Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

da L'Espresso del 25 marzo 2005

Espulsi in cinque minuti

di Fabrizio Gatti

** Ringraziamo l’Asgi per la segnalazione

Cinque minuti. È il tempo medio impiegato dai giudici di pace per decidere se un immigrato può rimanere in Italia o deve essere espulso. In cinque minuti si decide la vita di un uomo, o di una donna. E spesso anche il futuro dei loro figli o delle loro famiglie. Non importa se non hanno mai commesso reati e hanno un lavoro, anche se in nero. Bastano cinque minuti per stabilire se devono rimanere o andarsene. Non durano di più le udienze di convalida nei Cpt, i Centri di permanenza temporanea e assistenza istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione che porta il nome di due ministri del centro-sinistra: Livia Turco e Giorgio Napolitano. In quei cinque minuti il giudice verifica il decreto di espulsione firmato dal prefetto, l’ordinanza di detenzione firmata dal questore, fa tradurre gli atti in una lingua comprensibile allo straniero e mette a verbale la sua decisione. Quasi mai viene chiesto all’interessato perché è arrrivato in Italia e soprattutto che cosa rischia dal momento che verrà espulso.

Domenico Tambasco fa l’avvocato a Milano, assiste decine di immigrati in cause del lavoro e spesso è di turno come legale d’ufficio per le udienze di convalida nel Cpt di via Corelli, il più famoso in Italia: “Qualche mio collega dice che le udienze di convalida siano una farsa. E non ho paura a dire che ha ragione. Perché anche in casi, verificati personalmente, di manifesta illeicità, la convalida viene disposta lo stesso. Con la scusa, e qui cito qualche giudice, che tanto c’è il ricorso contro il decreto di espulsione. Bene che ti vada sono altri 20 giorni di detenzione in quello che, nella sostanza, è un carcere speciale per stranieri. Bisogna fare un corretto uso delle parole. Lo chiamano centro di permanenza temporanea e assistenza, ma resta un carcere. Perché? Perché i contatti con l’esterno sono impossibili e perfino noi avvocati, per incontrare i nostri clienti, abbiamo orari limitati. Dalle 16 alle 18. Come in un carcere, appunto”.

Una volta fermato e chiuso in un Cpt, per l’immigrato clandestino parte il cronometro: entro 48 ore il suo caso deve essere esaminato da un giudice e la detenzione nel centro deve essere convalidata. Altrimenti dovrebbe essere immediatamente rilasciato. Ma ci sono il tempo e i mezzi per esaminare ogni singolo caso? “Assolutamento no e in questo modo il Cpt diventa una fabbrica delle espulsioni, una catena di montaggio con cui far salire i numeri della statistica e far dire poi che la lotta all’immigrazione clandestina ha avuto successo. Quasi tutti gli stranieri hanno l’avvocato d’ufficio non potendo permettersene uno di fiducia. E l’avvocato d’ufficio spesso incontra il suo cliente un minuto prima dell’udienza di convalida. Te lo portano immediatamente in aula e non viene mai lasciato il tempo per conoscere la sua storia. Perché ci sono altri casi su cui decidere”.

Gli avvocati che assistono gli immigrati nei Cpt da Milano a Trapani hanno sollevato altri dubbi costituzionali. Come il luogo dell’udienza di convalida, che non avviene in un’aula del Tribunale ma in una stanza del Cpt, spesso alla presenza dei poliziotti. “Avete mai visto lo svolgimento di un processo in carcere, in questura o in prefettura? Perché di questo si tratta”, sostengono gli avvocati. “Il Cpt è un luogo del ministero dell’Interno mentre”, spiega Tambasco, “la Costituzione prevede che il giudice abbia anche una sua sede naturale, che è il Tribunale. Non voglio dire che la presenza dei poliziotti condizioni i giudici, ma spesso è una presenza che pesa. E poi il ricorso ai giudici di pace: spesso si tratta di persone con un’esperienza nel campo civile o amministrativo, che mai in vita loro si sono trovati a decidere sulla libertà delle persone. Così, al massimo, se hanno voglia di fare domande, si limitano a chiedere all’immigrato di turno: perché non avevi i documenti? Ma in questo modo è stato ulteriormente rafforzato una sorta di diritto parallelo: un italiano non potrebbe mai essere detenuto per un illecito amministrativo, mai potrebbe essere processato in un luogo che non sia un Tribunale, mai potrebbe essere limitato della libertà da un giudice che non sia un giudice penale. Uno straniero sì”.

