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Emergenza, ordine pubblico, legalità: ecco il deserto!

Intervista a Luca Blasi di InterSOS, ONG attiva a Roma a sostegno dei migranti

Photo credit: Vanna D'Ambrosio, Roma 25 agosto 2017 (conferenza stampa dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza)

Luca, perché questo sgombero che trova tutti impreparati?
In realtà da parecchio tempo circolavano voci di un possibile sgombero, il 19 agosto abbiamo avuto la prova della fondatezza di queste voci. Si sapeva che l’operazione era stata decisa dal Tavolo per l’Ordine e la Sicurezza, non erano però note le modalità ed i tempi dell’attuazione. Sulla situazione generata ora si rimpallano le responsabilità tra Prefettura, Questura e Comune; noi come operatori umanitari e come InterSOS non entriamo nel tema del ripristino della legalità sul palazzo, ma possiamo affermare che mentre si cercava di ripristinare la legalità rispetto all’occupazione si è colpita la legalità del rispetto dei diritti dei migranti. Lo Stato italiano ha accettato ed accolto queste persone come rifugiati politici, e quindi godono del massimo della tutela prevista dai trattati internazionali. Oggi invece questo problema, che non era un’emergenza, è stato spostato sul piano dell’ordine pubblico e della gestione di un’ emergenza, in un contesto in cui diritti e dignità vengono completamente lesi.

Quindi è stato generato un problema di ordine pubblico laddove non c’era, è stata condotta un’operazione di polizia senza nessuna soluzione alternativa praticabile.
Esattamente, e questo è un fatto che a Roma si sta ripetendo. La comunità di via Curtatone era integrata e capace di iniziativa propria, ma pochi mesi fa [8 e 12 giugno, ndr] all’Anagnina c’è stato un altro sgombero, con modalità se possibile ancora più violente. Quella comunità non ha avuto la stessa capacità di iniziativa, e la vicenda ha avuto minor risalto. Poi c’è la storia di Baobab, tre mesi e venti sgomberi, che però ieri è diventata la soluzione per dare un sostegno alle famiglie sgomberate. Insomma, un pasticcio enorme: stiamo parlando di un numero di persone tranquillamente gestibile da un’amministrazione comunale come quella di Roma, con le risorse di cui dispone. Invece si è scelto di ribaltare le contraddizioni sociali in problemi di ordine pubblico. Insomma, la storia si ripete; questa volta però la vicenda emerge e sfugge alla cappa di invisibilità sotto cui si cerca sempre di ricacciare rifugiati e migranti.

C’erano 800 persone dentro al palazzo che si affaccia su via Indipendenza. Dove sono ora?
In giro per la città. Noi come InterSOS stanotte ospiteremo 15 donne con 15 minori nel nostro centro di accoglienza, creato per accogliere minori e transitanti appena raccolti in mare, ora abbiamo posti disponibili per via del blocco delle operazioni nel Mediterraneo. Molti, donne senza bambini e uomini, in Piazza Spadolini dietro la stazione Tiburtina, al presidio di Baobab. La maggior parte però è per la strada, non sappiamo dove: è dispersa per la città e quindi non più visibile.

Quindi l’«operazione perfettamente riuscita» di cui parla il Prefetto è la cancellazione dalla sfera pubblica dei “rifugiati eritrei” …
Io non credo che questa operazione funzionerà. Né il dividere la comunità che si era creata in Piazza Indipendenza, né il tentativo di gestire qualunque contraddizione sociale in termini di ordine pubblico. Anzi, sono convinto che a breve il problema si riproporrà mille volte più forte. Ogni tentativo di rendere situazioni così marginali ed invisibili in realtà è stata potenziata la complessità e le contraddizioni inasprite, generando situazioni esplosive. Il problema è l’assenza della politica, non solo perché non c’era nessun assessore in piazza, ma l’incapacità di fare rete, creare tavoli di connessione tra ONG, comunità di migranti, Istituzioni che invece sarebbe la soluzione.

Nella gestione futura della città dobbiamo aspettarci altre operazioni come questa?
Questo ormai è un modus operandi che si ripeterà, l’assenza di ricerca di soluzioni condivise è il problema. Non c’è dibattito, solo talk show: nessuno cerca di evitare di ripetere gli stessi errori, la politica è completamente assente e non ci sono gli elementi per fare formazione. Anche in via Vannina, l’occupazione era di rifugiati che avevano concluso il percorso negli SPRAR. Dal punto di vista formale avevano terminato un percorso, ma l’unica soluzione concreta è stata l’occupazione. Io sono convinto che senza un cambiamento reale capace di mettere in campo un nuovo discorso politico sull’accoglienza ci troveremo davanti un continuo delegare alla polizia le problematiche sociali ingestite, narrate come emergenze. Ma è la non gestione a renderle emergenze! Considera Baobab: aveva 150 persone, un comune come Roma può sistemarle con percorsi di affiancamento, casa, lavoro; manca la volontà politica. La cosa preoccupante è che chiunque interviene segue il solco di Salvini, non c’è una forza politica capace di imprimere un’altra direzione. Quelle poche che lo fanno lo fanno in ritardo ed in modo scomposto, i partiti sono appiattiti sulla caccia al voto a destra. Si è disumanizzata l’opinione pubblica, e questo è un fatto grave.

Tanto a Piazza Indipendenza quanto all’Anagnina gli occupanti erano formalmente sotto protezione internazionale o umanitaria. Il problema allora va oltre l’accoglienza, ma da inquadrare in maniera più ampia nelle politiche di gestione dei migranti.
Molti ci dicono: se non ci volete, lasciateci andare, liberateci dal vincolo di Dublino [che lega la persona protetta allo Stato che l’ha accolta, ndr]. Non tratteneteci qui per trattarci come criminali. L’altro nodo è invece proprio nel cuore del sistema d’accoglienza: gli SPRAR dovrebbero fornire sostegno e far crescere la persona, ma questo non avviene quasi mai. Io lavoro da quattro anni nel sistema d’accoglienza, ho lavorato in alcune strutture della rete SPRAR dalle quali mi sono allontanato perché questo percorso di integrazione, accompagnamento al lavoro e affiancamento linguistico si fa raramente e nei pochi casi non vengono mai rispettati mai gli standard richiesti dai programmi europei. Il percorso SPRAR lascia poco o nulla in mano alle persone che li attraversano.

Semplicemente un adempimento di passi burocratici, ma si potrebbe fare molto di più …
Esattamente, la cosa più grave che ha allontanato anche altri operatori è che i centri sono osservatori privilegiati sulla condizione, i bisogni e le capacità delle persone. Attraverso le storie delle vite che li attraversano si potrebbe sedimentare un sapere utile per un lavoro di pianificazione dei successivi interventi e di miglioramento del servizio e delle capacità di ascolto. Questo però non è mai avvenuto, gli operatori vivono la frustrazione di sentirsi più guardiani che operatori sociali.

Dopo lo sgombero di Cinecittà, lo scorso 10 agosto, i movimenti di lotta per la casa hanno organizzato una manifestazione per domani. Saranno rappresentate anche le istanze dei migranti sgomberati?
Lo sgombero di Cinecittà, con 13 feriti e tre arrestati, è un’altra pagina dolorosa nella Roma di oggi. Si sta compiendo lo sforzo generoso di portare in piazza la città sul tema generale di una Roma solidale, capace di opporsi e sottrarsi alla barbarie che stiamo vivendo e scrivere finalmente una pagina di solidarietà nella Capitale.

Marco Sirotti