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Emilia-Romagna – Mediatori e mediatrici culturali: quale professione?

Interviste alle mediatrici Khadija (ass. Trama di Terre di Imola) e Jora Mato (ass. Amiss di Bologna)

Sono quegli uomini e quelle donne in grado di accompagnare la relazione tra immigrati e contesto di riferimento.
Uomini e donne che, nonostante le mille difficoltà legate al lavoro precario ed al permesso di soggiorno, si riuniscono in cooperative e lavorano ogni giorno nei settori scolastici, sanitari, sociali per agevolare, per facilitare l’inserimento, l’integrazione di migranti all’interno del territorio.

A tal proposito nel luglio di quest’anno la Regione Emilia Romagna ha approvato la delibera contenente le prime disposizioni sulla figura professionale del Mediatore Interculturale, specificandone, innanzitutto la definizione del ruolo, l’area professionale su cui opera, e le varie unità di competenza.

Nelle interviste a due mediatrici, Khadija, mediatrice culturale araba dell’associazione Trama di Terre di Imola e a Jora Mato dell’associazione Amiss di Bologna, emerge il ruolo che il/la mediatore/trice svolge sul nostro territorio all’interno di ospedali, scuole, case circondariali.
Sono numerosi gli ostacoli che il mediatore deve superare, dal riconoscimento della figura professionale, al problema del contratto lavorativo legato al permesso di soggiorno che dura sempre meno, è perciò importante mantenere l’attenzione su questa problematica.

Intervista a Khadija dell’associazione Trama di Terre di Imola

Domanda: A suo avviso, come e quali soluzioni o proposte porterebbero ad un miglioramento del ruolo del mediatore?

Risposta: Più informazione per il mediatore culturale, formazione per gli operatori delle scuole, perché ignorano tante cose, specialmente la cultura degli stranieri. Sapere un po’ di più, porta la gente a comportarsi bene, e svolgere bene il lavoro con gli allievi e con il mediatore. Formazione anche perché, io che lavoro con gli operatori del socio sanitario, da parte anche loro, perché è sempre la stessa cosa: meno si sa, male si trova.

Intervista a Jora Mato, presidentessa dell’associazione Amiss di Bologna

Domanda: Qual è il ruolo del mediatore culturale e quali sono i compiti che svolge?

Risposta: Il ruolo principale del mediatore interculturale è quello di facilitare la relazione tra cittadini stranieri e cittadini autoctoni, in modo generale. Poi su quello che riguarda l’intervento della mediazione, nel nostro caso, in ambito socio-sanitario, si tratta di agevolare l’accesso ai cittadini stranieri ai servizi, di facilitare le relazioni tra operatori dei servizi e cittadini stranieri, organizzare incontri, per permettere la conoscenza delle altre culture, realizzare progetti che tendano a favorire l’integrazione dei nuovi cittadini.

D: Qual è il tipo di percorso formativo che il mediatore deve intraprendere; è un titolo di studio riconosciuto?

R: No, per il momento quello della mediazione non è un titolo di studio riconosciuto. Questo agosto è stato delineato da parte della Regione Emilia-Romagna il profilo del mediatore, mancano ancora i criteri per il riconoscimento di questo ruolo. Esistono, comunque, vari documenti, vari profili regionali ed altri che definiscono, con qualche differenza da regione a regione, un’idea di profilo. Il documento più importante, comunque resta quello del CNL, che chiede un minimo di ore di formazione, tra le 600 e le 900 ore di formazione, ponendo dei criteri minimi di riconoscimento.

D: Secondo lei, che cosa la delibera regionale del luglio 2004 dà o toglie al mediatore?

R: Così com’è non dà e non toglie nulla. Si sono segnate le linee principali su cui mi trovo abbastanza d’accordo. Ovviamente, essendo la mediazione una cosa talmente recente, nella pratica è ancora tutto da definire. Ma sulle questioni chiave del riconoscimento alla mediazionre, la delibera può essere considerata un utile strumento per definire più avanti i criteri.

D: Qual è il tipo di contratto e di trattamento economico applicato alla figura del mediatore?

R: Quello applicato a tutte le figure non riconoscibili e non riconosciute. Non si riesce ad avere un’unica tariffa per tutti i mediatori, o tipologie di contratto uniche. Facendo questo tipo di lavoro al mediatore è richiesto che sia una figura ponte, che non appartenga alle istituzioni, per cui, che sia da questo punto di vista ricattabile dalle istituzioni stesse.
I contratti variano, da prestazioni occasionali, alla nuova tipologia di contratto a progetto.

D: Quindi, secondo lei, il tipo di contratto, si scontra o si incontra con la legge Bossi-Fini, soprattutto riguardo al permesso di soggiorno?

R: Ovviamente, questo complica le cose sul permesso di soggiorno. L’unica cosa da aggiungere è che i mediatori sono persone che vivono qui da parecchi anni, nel senso che non sono di recente immigrazione, per cui sono spesso in possesso della carta di soggiorno, son diventati cittadini italiani e questo gli rende più facile la questione. Però rimane sempre un numero consistente di persone che si trovano, grazie a questi contratti, ad avere dei permessi di soggiorno molto brevi e a doverli rinnovare continuamente.

D: A suo avviso, come e quali soluzioni o proposte porterebbero ad un miglioramento del ruolo del mediatore?

R: Ci sarebbero tante proposte, nel senso che chiunque svolge questo lavoro si è fatto un’idea su come e quale dovrebbe essere il ruolo del mediatore. Io metterei solo dei limiti sui rischi che si corrono. Occore da una parte cercare di non pensare a questa figura come figura “cuscinetto” nei conflitti sociali, o comunque come figura che va a lavorare solo sul conflitto, quando a volte i conflitti sono tali che non permettono la mediazione. Quindi da un lato cercare di non caricarlo di responsabilità che sarebbero troppo grandi per qualsiasi ruolo, come quello di risolvere i conflitti sebbene il mediatore lavori ovviamente sui conflitti, ma non per questo è così onnipotente da risolverli. Dall’altro lato, non scambiarlo con altre figure professionali: che non diventi un sostituto dell’assistente sociale o dell’educatore, cosa che qualche volta si rischia, ma neanche pensarlo come un traduttore, cosa che porterebbe a sminuirne il ruolo e le capacità.

D: Nelle carceri della nostra regione sono previsti degli sportelli informativi per detenuti migranti, avete mai avuto rapporti con le istituzioni carcerarie?

R: Noi lavoriamo anche nella Casa Circondariale per adulti di Bologna, sempre nel campo sociale e sanitario.

D: Il tipo di mediazione è differente?

R: Ovviamente, a prescindere dal fatto che ogni situazione è differente in ogni struttura e in ogni nuovo ambiente. L’intervento è diverso, si hanno di fronte persone prive di libertà, e la situazione richiede di porsi in un altro modo.

D: Come si svolgono gli incontri?

R: Per quanto riguarda l’ambito socio-sanitario, sono spesso colloqui, per esempio con lo psicologo o con lo psichiatra, o semplicemente con i medici, in cui la richiesta d’incontro può essere fatta sia da parte del detenuto che del medico, che ha bisogno di comunicare con il paziente.