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E torniamo a parlare di schiavitù

Un rapporto della Walk Free Foundation parla di almeno 45 milioni e 800 mila persone che vivono nel mondo in condizioni di schiavitù

Foto: Walk Free Foundation

Non si vedono, non si sentono, non se ne parla. Eppure esistono e sono tanti. E tanti di loro vivono in Italia. Nascosti, senza documenti, senza diritti. Sfruttati, ricattati dai padroni, pagati con quel minimo di sostentamento necessario a cominciare domani un’altra giornata lavorativa. Molti sono minorenni, tantissimi sono bambini. Per il capitalismo predatorio, rappresentano il carburante indispensabile a far “girare” l’economia e portare in attivo le aziende. Stiamo parlando dei moderni schiavi. Schiavi che non hanno nulla da invidiare a quelli che raccoglievano cotone nelle grandi piantagioni del Sud confederato, se non che, se allora la proprietà di un altro essere umano era considerata legale, oggi è l’essere umano che nasce dalla parta sbagliata del “muro” ad essere considerato illegale e, di conseguenza, privato di qualsiasi tutela. Niente di più che una “merce” da vendere e comperare seguendo i flussi del mercato. Una merce, contrariamente agli schiavi dei secoli passati, illegale ma a bassissimo costo e capace di offrire profitti altissimi agli sfruttatori. Schiavi “usa e getta”, qualcuno li ha definiti. Vittime indifese di una ricattabilità cucitagli addosso dalle leggi esclusive dei cosiddetti Paesi civili.

Secondo l’ultimo rapporto stilato dalla Walk Free Foundation 1, almeno 45 milioni e 800 mila persone vivono nel mondo in condizioni di schiavitù.
Una stima per difetto e in continua crescita nel corso degli ultimi anni. 28 per cento in più rispetto all’anno scorso. Per lo più sono bambini. Minorenni costretti a fare i soldati nella Sierra Leone o arruolati a forza nelle milizie di Boko Haram, bambine prostituite in Thailandia al mercato del sesso o tessitrici di tappeti in Pakistan e in India, piccole domestiche spedite a lavorare nelle case del Golfo Persico, bambini assemblatori di prodotti Made in China, di costosi telefonini di gran marca a Singapore o utilizzati come manodopera a costo zero dalla compagnie di disboscamento amazzoniche.

Nella speciale classifica mondiale che vede in testa come numero di schiavi l’India, seguita dalla Cina e dal Pakistan, anche il nostro Bel Paese fa la sua porca figura e si colloca al secondo posto in Europa, dopo la Polonia, con 129 mila e 600 persone ridotte in schiavitù (dieci volte di più della Francia che pure ha, pressapoco, il nostro stesso numero di abitanti), e al 44esimo nel mondo, dopo il Guatemala e prima della Malesia.

Una menzione a parte in tema di schiavitù moderna, la merita la Corea del Nord, dove il lavoro forzato è stato reso legale per accumulo di debiti, povertà o semplicemente per reati contro la società (o meglio, contro il regime) ed è diventato parte integrante del sistema produttivo. Il Paese dove si giustiziano gli oppositori politici con la contraerea, infatti, è al primo posto come percentuale di schiavi in proporzione al numero di abitanti: 4,37 coreani su cento sono schiavi. Seguono l’Uzbekistan dove la raccolta statale del cotone è effettuata con “arruolamento forzato” e il Qatar dove oltre il 99% dei manovali che realizzano quegli incubi architettonici che tanto piacciono agli sceicchi, sono stati “acquistati” in India, in Nepal e in Bangladesh tramite apposite agenzie.

In Italia e in Europa, i nuovi schiavi sono legati alle migrazioni irregolari e sono la dimostrazione vivente della debolezza della Comunità Europea in tema di diritti umani. Che poi è la ragione della stessa debolezza politica e strutturale dell’Ue che non ha saputo ritagliarsi un ruolo, e una dignità, che non sia solo quello di garantire la fluidità dei mercati.

E così, quei migranti che non abbiamo saputo accogliere e che ci siamo rifiutati di regolarizzare, sono diventati linfa vitale per le mafie, che si sono specializzate nella tratta di esseri umani. Capitolato che oggi rappresenta la loro terza voce di introiti dopo il commercio delle armi e della droga. Solo nel campo della prostituzione forzata, le organizzazioni malavitose mettono a bilancio un introito stimato sui 4 mila 831 milioni di euro all’anno (fonte: centro di documentazione universitario Transcrime). La raccolta di pomodori o di altri ortaggi nei campi del sud Italia sotto il giogo del caporalato, il lavoro in nero in cantieri edili, sotto ricatto di essere denunciati dal padrone per immigrazione clandestina, nel nord del Paese, sono le forme di schiavitù più comuni destinate agli uomini.

Ancora più misteriosa la sorte dei tanti bambini che arrivano alle nostre frontiere e che pure dovrebbero essere tutelati dalle leggi sui minori ma che vengono avviato alla schiavitù per vie traverse. In Europa, almeno diecimila tra bambini e bambine sono spariti senza lasciare traccia e la metà di questi in Italia. Venduti a gruppi criminali che li addestrano ad elemosinare o al furto o allo spaccio o allo sfruttamento sessuale o addirittura, secondo alcune fonti, al mercato illegale di organi.

C’è da sottolineare che il sopra citato rapporto dalla Walk Free Foundation (una associazione finanziata da un magnate del settore minerario australiano, Andrew Forrest, convinto che la schiavitù sia “economicamente” sbagliata) stila anche un puntuale resoconto dell’impegno dei Governi nella lotta alla schiavitù. Questo fenomeno infatti, si legge sul rapporto, ha radici smaccatamente politiche, più che economiche, e può essere abbattuto con interventi concreti e leggi atte ad estendere ed a garantire a tutti gli esseri umani i diritti fondamentali. “Sradicare la schiavitù è giusto moralmente, politicamente, da un punto di vista logico ed economico. Attraverso un uso responsabile del potere, della forza di convinzione, della volontà collettiva, possiamo portare il mondo verso la fine della schiavitù” scrive Forrest.

Un plauso nella lotta alla schiavitù moderna, secondo il rapporto, se lo merita tutto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che si è personalmente adoperato perché negli Usa sia vietato importare e commercializzare prodotti realizzati con lavoro forzato o minorile. Menzione di merito anche al Regno Unito che lo scorso anno ha introdotto una speciale legge anti-tratta denominata Modern Slavery Act. Ma Usa e Regno Unito sono rispettivamente al secondo e al terzo posto della classifica dei Paesi virtuosi guidata dall’Olanda che rimane lo Strato che investe di più per fronteggiare il problema, investigarlo e portare aiuto alle vittime della tratta. Seguono Svezia e Australia. E l’Italia? Bisogna, ahimè, scendere al 42esimo posto.

Le misure adottate dal nostro Paese, secondo la Walk Free, sono poche ed inefficaci. Non esiste un piano di intervento nazionale, né strutture preposte a sostenere le vittime, né tantomeno sufficienti investimenti in materia. Il tavolo nazionale istituito in mera ottemperanza alle direttive comunitarie si è riunito poche volte e non ha preso nessuna decisione di rilievo. Combattere la schiavitù, evidentemente, non è nella lista di priorità del nostro Governo.

  1. http://assets.globalslaveryindex.org/downloads/Global+Slavery+Index+2016.pdf

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.