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Espulsione – I provvedimenti vanno tradotti. La Cassazione cambia rotta sul principio di impossibilità a tradurre

a cura di Pietro Fanesi

Pubblichiamo per esteso la sentenza n. 3678/2012 della sesta sezione della Corte di Cassazione, offrendone alcuni spunti interpretativi.

Nel caso di specie, il ricorso era stato proposto avverso un decreto di rigetto del Giudice di Pace di Firenze, sull’opposizione ad un decreto di espulsione emesso dal Prefetto nel quale era stato attestato “non poter essere tradotto in lingua cinese per irreperibilità di un traduttore”.
La vicenda appare comune e diffusa su tutto il territorio, pertanto il nuovo orientamento della Corte ci risulta di evidente rilievo.
All’art. 13, c.7 D.L.vo n. 286/98, il legislatore disciplina la questione afferente alla traduzione degli atti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, compresi il decreto di espulsione e il provvedimento che dispone il trattenimento presso i Centri di identificazione ed espulsione, indicando alle Pubbliche Amministrazioni la necessità di tradurre il provvedimento in una lingua conosciuta allo straniero oppure, ove ciò non sia possbile, in una delle lingue veicolari (francese, inglese o spagnolo).
Questo imperativo a carico delle Prefetture e delle Questure attiene alla garanzia di conoscere il contenuto del provvedimento di cui lo straniero è destinatario, oltre che alle possibili impugnazioni e dei termini per proporre i relativi ricorsi alle Autorità Giudiziarie competenti.

Le Amministrazioni hanno da sempre declinato questo dovere di traduzione fornendosi di formulari standard nelle tre lingue ed eludendo lo specifico obbligo di traduzione “nella lingua conosciuta” tramite l’attestazione dell'”irreperibilità di un traduttore”.
Questa prassi era stata avvallata dalla stessa Corte di Cassazione nel 2002, la quale aveva considerato tale attestazione amministrativa come condizione “necessaria e sufficiente” per il passaggio alla traduzione in lingua veicolare.

Cioè, dal momento in cui veniva attestato che risultava impossibile reperire un traduttore – e questa attestazione risultava di norma insindacabile – allora lo straniero destinatario poteva conoscere il contenuto del provvedimento solo sapendo l’inglese, il francese e lo spagnolo.

La formula dell'”irreperibilità del traduttore” è estraibile dal più ampio concetto di “impossibilità” del T.U. tramite il disposto dell’art. 3 del regolamento di attuazione D.P.R. n. 394/99, come modificato dall’ D.P.R. n. 334/2004.

Detto questo, la nuova interpretazione della Cassazione si inserisce in un quadro storico differente rispetto a quello del 2002, anno di modifiche rigide di tutto l’assetto della normativa in materia di immigrazione.
La Corte sottolinea più elementi degni di divenire un criterio di interpretazione e produzione del diritto, come la moltiplicazione esponenziale delle espulsioni, la formazione di flussi stabili di immigrati per nazionalità od etnie, la diffusa informatizzazione delle comunicazioni dell’Amministrazione, l’invariabilità delle ipotesi espulsive, elementi questi che impongono un ripensamento di tutte le prassi elusive dell’obbligo di traduzione.
La risposta dell’Amministrazione deve cioè corrispondere all’esperienza che essa stessa ha maturato in materia di immigrazione e nello specifico delle espulsioni.
Se i provvedimenti di espulsione sono dei testi standard, e questo comunque la dice lunga sull’applicazione della Direttiva Rimpatri, non ci si spiega come mai ancora le Prefetture e le Questure non dispongano delle apposite e varie traduzioni delle lingue diffuse, attesa la decennale esperienza maturata dalla stessa Pubblica Amministrazione sul campo delle nazionalità che compongono il fenomeno migratorio italiano.

A detta del Collegio, è insostenibile l’utilizzo della formula dell'”irreperibilità dell’interprete” come declinazione sostanziale del contenuto generale dell'”impossibilità”, poichè elusivo della previsione della legge.
Infine, decidendo a questo punto sul ricorso ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e disapplicati l’attestazione di indisponiblità di un traduttore e altresì del regolamento di attuazione del T.U. nella parte in cui autorizzava una simile prassi, la Corte ha espresso questo principio di diritto:
“si ritiene “impossibile” la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall’espellendo, e si può procedere all’uso della lingua veicolare, le volte in cui sia dall’Amministrazione affermata e dal giudice ritenuta plausibile la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore”.

Grazie quindi alla disponibilità in via generale di documenti cartacei o informatici suscettibili di un integrazione semplice e rapida da parte delle Amministrazioni, prima di richiedere l’ausilio di un traduttore gli uffici competenti dovrebbero provvedere ad essere forniti di appositi formulari multilingue, per lo meno in relazione alle nazionalità non “rare”.
Se pertanto il contenuto della decisione si rappresenterà come semplice, allora l’Amministrazione ben potrà disporre degli appositi formulari se si tratta di una lingua diffusa, altrimenti dovrà fare ricorso all’interprete e in quel caso potrà attestarne l’indisponibilità.
Se il contenuto della decisione apparirà come complesso, non saranno sufficienti i formulari “standard” poichè il testo dovrà comunque essere idoneo alla comunicazione della decisione in concreto assunta, pertanto si renderà necessario l’ausilio del traduttore anche per le lingue diffuse.

Sentenza della Corte di Cassazione n. 3678 dell’8 marzo 2012