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E’ possibile la conversione del pds per ricercatori universitari a lavoro subordinato?

La norma sopra citata fa riferimento alla speciale autorizzazione all’ingresso per motivi di lavoro che può essere rilasciata, al di fuori del regime delle quote – quindi senza limitazioni numeriche – ed in qualsiasi momento dell’anno (a prescindere dall’esistenza o meno del decreto flussi), per i professori universitari e i ricercatori destinati a svolgere in Italia un incarico accademico o una attività retribuita di ricerca presso università, istituti di istruzione e di ricerca operanti in Italia (art. 27, lett. c) del Testo Unico sull’Immigrazione). Tuttavia, questa tipologia particolare di contratto di lavoro non consente la conversione direttamente in Italia del permesso di soggiorno in riferimento a una normale attività di lavoro di qualsiasi altro tipo; in altre parole, questa persona potrà rinnovare il proprio permesso di soggiorno alla scadenza, alla condizione esclusiva che sia rinnovato il contratto di lavoro presso la stessa Università e che quindi siano prorogate le stesse condizioni che avevano dato luogo all’autorizzazione all’ingresso.
Diversamente, nel caso in cui questa persona trovasse un’opportunità di occupazione presso un altro settore completamente diverso dal precedente, ovvero in una qualunque attività di lavoro subordinato che, come tale, rientrerebbe nel regime delle quote, potrà stipulare validamente il contratto di lavoro solo se ed in quanto il futuro datore di lavoro ottenga, in base appunto al sistema delle quote, l’autorizzazione all’assunzione dall’estero. Non potrà, inoltre, effettuare la conversione direttamente in Italia perché ciò – a differenza della possibile conversione del permesso di soggiorno per studio (art. 6, Testo Unico sull’Immigrazione) , o per lavoro stagionale (art. 24, comma 4, Testo Unico sull’Immigrazione) – non è previsto espressamente dalla legge e, quindi, si può prevedere che la possibilità di conversione sarà negata dagli uffici competenti e che la diretta interessata dovrà perciò rientrare nel proprio paese e ottenere un nuovo visto d’ingresso per lavoro subordinato.

Spiacenti di non poter dare una risposta più confortante, ma preferiamo dare un orientamento prudente e preciso piuttosto che alimentare speranze che francamente non trovano purtroppo, in base alla normativa esistente, un fondamento apprezzabile.