Ma quanto costano queste fabbriche delle espulsioni? Il ministero dell’Interno non ha mai rivelato i dati. Un giudice di pace, ammesso alle udienze di convalida dal settembre 2004, prende un gettone di 10 euro per ogni udienza, che si aggiunge al compenso di presenza di 20 euro. Per l’avvocato d’ufficio sono 100 euro a udienza. Sia il giudice sia l’avvocato non possono esaminare più di dieci casi in un giorno. Se fosse necessario, i turni nei Cpt prevedono più giudici e più avvocati. Sugli stranieri detenuti nei Cpt i giudici intervengono anche quando la permanenza deve essere prorogata da trenta a sessanta giorni. In questo caso la convalida viene inviata via fax: la questura chiede la proroga e il giudice approva a distanza.

La voce più consistente dei costi riguarda le spese di gestione e i contratti di appalto con gli enti che curano l’assistenza e la sorveglianza. Croce Rossa Italiana e l’associazione delle Misericordie gestiscono la maggior parte dei Cpt. Anche su questo il ministero dell’Interno mantiene le cifre riservate. Ma anche in questo caso un punto di riferimento è il centro di via Corelli. Per le spese di vitto, coperte e pulizie la prefettura versa alla Croce Rossa lombarda 75,02 euro al giorno per ogni straniero. In un centro quasi sempre pieno con 140 posti letto fanno 10 mila 500 euro al giorno. In un anno 3 milioni 833 mila 522 euro. “Nelle uscite dobbiamo far entrare anche gli stipendi del personale: 60 persone su cinque turni”, spiega la Croce Rossa lombarda, “e dobbiamo calcolare ogni volta che uno dei cinque settori del centro è chiuso per manutenzione. Per noi è una gestione alla pari”. Federica Sossi fa parte dell’osservatorio sui Cpt di tutta Italia: “Noi ci battiamo contro i Cpt. Sono stati il primo passo nel processo di ‘esternalizzazione’ dell’immigrazione: infatti sorgono tutti in periferia, in luoghi blindati, lontano dal contatto con la città. Scandali come quello del Regina Pacis di Lecce non avvengono per caso. Il prossimo passo, già avviato, sarà la creazione dei centri di detenzione in Paesi come la Libia o la Tunisia. E sarà un altro passo indietro nel rispetto dei diritti di tutti. Compresi gli immigrati”.

Casa Container

Le condizioni di detenzione nel mirino della magistratura

Sono 17 in Italia i Cpt, i centri di detenzione dove vengono rinchiusi i clandestini in attesa di rimpatrio, per un massimo di 60 giorni. Alcuni di questi, come il centro di Lamezia Terme in Calabria, sono stati chiusi, ma figurano ancora sulla mappa delle espulsioni. Altri sono da tempo al centro delle proteste per le condizioni di detenzione: come il Cpt di Torino, dove gli stranieri vengono rinchiusi in container. Una struttura simile, la prima aperta in via Corelli a Milano, era stata chiusa nel 2000 perché una commissione ministeriale l’aveva giudicata inadatta al rispetto della dignità degli immigrati. Un altro Cpt ora sotto inchiesta è il Regina Pacis di Lecce, gestito da don Cesare Lodeserto, arrestato con l’accusa di sequestro di persona e abusi dei mezzi di correzione. Già nel 2003 il documentario ‘Mare Nostrum’ di Stefano Mencherini aveva raccolto numerose denunce sul centro. Ai Cpt si aggiungono i Cpa, i centri di prima accoglienza riconosciuti dal ministero dell’Interno, come il Sant’Anna di Crotone, e i centri di identificazione: strutture previste a Gorizia, Milano, Bologna, Roma, Foggia, Crotone e Siracusa per la nuova legge europea sul diritto d’asilo che in Italia entra in vigore il 21 aprile.