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Egitto – Mohamed, ucciso brutalmente a 12 anni perché sudanese

I rifugiati scendono in piazza per chiedere verità e giustizia, il regime di Al-Sisi incarcera e tortura

Photo credit: Amnesty International

Un bambino sudanese di dodici anni è stato mutilato ed ammazzato a Il Cairo 1: alla notizia del brutale omicidio, avvenuta per mano di un cittadino egiziano, sono scattate le vibranti proteste della comunità sudanese presente in Egitto. Prima nel quartiere della vittima, Masaken Othman, e dopo presso il quartier generale di UNHCR.

La morte del piccolo Mohamed Hasan ha sconvolto una comunità, quella sudanese, provata dalle continue discriminazioni e violenze quotidiane: “sammara”, tradotto “cioccolatino”, vengono chiamati in tono dispregiativo i profughi provenienti dal Sudan.
Alle proteste contro l’omicidio, la polizia locale ha risposto con la repressione e la violenza: botte, manganellate e gas lacrimogeni, accompagnate dagli insulti razzisti.

Amnesty Internacional denuncia almeno settanta arresti, compresi componenti familiari del bambino ucciso. A questo si aggiungono i successivi pestaggi all’interno del carcere e le torture per estorcere il nominativo dell’organizzatore della manifestazione di protesta.

Un clima di terrore, un modus operandi tipico di uno dei regimi più repressivi del mondo: nei primi dieci giorni di ottobre sono stati giustiziati 49 prigionieri, di cui due erano donne. Tredici esecuzioni sono avvenute all’interno del carcere di Tora, a sud de Il Cairo, nella zona Scorpion del carcere più infernale dell’intera nazione: dall’avvento di Al Sisi, l’Egitto è tra i primi dieci Paesi al mondo per condanne a morte.

I disagi della popolazione verso il faraone diventano sempre più evidenti: le elezioni farsa, con voti comprati tramite minacce e per 3 $ dollari egiziani (0,14 €), non sono stati panacea per sopprimere il vento della ribellione e dell’opposizione.

In piazza Tahriri, pochi giorni fa, Mohammed Hosni si è cosparso il corpo di benzina e si è dato alle fiamme per protestare contro la dittatura e la corruzione dilagante nel Paese 2. In Egitto il 30-40% della popolazione vive con uno stipendio inferiore ai due dollari giornalieri (0,11 €), la dittatura è diventata così spietata da mandare a morte le persone per semplici “sentito dire”. Solo nel 2016, ad esempio, ci sono stati 60.000 prigionieri politici, torturate 830 persone ed oscurati 434 siti web.

In questo quadro drammatico s’inserisce il Covid: le strutture sanitarie sono collassate, i dati dei decessi a causa del Coronavirus sono falsati ed i medici mandati al massacro. L’unione dei medici egiziana ha incolpato, rischiando in prima persona, il Governo: ha parlato di un collasso completo del sistema sanitario, carenza di attrezzature idonee per ricevere i pazienti (posti letto e test) nonché totale mancanza di protezione per gli operatori sanitari.

I dati ufficiali parlano di 19 medici morti e 350 risultati positivi, ma i numeri sono taroccati: si può aggiungere tranquillamente uno zero ad ogni dato. Nell’intero territorio nazionale le stime sono altrettanto fasulle: 110.000 contagi e 6.453 decessi. E’ falso: non vengono effettuati tamponi, non vengono attuati gli screening, la gente viene lasciata morire nelle case seguendo la logica della propaganda statale del “nascondere tutto”.

La sanità egiziana, infatti, è tra le peggiori del mondo: per valutare il sistema sanitario sono presenti sei parametri.

Primo parametro:Prevention of the emergence or release of pathogens”, la prevenzione alla comparsa e/o rilascio di agenti patogeni. L’Egitto è 79° (su 195) con punteggio 36,5. More prepared (seconda di tre fasce).

Secondo parametro: Early detection & reporting for epidemics of potential international concern”, la capacità del sistema sanitario di individuare/segnalare in tempo le epidemie potenzialmente preoccupanti a livello internazionale: 96° posto (41,5), seconda classe “more prepared”.

Terzo parametro:Rapid response to and mitigation of the spread of an epidemic”. Ovvero la prontezza in una risposta rapita per mitigare la diffusione dell’epidemia: 63° posto (45,0).

Quarto punto:Sufficient & robust health system to treat at the sick & protect health workers”, la capacità della sanità nazionale di proteggere la salute dei lavoratori: 128° posto (15.7), “least prepared” (fascia peggiore).

Quinto:Commitments to improving national capacity, financing and adherence to norms”, gli sforzi volti a migliorare la capacità nazionale, il finanziamento ed il rispetto delle leggi: 104° posto (46,4) “more prepared”.

Sesto ed ultimo parametro:Over all risk environment and country vulnerability to biological threats”. Quindi rischio/vulnerabilità dinanzi ad armi biologiche: 86° posto (57,5), “more prepared“.

Infine il punteggio complessivo (“overall score”), sintesi dei sei parametri precedenti, pone l’Egitto all’87° posto (39,9). Dietro a Madagascar, Bhutan, Etiopia.

La situazione della sanità egiziana è al collasso, ma il Presidente ha strumentalizzato la pandemia per espandere i propri poteri tramite degli emendamenti che vedono, tra gli altri, il divieto di riunioni pubbliche e private, proteste e manifestazioni.
Il tutto viene fatto non per contenere l’emergenza Covid19, ma per silenziare le rivolte sempre più frequenti partite dalla protesta del “venerdì della rabbia” nei quartieri di Giza e Beni Suef con il conseguente arresto del politico di sinistra Amin al Mahdi ed il carcere per 150 persone (tra cui 14 minori).

