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EX-MOI a Torino: un’occupazione dei rifugiati tra sgomberi e fondazioni di crew

L’area del MOI si trova in via Giordano Bruno a Torino ed è nata con l’obiettivo di ospitare gli atleti delle olimpiadi invernali 2006. Alla fine dell’evento olimpico la riconversione a destinazione d’uso residenziale non viene mai effettuata e le palazzine, che dopo poco tempo vengono abbandonate, diventano il simbolo della speculazione edilizia e dell’enorme spreco di denaro pubblico.

In seguito alla cosiddetta emergenza Nord Africa, alla fine di marzo 2013, due delle sette palazzine vengono occupate, con l’aiuto di alcuni volontari e militanti dei centri sociali torinesi, dai rifugiati che si trovano senza vitto, alloggio o supporto. Poco tempo dopo anche una terza palazzina verrà occupata e in seguito, a causa del sovraffollamento, anche una quarta.

Viene fondato quasi subito un comitato che è tuttora il principale protagonista e sostenitore delle palazzine. Esso è composto principalmente da studenti, lavoratori precari, qualche vicino del quartiere Lingotto e alcuni migranti. Come si può leggere sul blog stesso, il comitato non pretende di rappresentare i rifugiati in toto ma si svolge piuttosto un ruolo di aiuto e di supporto nella difesa dei diritti dei rifugiati e dei migranti, non solo delle occupazioni in questione.
La gestione della struttura, la comunicazione con le istituzioni, l’aiuto burocratico e la creazione di una scuola in loco sono solo alcuni dei compiti del comitato.
È attiva da tempo la scuola Giordano Bruno dove si svolgono lezioni di italiano circa tre volte a settimana e che cerca attivamente volontari per dare una mano in classe. Consapevole dell’importanza della conoscenza della lingua italiana per una maggiore possibilità di integrazione nella società italiana, la scuola è il risultato di contributi di diverse persone tra cui insegnanti con anni di esperienza e persone che invece decidono di dare una mano senza una formazione specifica.

Corteo contro lo sgombero – by Matteo Montaldo
Corteo contro lo sgombero – by Matteo Montaldo

La domanda che sorge spontanea a questo punto è chi sono gli abitanti del MOI?  

È difficile dare una risposta precisa in quanto si tratta di una realtà piuttosto eterogenea: la maggior parte degli abitanti sono rifugiati già usciti dal percorso di accoglienza per diversi motivi. Sono presenti anche alcuni richiedenti asilo ma solitamente di passaggio. È poi altrettanto difficile fornire delle stime sul numero di persone presenti: in seguito all’occupazione della quarta palazzina il villaggio contava circa 750 abitanti, tra di loro un 15% di donne e 30 bambini sotto i 10 anni. La convivenza tra più di venti nazionalità è resa difficile dal contesto di degradazione e di mortificazione sociale in cui le persone si trovano a vivere con serie ricadute sulla salute psicofisica: gli attriti in questa situazione intrisa di frustrazione sono inevitabili.
Purtroppo la questione della convivenza tra diverse nazionalità viene spesso trattata in modo superficiale nelle cronache locali e strumentalizzata da partiti politici e giornali nazionali. Il 2 agosto 2014 il giornale La Stampa pubblica un articolo dal titolo “Ex Moi, rissa a colpi di coltello tra rifugiati nelle case occupate” che viene successivamente fortemente criticato dal Comitato. E dai rifugiati stessi.

Non esistono, come si legge nell’articolo de La Stampa, “gerarchie e gruppi dominanti, che impongono la loro «legge», anche con la violenza, agli altri residenti”. Leggiamo con indignazione di una fantomatica “componente islamica che ha assunto un ruolo dominante nel controllo delle strutture ed è in grado di decidere di chi può o non può entrare nel complesso”; tutto ciò esiste solo nella testa di chi al MOI non è mai stato. ” (dal blog del comitato)

Il MOI è spesso al centro dell’attenzione a causa delle campagne mediatiche organizzate da partiti politici come Lega Nord e Fratelli d’Italia. A gennaio di quest’anno il Tribunale di Torino ha diffuso la notizia di un sequestro: tuttavia sei mesi dopo l’annuncio, nonostante un presidio di polizia permanente, il Comune non ha ancora messo in atto lo sgombero.

La squadra dell'EX MOI occupata
La squadra dell’EX MOI occupata

Intanto sono molte le attività organizzate dal Comitato durante l’anno e nell’estate: dalla partecipazione al Balon Mundial, il torneo di calcio antirazzista ad una rassegna cinematografica dal nome “Regarde MOI”. Nascono così anche i Re-fugees, crew con l’obiettivo di creare momenti di socialità con i ragazzi del Moi e condividere una passione: il Reggae.

Re-Fugees - Southern Turin Crew
Re-Fugees – Southern Turin Crew

Perché occupare?

L’occupazione di strutture da parte dei rifugiati non è un evento nuovo che interessa soltanto la città di Torino in quanto da ormai circa dieci anni in altre città esistono palazzi occupati, come il cosiddetto palazzo Salam a Roma, o la più recente Casa Don Gallo a Padova. Il fenomeno è stato studiato anche sotto una prospettiva più sociologica e antropologica: gli studiosi, come Michele Manocchi nel caso di Torino, si sono interrogati sul valore sociologico dell’occupazione, sul perché gli individui decidono di compiere un’azione ad alta valenza simbolica – e ovviamente di necessità – e su quali siano i risultati.

Viaggio a Palazzo Salaam. Le foto di Luca Ferrari
Viaggio a Palazzo Salaam. Le foto di Luca Ferrari

Un’occupazione da parte dei rifugiati rappresenta in primo luogo un tentativo di denuncia delle mancanze del sistema di accoglienza. I posti SPRAR non sono sufficienti per il numero di rifugiati e non hanno un orizzonte temporale sufficiente per permettere una reale integrazione. I rifugiati che non riescono ad accedere ai progetti SPRAR si ritrovano in una situazione di instabilità, di incertezza riguardo al futuro.
L’occupazione può essere un’occasione di riconoscimento sociale: i rifugiati si trovano di fatto senza veri punti di riferimento, con poche persone su cui fare affidamento (spesso connazionali in una situazione simile) e attraverso l’occupazione tentano di ribadire la propria esistenza. Vogliono mostrare di essere protagonisti della propria vita, di essere in grado di prendere delle decisioni come persone adulte e di reclamare i più basilari diritti umani.
La decisione di occupare può assumere anche la valenza di un’azione collettiva, del proprio gruppo sociale (composto spesso da connazionali) alla quale non era possibile sottrarsi. Come è stato mostrato da vari sociologi le occupazioni degli stabilimenti di Torino vengono spesso compiuti interamente da una sola nazionalità di rifugiati. Si può citare il caso dei sudanesi per l’occupazione in Via Paganini a Torino.
Le occupazioni diventano quindi una possibilità di riconquista, di rinascita, dove viene concessa alla persona la possibilità di acquisire una certa dignità.
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Foto di copertina di Elisa Muntoni, tratto da Exmoi Occupata rifugiati

Fonti utilizzate:
Sito del Comitato ex Moi
Torino, Ex Moi: sullo sgombero, un po’ di chiarezza
Salaam, dov’è di casa la disperazione
– Manocchi M. Richiedenti asilo e rifugiati politici: percorsi di ricostruzione identitaria. Il caso torinese.

Per saperne di più e restare aggiornati sulle novità al MOI:
gruppo facebook “Exmoi Occupata Rifugiati”

Silvia Peirolo

Dottoranda presso l'Università di Trento (IT), mi sono laureata in Studi Internazionali all'Università di Wageningen (NL), all'Università di Torino (IT) e a Sciences Po Bordeaux (FR). Nata e cresciuta a Torino, ho vissuto in vari paesi per studi e lavoro. Di tutti i paesi, sono rimasta appassionata alla Sierra Leone, dove ho vissuto per sei mesi. Mi interesso alle questioni legate alla polizia e alla migrazione, con un focus geografico sull'Africa occidentale. Ho lavorato precedentemente con varie agenzie delle Nazioni Unite e parlo fluentemente inglese e francese.