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Entrato in vigore il Regolamento europeo che estende anche ai cittadini dei Paesi terzi non membri dell’UE le disposizioni di diritto europeo sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale

Si ringrazia l'ASGI per la segnalazione

I cittadini di Paesi terzi che hanno versato contributi assicurativi in diversi Paesi dell’UE possono totalizzare i periodi di assicurazione ai fini pensionistici e godono della parità di trattamento con i lavoratori nazionali anche nel campo delle prestazioni assistenziali non contributive.

Regolamento (UE) n. 1231 dd. 24 novembre 2010
Regolamento (CE) n. 883 dd. 29 aprile 2004
Regolamento (CE) n. 987 dd. 16 settembre 2009
Regolamento (CE) n. 988 dd. 16 settembre 2009

Il 1 gennaio 2011 è entrato in vigore il Regolamento UE n. 1231/2010 del 24 novembre 2010 che estende Il Regolamento (CE) n. 883/2004 e il Regolamento (CE) n. 987/2009 ai cittadini di paesi terzi non membri dell’UE cui tali regolamenti non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità (Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L 344/1 del 29 dicembre 2010).

Come è noto, il Regolamento comunitario n. 883/2004 ha sostituito il Regolamento (CE) n. 1408/71 relativamente al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Il Regolamento n. 987/2009 aveva stabilito le modalità applicative del regolamento n. 883/2004, consentendone l’entrata in vigore il 1 maggio 2010 (si veda in proposito news alla pagina del sito asgi: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=1190&l=it ).

Il Regolamento (CE) n. 883/2004 e quello successivo n. 987/2009 hanno aggiornato e semplificato le norme di coordinamento per le persone assicurate nonché per gli organismi di sicurezza sociale, al fine di accelerare ed agevolare il trattamento dei dati relativi ai diritti delle prestazioni delle persone assicurate e ridurre i corrispondenti costi amministrativi.

Il nuovo regolamento comunitario, così come quello precedente, mira a coordinare i regimi di sicurezza sociale degli Stati membri, sulla base di quattro principi fondamentali: la parità del trattamento, l’unicità della legislazione applicabile; la totalizzazione dei periodi di assicurazione e l’esportabilità delle prestazioni.

Già il Regolamento (CE) n. 859/2003 aveva esteso il precedente regolamento comunitario n. 1408/71 ai cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti in uno degli Stati membri. Il nuovo regolamento n. 1231/2010 ha dunque lo scopo di sostituirsi a quello precedente (n. 859/2003). Tanto per fare un esempio pratico sulla portata applicativa del regolamento comunitario n. 1231/2010, si può considerare come esso consenta (e lo consentiva già il precedente regolamento n. 859/2003) al cittadino extracomunitario residente legalmente in Italia ove vi ha svolto attività lavorativa, di totalizzare i periodi di assicurazione maturati nel nostro Paese con quelli eventualmente maturati in precedenza in un altro Paese membro dell’UE o parte del Regolamento (per il momento non vi aderiscono la Danimarca ed il Regno Unito), ai fini del conseguimento dei diritti pensionistici.

I regolamenti comunitari, peraltro, concernono anche la materia delle prestazioni assistenziali aventi carattere non contributivo, in particolare quelle familiari, aventi lo scopo di sostenere i carichi familiari (art. 1 lett. z e art. 3. 1 lett. j del regolamento n. 883/2004).

La progressiva affermazione, infatti, di un concetto più ampio di sicurezza sociale, collegata al principio di solidarietà quale valore fondante dell’ordinamento giuridico comunitario, ha fatto sì che venissero incluse nella nozione di “sicurezza sociale” oggetto già del regolamento n. 1408/71 ed ora incluse pure nel nuovo regolamento n. 883/2004 (art. 70), anche quelle “prestazioni speciali a carattere non contributivo”, […] ed elencate nell’allegato X ” (allegato inserito nel regolamento applicativo (CE) n. 988/2009). Tale allegato, per quanto concerne l‘Italia, menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità.
Inoltre la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha costruito nel tempo una nozione autonoma di diritto comunitario di “sicurezza sociale”, superando la tradizionale distinzione vigente in molti ordinamenti interni, tra cui quello italiano, tra previdenza ed assistenza, e affermando che la nozione di sicurezza sociale desumibile dal diritto comunitario non distingue tra prestazioni “contributive” o meno, bensì include in essa tutte le prestazioni erogate dalla legge quali diritti soggettivi, per le quali manchi ogni discrezionalità circa le modalità con cui sono erogate e sia riconosciuta ai beneficiari una posizione giuridica definita. In altri termini, in virtù di tale dinamica espansiva della nozione di sicurezza sociale da parte della giurisprudenza comunitaria, la sfera di applicazione ratione materiae del Regolamento comunitario n. 883/2004 deve intendersi estesa a tutte le prestazioni sociali a carattere non contributivo previste dal diritto interno qualora i criteri e requisiti soggettivi e oggettivi per l’erogazione di tali prestazioni siano fissati dalla legislazione e non derivino invece da una valutazione individualizzata delle condizioni di bisogno delle persone lasciata alla discrezionalità degli enti locali. Questo principio deve ritenersi applicabile anche qualora lo Stato membro non provveda all’aggiornamento dell’apposito elenco di cui all’allegato X del regolamento comunitario e pertanto dette prestazioni non vi vengano incluse (cfr. CGE, 9 ottobre 1974, causa C-24/74, Biason, in Racc., 1974, 999; CGE, 13 novembre 1974, causa C-39/74, Costa, ivi, 1251; CGE, 5 maggio 1983, causa C-139/82, Piscitello, ivi, 1983, 1427; CGE, 24 febbraio 1987, cause riunite C-379-381/85 e C-93/86, Giletti, ivi, 1987, I, 955; CGE, 20 giugno 1991, causa C-356/89, Stanton-Newton).

Ne deriva l’esplicita previsione per effetto di una norma comunitaria di un principio di assoluta parità di trattamento nella materia dell’assistenza sociale a favore ad esempio dei titolari di permesso di soggiorno in Italia che l’abbiano ottenuto dopo avere trasferito la propria residenza in provenienza da un Paese ove godevano del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, sulla base di quanto previsto dall’art. 9 bis d.lgs. n. 286/98.
In tal caso, tali cittadini di Paesi terzi, oltre a beneficiare delle norme di cui alla direttiva n. 2003/109/CE, risultano essere cittadini di paesi terzi che possono dimostrare la loro provenienza da un altro paese membro dell’Unione Europea, ed in quanto tali la loro situazione rientra nel campo di applicazione del principio di diritto comunitario di parità di trattamento in materia di prestazioni assistenziali per effetto del Regolamento (UE) n. 1231/2010 che ha esteso a tali cittadini la disciplina comunitaria di cui al Regolamento (CE) n. 883/2004, così come aveva fatto in precedenza il regolamento (CE) n. 859/2003 rispetto al regolamento (CE) n. 1408/71 e successive modifiche. Ne consegue, beninteso, che di tale principio di parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali nell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale aventi natura di diritto soggettivo, non possono beneficiare soltanto gli stranieri già in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro paese membro che si siano trasferiti in Italia, conseguendo il titolo di soggiorno italiano, ma tutti quei cittadini di paesi terzi regolarmente residenti in Italia che possano dimostrare un precedente regolare soggiorno in un altro Stato membro.

Ne consegue che in questo caso le autorità nazionali non potranno escludere i cittadini extracomunitari dall’accesso alla prestazione per mancanza di un requisito di nazionalità (come nel caso ad esempio della legislazione sull’assegno per i nuclei familiari numerosi con almeno tre figli minori a carico di cui all’art. 65 L. n. 448/98, essendo questa chiaramente una prestazione di natura familiare) ovvero per mancanza della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (come nel caso delle prestazioni soggette alla disciplina di cui art. 80 c. 19 L. n. 388/2000, già peraltro dichiarata più volte illegittima dalla Corte Costituzionale). Così facendo, infatti, violerebbero una norma di diritto europeo di immediata e diretta applicazione nell’ordinamento interno, con conseguente obbligo di disapplicazione di qualsiasi disposizione di diritto interno ad essa incompatibile. Ugualmente appare in conflitto con il principio di parità di trattamento di cui alla citata norma europea, la norma interna che impone un requisito di anzianità di residenza decennale ai fini dell’accesso all’assegno sociale sociale (art. 20 c. 10 d.l. n. 112/2008 convertito con legge n. 133/2008) in quanto, sebbene applicabile a tutti indistintamente, finisce per colpire in misura sproporzionata soprattutto i migranti regolarmente residenti in Italia, cittadini di paesi membri dell’UE o di paesi terzi, ma con precedente soggiorno legale in altro paese UE ovvero i rifugiati politici riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, pure protetti dal Regolamento n. 883/2004 (art. 2). Il criterio di anzianità di residenza, infatti, è suscettibile di determinare una forma di discriminazione indiretta o dissimulata a danno dei migranti vietata dal diritto europeo.

E’ opportuno, peraltro, ricordare che il Regolamento (UE) n. 1231/2004 (come già il regolamento precedente n. 859/2003) pone due condizioni per l’accesso dei cittadini stranieri di paesi terzi alle norme europee in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale: la residenza legale nel territorio di uno Stato membro ed il fatto che la situazione del cittadino del paese terzo non sia confinata, in tutti i suoi aspetti, all’interno di un solo Stato membro ovverosia non si tratti di una situazione puramente interna ad un solo Stato membro (ma tale requisito non riguarda beninteso i rifugiati politici).

Tale seconda condizione non era stata talvolta sufficientemente compresa nel nostro Paese.

Richiamandosi ai provvedimenti amministrativi assunti dagli organi di autogoverno nel particolare contesto dell’autonomie locali di Trento e Bolzano, e sulla base della giurisprudenza inizialmente ivi maturata, si era infatti affermato che la questione dell’accesso degli stranieri titolari di permesso di soggiorno all’assegno sociale o alle provvidenze in materia di invalidità, pur in assenza della carta di soggiorno richiesta dall’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, poteva essere risolta in senso favorevole al principio di parità di trattamento, mediante l’applicazione del diritto comunitario, e più specificatamente, del regolamento CE n. 859/2003 del 14 maggio 2003, che aveva esteso le disposizioni dei precedenti regolamenti CEE n. 1408/71 e n. 574/72 in materia di parità di trattamento relativamente alla sicurezza sociale “ai cittadini di paesi terzi cui tali disposizioni non fossero già applicabili unicamente a causa della nazionalità”. Tale regolamento comunitario è stato invocato dapprima dal Tribunale di Trento, sent. 29 ottobre 2004 e, in seguito, dalla deliberazione 27 giugno 2006 della Giunta provinciale di Bolzano, a sostegno della tesi della totale equiparazione dei cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti ai cittadini in materia di accesso alle prestazioni sociali, e dunque del superamento della barriera della carta di soggiorno imposta dalla legge n. 388/2000, in virtù della prevalenza delle norme di diritto comunitario su quelle interne.
La tesi, che occasionalmente ha trovato poi accoglimento anche presso altri giudici del lavoro, appare altresì discutibile in quanto non tiene conto del tradizionale principio del diritto comunitario del limite delle situazioni puramente interne. Sebbene il titolo del regolamento possa trarre in inganno, il testo del regolamento n. 859/2003 non mancava infatti di precisare che “le disposizioni del regolamento 1408/71 e regolamento n. 574/72 non si applicano ad una situazione i cui elementi si collochino tutti all’interno di un solo Stato membro. Ciò vale in particolare quando la situazione di un cittadino di un paese terzo presenta unicamente legami con un paese terzo ed un solo Stato membro” (paragrafo 12 dei “considerando”). In particolare l’art. 1 dello stesso regolamento prevedeva che tale principio di eguaglianza di trattamento si applica ai cittadini di paesi terzi, nonché ai loro familiari e superstiti, “purché siano in situazione di soggiorno legale nel territorio di uno Stato membro e si trovino in una situazione in cui non tutti gli elementi si collochino all’interno di un solo Stato membro”. Tali disposizioni vengono oggi nuovamente confermate dal nuovo regolamento (UE) n. 1231/2010, rispettivamente dal considerando n. 12 (“Il regolamento n. 883/2004 e il regolamento n. 987/2009 non dovrebbero applicarsi ad una situazione che sia confinata, in tutti i suoi aspetti, all’interno di un solo Stato membro) e dall’art. 1.

In altre parole, un cittadino extracomunitario potrebbe ad esempio avvalersi della parità di trattamento riconosciuta dal presente regolamento solo dopo aver trasferito il proprio soggiorno legale da uno Stato membro ad un altro, così come reso possibile, ad esempio, in base alla direttiva n. 2003/109/CE del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo (capo III). Tali cittadini di paesi terzi, “lungo soggiornanti” ai sensi della direttiva, ed i loro familiari, beneficiano, peraltro, della parità di trattamento in materia di assistenza sociale, in virtù già delle disposizioni della direttiva medesima (art. 11 c. lett. d in collegato con l’art. 21).
Di conseguenza il citato regolamento CE potrebbe soccorrere esclusivamente in quelle situazioni in cui si dimostri che il cittadino extracomunitario, attualmente residente legalmente in Italia e richiedente la prestazione, abbia già soggiornato legalmente in altro Paese membro prima di giungere in Italia.

A cura di Walter Citti, del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose, progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS