua comprensibile, il diritto alla difesa, il diritto ad un’informazione completa non potranno mai essere effettivamente garantiti in modo adeguato in alto mare anche se sulle navi vi fossero i rappresentanti dell’UNHCR o di alcune organizzazioni umanitarie, perché così si impedirebbe al migrante di effettuare queste operazioni in modo sereno e approfondito dopo il trauma subito con la traversata e di rivolgersi ad altre organizzazioni di tutela dei diritti umani e ad avvocati che si trovano sulla terraferma e ovviamente mai costoro potranno raggiungere in modo agevole le navi.

Il diritto ad un interprete in lingua comprensibile, il diritto alla difesa, il diritto ad un’informazione completa non potranno mai essere effettivamente garantiti in modo pieno ed adeguato in alto mare anche se sulle navi vi fossero i rappresentanti dell’UNHCR o di altre organizzazioni umanitarie.

Soltanto sulla terraferma, in luoghi accessibili anche alle organizzazioni di tutela dei diritti umani e agli avvocati, può essere garantito a tutti l’effettivo accesso al diritto d’asilo previsto dall’art. 10, comma 3 Cost. e al diritto alla difesa garantito dall’art. 24 Cost.

La prescrizione di sbarco sulla terraferma dei migranti e dei richiedenti asilo è formulata anche nella guida al soccorso in mare per migranti e rifugiati elaborate dall’UNHCR insieme con l’Organizzazione internazionale marittima.

Anche le linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare prevedono che “ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco” (par. 6.20, Risoluzione MSC.167(78) adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS).

Non è poi chiaro in concreto come potrebbero avvenire il rimpatrio dei cittadini stranieri respinti, anche perché precise norme nazionali e internazionali (art. 19 d. lgs. n. 286/1998 e artt. 2 e 3 Conv. Eur. Dir. Uomo) vietano l’invio di stranieri verso Stati in cui potrebbero subire concreti rischi di persecuzione o per la vita o rischi di trattamenti inumani o degradanti (p. es. verso la Libia in cui perdura la guerra civile o l’Egitto, il cui governo viola i diritti fondamentali). Non è chiaro neppure come si possano rispettare altri divieti di espulsioni e di respingimenti nei confronti di categorie vulnerabili come i minori e le donne incinte.

La mancanza di posti per l’accoglienza dei richiedenti asilo non si può certo risolvere con una misura emergenziale come la creazione di Hotspot in mare, che sarebbe illegittima anche se fosse prevista da qualsiasi futura norma legislativa: si risolve soltanto creando nuovi centri su tutto il territorio nazionale con un piano di accoglienza dignitosa per un numero realistico (e non sistematicamente sottostimato come è avvenuto fino ad oggi) di migranti e richiedenti asilo e sulla creazione di nuovi canali di ingresso e soggiorno regolari.

I fondi forniti dall’UE, anche sulla base della recente revisione della spesa pubblica italiana, consentirebbero di coprire le spese necessarie per allestire un sistema dignitoso e diffuso di centri per l’identificazione e l’assistenza dei migranti e dei richiedenti asilo, rispettoso sia delle esigenze di sicurezza, sia delle imprescindibili garanzie per i diritti fondamentali di ogni persona.

ASGI chiede al Ministero dell’Interno e al Governo italiano l’abbandono immediato di questa ipotesi alla luce delle illegittimità sopra elencate e invita l’UNHCR a monitorare attentamente affinché venga garantito l’’effettivo accesso al sistema della protezione internazionale in Italia.

A.S.G.I. – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
www.asgi.it