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Eritrea – Etiopia: la “crisi silenziosa” e l’Italia sorda

di Umberto Mazzantini

L’United Nations high commissioner for refugees (Unhcr) ha recentemente definito “crisi silenziosa” il continuo afflusso di rifugiati eritrei in Etiopia, un dramma umano, politico ed ambientale che si sta svolgendo nel quadro della più ampia tragedia umanitaria del Corno d’Africa. In Etiopia stanno arrivando, varcando confini teoricamente blindati dalla tregua di una guerra per un pezzo di deserto scalcinato, sempre più eritrei, in maggioranza giovani uomini istruiti, che sognano di attraversare mezza Africa per raggiungere l’Italia e l’Europa. Una diaspora nell’ex Paese nemico, dal quale l’Eritrea si è staccata dopo una lunga ed eroica guerra di liberazione, che è anche il segno più crudelmente evidente del fallimento della dittatura che governa Asmara e che ha trasformato il Paese in una caserma.

Attualmente in Etiopia ci sono almeno 61.000 rifugiati eritrei. Il rappresentante dell’Unhcr in Etiopia, Moses Okello, ha spiegato all’Irin, l’agenzia stampa umanitaria dell’Onu, che «La maggior parte dicono di aver lasciato il loro Paese per sfuggire ad una coscrizione militare illimitata, ma dicono anche di voler raggiungere le loro famiglie che sono in viaggio per l’Etiopia. I rifugiati che arrivano sono in buone condizioni fisiche a paragone con le migliaia di rifugiati somali installati nella regione di Dolo Ado, situata a sud-est dell’Etiopia.

Secondo le statistiche del governo di Addis Abeba, in media ogni mese 1.300 eritrei lasciano il loro Paese per raggiungere l’Etiopia e «La tendenza è continua e pertanto al rialzo – dice Ayalew Aweke, vicedirettore dell’ Administration for refugee and returnee affairs (Arra) del governo etiope – Accogliamo da 1.200 a 1.500 rifugiati in più ogni mese. La maggioranza sono giovani non accompagnati». L’Unhcr dice che almeno 800 – 1000 eritrei raggiungono ogni mese i campi di rifugiati di Shimelba, Maiaini e Adi-Harush, nello Stato etiope del Tigrai, con il quale molti eritrei condividono etnia e lingua. I due presidenti dell’Eritrea e dell’Etiopia sono entrambi tigrini. Ma Ayalew ricorda che «Le cifre dell’Unhcr non includono il numero di rifugiati che arrivano attraverso altri punti di entrata rispetto ai 17 punti ufficiali abituali». Secondo l’Arra, diversi eritrei passano da altri Paesi, come il Sud Sudan e Gibuti, prima di entrare in Etiopia.

E’ come se un’intera generazione abbandonasse lo Stato/caserma costruito nella sofferenza e nella tortura dal cristiano Iasias Afewerki, per cercare un briciolo di speranza in uno dei Paesi più poveri del mondo o per intraprendere un disperato viaggio verso l’Europa, attraversando i due Sudan o il Sinai, dove sono in agguato predoni, tagliagole e trafficanti di carne umana, per arrivare sulle coste libiche e poi tentare di raggiungere, se le carrette del mare che li trasportano a caro prezzo non affonderanno, le coste della loro mai dimenticata colonizzatrice Italia. Italia che, dopo averli consegnati al Negus abissino, si è scordata di loro, della loro lotta per l’indipendenza e la democrazia socialista promessa dal Fronte popolare di liberazione eritreo e finita nel crudele regime di Afewerki, che presto ha abbandonato il marxismo per un nazionalismo fascista e filo-occidentale.

Il portavoce dell’Unhcr in Etiopia, isut Gebregziabher, fa capire che la situazione è probabilmente ancora peggiore: «Per il momento noi contabilizziamo le persone che beneficiano dello status di rifugiato nei centri dei rifugiati. Ma attendiamo di avere un numero relativamente accettabile, una volta che arrivano nei campi e che ottengono lo status». Fino ad allora gli eritrei sono fantasmi senza diritti, considerati potenziali nemici dal governo etiope, soprattutto dopo che l’Onu ha denunciato un complotto dell’Eritrea per far saltare con attentati il vertice dell’Unione africana ad Addis Abeba. Ayalew infatti dice che «E’ difficile determinare il numero esatto dei rifugiati eritrei, perché la maggior parte dei rifugiati sono dei nomadi provenienti dall’etnia afar e gli afar sono presenti anche in Etiopia. Hanno la tendenza a vivere in seno alla comunità di accoglienza piuttosto che nei centri dei rifugiati».

Che a cavallo di questo mosaico di popoli, lingue e religioni, dove si intrecciano devastanti crisi ambientali, umanitarie e politiche, stia accadendo qualcosa di inedito e probabilmente non governabile con i normali criteri di gestione delle crisi umanitarie, ambientali e confini disegnati sulla carta da imperi coloniali (in questo caso il nostro), lo crede anche Gebregziabher : «L’Unhcr ha notato una tendenza non abituale tra i nuovi rifugiati eritrei. Normalmente, i campi di rifugiati accolgono soprattutto donne e bambini, il caso dei rifugiati eritrei è differente, perché si tratta in gran parte di uomini giovani ed istruiti che arrivano da soli. La maggioranza tra loro viene da aree urbane e ha un diploma di secondo grado di scuola superiore. Questo cambiamento è da attribuire al fatto che tentano di sfuggire alla coscrizione». E lo fanno fuggendo nel Paese contro il quale la coscrizione obbligatoria viene fatta, con l’intento di scatenare prima o poi una nuova guerra di confine: l’Etiopia.

Durante una visita nei campi profughi a luglio, l’Assistant high commissioner for protection dell’Unhcr, Erika Feller, si era dichiarata «preoccupata e scioccata di vedere una marea di giovani visi e tante persone con la loro gioventù sacrificata». Secondo le statistiche dell’Arra, oltre il 55% degli eritrei hanno un’età tra i 18 e i 30 anni. Molti di loro li vediamo arrivare esausti disidratati, affamati e scheletrici fino alle nostre coste, poi, visto che sono scappati dalla grande galera a cielo aperto in cui la dittatura ha trasformato l’Eritrea, li rinchiudiamo nei Centri di identificazione ed espulsione ad attendere in un altro lager occidentale un riconoscimento di profughi politici che dovrebbero avere immediatamente. E’ come se l’Italia non volesse vedere e sentire quello che accade nella sua ex colonia, dove ancora si parla e si capisce l’Italiano e dove le tracce della dominazione fascista e monarchica sono ancora ben visibili nell’architettura di Asmara.

La poverissima Etiopia, che sta subendo davvero da anni dentro i suoi confini quell’esodo biblico che il duo Maroni/Berlusconi annunciarono sulle coste italiane, tenta con i «nemici» eritrei un’altra strada: Ayalew spiega all’Irin che «La maggior parte tra loro non sono pronti ad installarsi nei campi dei rifugiati ed è per questo che lavoriamo energicamente alla messa a punto di una politica mirante a reintegrare le persone al di fuori dei campi». Nel 2010 il governo etiope (che non è proprio un esempio di democrazia) ha autorizzato i rifugiati eritrei ad installarsi nelle aree urbane, per migliorare il loro accesso ai servizi Una politica che ha permesso ad oltre 200 eritrei di continuare i loro studi nelle università etiopi. «Quest’anno – sottolinea Ayalew. – 700 studenti potranno di nuovo profittare di questa opportunità, dopo che avranno passato l’esame di entrata richiesto» e Gebregziabher spiega che «Alcuni studenti eritrei potranno iscriversi alle università grazie ad un accordo di condivisione dei costi sostenuto dall’Unhcr».

Evidentemente l’Etiopia, dove l’analfabetismo è alle stelle, non vuole farsi scappare l’opportunità di questi cervelli in fuga dalla caserma Eritrea, ma probabilmente i giovani istruiti cercheranno altre strade, verso nord e l’America. Secondo L’Unhcr il rimpatrio volontario non è attualmente una soluzione. Gebregziabher ha detto all’Irin che «L’Agenzia persegue la reinstallazione come la sola soluzione sostenibile per i rifugiati eritrei. Infatti, quelli che sono arrivati prima del 2008 dovrebbero profittare del programma di reinstallazioine proposto dagli Stati Uniti». Nel 2008 gli Usa hanno accettato di accogliere 6.800 rifugiati eritrei provenienti dai campi etiopi «Attualmente più di 2.000 rifugiati eritrei si sono reinstallati negli Usa – spiega Gebregziabher – Questo programma dovrebbe proseguire. Oltre agli Usa anche Canada, Svezia, Norvegia, Nuova Zelanda ed Australia hanno mostrato interesse ad accogliere i rifugiati eritrei.

Secondo la Feller, le opportunità di reinstallazione offerte da diversi Paesi sono limitate. Tuttavia l’Unhcr continuerà a chiedere un aumento delle opportunità di reinstallazione».

Ma nell’Africa devastata dalle guerre e dalla siccità si è aperto un altro fronte per l’Unhcr e per i rifugiati politici eritrei: l’agenzia Onu ha condannato duramente l’espulsione forzata dei richiedenti asilo eritrei dal Sudan. Il 25 luglio un giovane eritreo è stato ucciso ed un altro gravemente ferito mentre cercavano di opporsi all’espulsione forzata dall’est del Sudan. Un gruppo di eritrei è saltato dal camion dell’esercito sudanese che li portava verso la frontiera con l’Eritrea ed uno di loro, 23 anni è morto, mentre un’altro, 17 anni era in coma. Secondo il personale dell’Unhcr in Sudan sono stati espulsi altri richiedenti asilo, compresi gli adolescenti. Oltre confine li aspetta probabilmente la galera e la tortura.

Il regime del Sudan, amico della dittatura eritrea, considera i profughi politici semplicemente dei clandestini e nega agli eritrei qualsiasi possibilità per accedere alle procedure di richiesta di asilo e se ne frega di quanto ribadisce l’Unhcr: «Queste espulsioni forzate di richiedenti asilo, senza esaminare le loro domande da parte delle autorità competenti, si tratta né più né meno che di respingimenti e costituisce una violazione grave della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati, così come della legge sudanese del 1974 sul diritto di asilo». L’Unhcr ha notizia di almeno 30 espulsioni di eritrei dal Sudan dall’inizio dell’anno, tutti uomini condannati al loro rientro alla persecuzione. Per questo l’Unhcr esorta il governo del Sudan a rispettare i suoi obblighi internazionali ed a «Cessare le espulsioni forzate ed a fornire un accesso immediato alle procedure di asilo a tutti i richiedenti asilo attualmente detenuti».

Fatte le debite proporzioni, sembra un comunicato Unhcr sui richiedenti asilo di Lampedusa.