E’ in questo quadro che s’inseriscono gli arresti dei familiari del dodicenne Mohamed Hasan: con la scusa del virus, in Egitto se ti ammazzano un figlio e sei sudanese devi stare zitto oppure ti arrestano, torturano e massacrano anche i tuoi familiari.

La comunità sudanese è numerosa e soffre costantemente di discriminazioni: il primo nodo è la difficoltà di accesso alla richiesta di protezione internazionale, in un Paese dove la normativa di riferimento è assai carente. Il richiedente asilo, al momento della sua richiesta, riceve solamente un foglio di carta con scritto l’appuntamento con l’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Poiché il colloquio è effettuato dopo almeno 60 giorni, il migrante vive per mesi in un limbo: senza permesso e preda dei ricatti delle autorità locali.

Essere senza alcun tipo di documento di soggiorno, inoltre, vuol dire discriminazione: chi ne è in possesso riceve la yellow card, chi invece ne è scoperto riceve la white card.

Quest’ultima diventa una specie di marchio e segna la quotidianità delle persone. Inoltre è negata l’assistenza sanitaria e ogni conseguente aiuto in caso di positività al Coronavirus, l’abbandono scolastico è alto e precoce a causa dei fenomeni di aspro razzismo.

I sudanesi, inoltre, insieme ad eritrei e somali sono le prime vittime del traffico di organi di cui l’Egitto è il primo mercato del mondo: molti vengono ammazzati e sepolti nelle fosse comuni, i loro organi messi in borse termiche e venduti dai trafficanti ai medici del Sahara, con i loro ospedali illegali costruiti ad hoc. Le principali vittime sono i minori stranieri non accompagnati ed i bambini: il Sinai d’Egitto è la voragine delle vite umane, inghiottite nel business atroce degli organi.

In passato vi fu il ritrovamento sulla costa orientale di Alessandria d’Egitto di numerosi bambini, senza organi e ricuciti, di nove cittadini somali tra cui il corpo senza vita di una mamma, Adar Hassan Addawe, e dei suoi tre figli, Abubakr Abdikarim (3 mesi), Anfa’ Abdikarim (18 mesi) e un altro bambino di sette anni. Molti sudanesi e migranti si ritrovano in Egitto e nei suoi campi detentivi senza volerlo: vengono rapiti nei campi profughi di Shagarab e viene chiesto un riscatto alla famiglia. Se il riscatto non giunge, arriva l’uccisione e la rivendita di cuore, reni, polmoni.

Chi copre le malefatte del faraone?

Al-Sisi quando si tratta di inosservanza dei diritti umani, specialmente per quanto riguarda i migranti, si sente con le spalle larghe e intoccabile: questo status quo deriva dai rapporti che il Governo egiziano intrattiene con gli Stati europei in primis. L’accordo con la Germania, che di fatto costituisce il motore economico e politico dell’Unione Europea, ha amplificato questa sensazione.

La Merkel, oltre alle quattro commesse di sottomarini U-209 e categoria 209/1400 3 ed all’intesa da 43 milioni di euro per gas e petrolio, ha stipulato un accordo da 500 milioni 4 per bloccare i migranti nei centri detentivi egiziani. Nascosto sotto le parvenze di sussidi economici, l’accordo vede invece mezzo miliardo di euro per bloccare il viaggio migratorio di migliaia di persone, specialmente i profughi della rotta orientale centro (tra cui i sudanesi): viene sbarrato l’imbarco di Alessandria e rinforzate le carceri di Shellal ed Assuan tramite, anche, la pratica dello shoot-to-kill (spara ed uccidi). E vengono allestiti nuovi centri detentivi e nuovi campi di lavoro, dove schiavizzare i migranti e creare manodopera a costo zero.

In Egitto se sei un civile puoi marcire in carcere senza neanche sapere il perché. Se sei sudanese, puoi venire ammazzato e i tuoi organi rivenduti. O puoi finire nei campi di lavoro a mangiare trenta grammi di brodaglia e picconare le pietre per sedici ore al giorno. Oppure se protesti perché hanno ammazzato tuo figlio, ti ritrovi in una cella a subire scariche elettriche e violenze.

Mohamed Hasan aveva dodici anni e un futuro da scrivere. Le pagine della sua vita sono state bruciate dalla violenza.

  1. https://www.amnesty.it/egitto-orribile-omicidio-di-un-bambino-sudanese-picchiate-e-arrestate-le-persone-che-protestavano/
  2. https://twitter.com/RassdNewsN/status/1327023371154989056
  3. https://dossierlibia.lasciatecientrare.it/la-germania-invia-un-sottomarino-bellico-allegitto-impennata-degli-affari-economici-tra-la-merkel-ed-al-sisi-in-nome-del-petrolio-e-delle-armi/
  4. https://www.meltingpot.org/Germania-Egitto-un-accordo-disumano.html

Pietro Giovanni Panico

Consulente legale specializzato in protezione internazionale ed expert prevenzione sfruttamento lavorativo. Freelance con inchieste sui MSNA, rotte migratorie, accordi illegittimi tra Paesi europei ed extra UE e traffici di armi.
Nel 2022 ho vinto il "Premio giornalistico nazionale Marco Toresini" con l'inchiesta "La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite".