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Emergenza coronavirus nei ghetti. Regolarizzazione generalizzata e alternative abitative per ridare diritti, salute e dignità

Intervista a Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope a Rosarno

Foto di archivio (Valentina Benvenuti)

Da anni, nella Piana di Gioia Tauro, centinaia di braccianti raccolgono clementine ed arance in condizioni drammatiche, vivendo in vere e proprie jungle, sfruttati, pagati in nero senza nessuna tutela. Tra emergenza sanitaria e abitativa; com’è la condizione dei migranti oggi?

La situazione dei migranti oggi è purtroppo quella di sempre, nel senso che in questi anni si è consolidata una vera e propria politica di razzializzazione della forza lavoro, con la conseguente ghettizzazione che costringe migliaia di persone in questo territorio a vivere in una situazione estremamente precaria. In più occorre aggiungere che il pacchetto sicurezza da un lato, e la discrezionalità di Questure e Comuni nel recepire e interpretare le norme, ha creato un circolo vizioso nel quale, a causa del requisito della residenza, molte persone si sono trovate nell’impossibilità di rinnovare il loro permesso di soggiorno e chi, invece, aveva la disponibilità di un contratto di lavoro, nell’impossibilità di convertire il proprio PDS.
Stavamo cercando di affrontare questo tema prima dell’esplosione del Coronavirus, ma ora ci pare tutto fermo. Se si sono sospesi i termini per i rinnovi si allungano invece i termini per provare a sanare queste situazioni. Il che non fa che aumentare nel futuro i problemi.

Vista l’emergenza sanitaria in corso legata alla diffusione, anche in Calabria, del Covid-19, quanto e come può peggiorare la situazione dei braccianti della Piana o del sud in generale?

Dobbiamo smontare i ghetti, nel diritto, cercando la soluzione migliore per tutelare le persone che ci vivono ed evitare il contagio. Il tema è il distanziamento sociale, impossibile in quei luoghi dove vivono ammassate centinaia di persone. Con MEDU, Nuvola Rossa, e SOS Rosarno abbiamo inviato una lettera in cui chiedevamo più azioni preventive a regioni e prefetture per emergenza Covid19. Ad ora non abbiamo ricevuto risposte anche se qualcosa ci pare abbia iniziato a muoversi. La cosa drammatica ad esempio, è che nel ghetto di Taurianova non si sia ancora ripristinato il diritto all’acqua per lavarsi, dopo che è stato tolto l’allaccio abusivo circa un mese fa. L’unica cosa che possiamo fare è andare in quel luogo con igienizzante per le mani, ma servirà a poco se arriverà il virus.
Ci pare a volte che non ci si renda conto di cosa abbiamo di fronte. E’ come se le istituzioni lavorino a semestri quando invece qui occorre lavorare sulle ore.

Quali sono le soluzioni abitative che in questo momento potrebbero ridare dignità a centinaia di braccianti?

Tutte quelle che interrompono la catena perversa tra tendopoli, container, baraccopoli. Noi abbiamo proposto nell’immediato di usare alberghi, beni confiscati dalla mafia e SPRAR per fare da garanti per gli alloggi in affitto e per ospitare temporaneamente le persone che vivono in alta vulnerabilità. Abbiamo anche pensato a beni confiscati dalla ‘Ndrangheta. Occorre un cambio di mentalità. Questa epidemia è potenzialmente simile alla Spagnola, almeno questo ci dicono i virologi, il che vuol dire che dobbiamo aspettarci più ondate, probabilmente più letali. Io spero che non accada ovviamente, ma se esiste questa possibilità occorre evitare di farci trovare impreparati. I ghetti vanno smontati, così come tutti gli insediamenti che non permettono il distanziamento sociale. Spetta alle istituzioni farlo come opera di tutela della salute pubblica.

Qual è il comportamento dei datori di lavoro ora che il bracciante diventa indispensabile (vista la carenza di braccia dovuta all’emergenza in corso)?

Il comportamento dei datori di lavoro in parte sta cambiando, nel senso che abbiamo la percezione che ci sia sempre più lavoro in grigio che in nero, e comincino ad arrivare cooperative di lavoratori italiani provenienti dalla Sicilia, questo perché i controlli nei campi avvengono più di prima, ma resta un livello di sfruttamento enorme, come molto larga resta la sacca di lavoro nero. Il Coronavirus ha determinato una situazione paradossale perché ha messo a nudo la debolezza della filiera agroalimentare della fabbrica verde, nella quale il monopolio e la competizione dei prezzi generati dalla grande distribuzione impone una compressione salariale che ricade sulla parte più bassa della filiera, i braccianti. Questa estate però, proprio per questo aspetto, si rischia che a raccogliere nei campi non ci siano lavoratori, perché quelli che vengono dall’Est preferiscono probabilmente rimanere a casa anziché rischiare il contagio per pochi euro all’ora. Occorre aprire allora una grande riflessione per una regolarizzazione generalizzata che si accompagni allo smontaggio dei ghetti nel diritto ed in dignità. Del resto, il Portogallo lo ha fatto e mi pare una cosa intelligente anche per il tema della salute pubblica. Non possiamo però tralasciare il tema di come si forma il prezzo e dell’enorme squilibrio che si è generato nella catena agroalimentare in questi decenni. Penso che accompagnare queste due proposte, chiedendo che venga inserito il prezzo sorgente vicino a quello della vendita sugli scaffali dei prodotti, sia un primo passo per ripensare la filiera in maniera più equa e giusta.

Redazione

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Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.