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da Il Manifesto dell'8 ottobre 2005

E l’Unione europea resta a guardare

Anna Maria Merlo
Parigi – La Commissione di Bruxelles ha inviato ieri mattina una missione «tecnica» a Ceuta e Melilla, con funzionari della nuova Agenzia europea alle frontiere, per cercare di valutare l’ampiezza dell’immigrazione che passa attraverso il Marocco con l’obiettivo di sbarcare in Europa. Secondo il portavoce di Franco Frattini, commissario alla giustizia e alla sicurezza, questi funzionari hanno il compito di «ascoltare le autorità marocchine e spagnole per vedere come li si può aiutare». La missione tornerà lunedì sera a Bruxelles e mercoledì Frattini renderà noti i risultati. Di fronte al disastro di questi giorni e ai morti di giovedì, la Commissione per ora si è limitata a lanciare un appello a Marocco e Spagna, perché abbiano «reazioni proporzionate», pur riconoscendo che «la situazione è estremamente difficile da gestire». Ma Spagna, Italia e Malta – i tre paesi degli sbarchi – chiedono di più a Bruxelles. Il ministro degli esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, che lunedì sarà in Marocco «per abbordare vari temi di cooperazione», ha affermato che «è urgente che l’Unione europea svolga un ruolo di primo piano in questo campo, sia per ciò che riguarda le politiche di migrazione che per l’elaborazione di un ambizioso piano di cooperazione con l’Africa». Moratinos chiede ai partner di «gestire assieme questo fenomeno, che rischia di travolgerci e di trascinarci in effetti devastanti». Ma sull’immigrazione legale nell’Unione vige ancora la regola dell’unanimità (tutti hanno paura del lassismo del vicino), mentre da aprile scorso c’è il voto a maggioranza qualificata sul controllo alle frontiere esterne, dell’asilo e dell’immigrazione illegale. Un piccolo segnale, comunque, sta per arrivare da Bruxelles su questo fronte: mercoledì la Commissione dovrebbe adottare una comunicazione, su iniziativa del commissario allo sviluppo, il belga Louis Michel, per definire «la strategia per l’Africa» e proporre «un patto euro-africano per accelerare lo sviluppo dell’Africa». Un mini-piano Marshall per cercare di frenare l’immigrazione? L’Unione è schizofrenica su questo fronte. Da un lato gli stati membri insistono sulla «lotta all’immigrazione clandestina», ma dall’altro i rapporti tecnici della Commissione, come il Libro verde sull’immigrazione economica publicato nel gennaio scorso, sottolineano l’evidenza che l’Europa ha bisogno degli immigrati con l’invecchiamento della popolazione (di qui al 2030 andranno in pensione 20 milioni di lavoratori).

Ma, per il momento, i politici dalla vista corta pensano solo a chiudere sempre di più le frontiere, alzando barriere fisiche e legislative. E’ il caso della Francia, dove con l’avvicinarsi delle presidenziali del 2007, l’aspirante candidato populista, Nicolas Sarkozy, oggi ministro degli interni, cerca di riportare il dibattito sul terreno dell’immigrazione, per accaparrare i voti dell’estrema destra. Già la Francia è retta oggi da una legge restrittiva che lo stesso Sarkozy aveva fatto votare nel 2003. Adesso Sarkozy vuole una nuova legge per la fine anno, per farlo passare nel 2006. Per il momento, i servizi del ministero degli interni analizzano la «fattibilità tecnica e giuridica», in particolare, del sistema delle quote, per «fissare degli obiettivi quantitativi di immigrazione». Ma le quote servono, di solito, per l’immigrazione economica, che in Francia non esiste quasi (6500 permessi nel 2002 su 124mila). Le quote di Sarkozy interesserebbero quindi i ricongiungimenti famigliari, prima ragione di immigrazione in Francia: un assurdo giuridico (il diritto a vivere in famiglia è nella Convenzione dei diriti dell’uomo europea). Non validità dei matrimoni contratti all’estero, abolizione dell’automaticità del diritto di soggiorno per chi sposa un francese, tutto è allo studio, persino delle misure per impedire ai malati di farsi curare in Francia. Oltre ad ulteriori restrizioni al diritto d’asilo. Il ministro François Baroin ha persino proposto che i bambini nati nei dipartimenti d’oltremare da un solo genitore francese non abbiano più la nazionalità.