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Essere vittime di tratta costituisce il presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato

Tre ordinanze del Tribunale di Venezia (gennaio - febbraio 2019)

La Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del Tribunale di Venezia riconosce lo status di rifugiato a tre ricorrenti provenienti dalla Nigeria vittime di tratta.

Nel primo la Sezione specializzata afferma un principio, che possiamo ritenere ormai affermato nella giurisprudenza italiana, secondo cui in materia di protezione internazionale il ricorrente non può chiedere al Tribunale di valutare una domanda di asilo limitatamente alla sussistenza o meno di una specifica forma di protezione escludendone altre. Il richiedente asilo non può quindi ad esempio chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato rinunciando alla protezione sussidiaria e ciò “non in ragione – come ritenuto da alcuno e dalla giurisprudenza sul punto – del peculiare atteggiarsi del principio della domanda nel presente giudizio (in tale senso, cfr. Cass., ord. 05.02.2018, n. 2875), quanto piuttosto dell’inscindibile unità della domanda stessa”.

Tutti e tre i decreti poi riaffermano un altro fondamentale principio in materia di tratta.

La tratta (e nello specifico la tratta delle donne provenienti dalla Nigeria) costituisce “atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale” e, se accertata, costituisce il presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato.

La Sezione specializzata nei tre diversi casi sottoposti al suo vaglio ha individuato alcuni indici tipici della tratta: la giovane età, una donna quale riferimento delle ragazze obbligate a prostituirsi, la vulnerabilità della vittima di tratta (orfana di uno o di entrambi i genitori), i successivi passaggi della donna da un uomo ad un altro cui viene affidata nel tempo, il rito juju, l’area di provenienza. La sussistenza di tre di questi elementi sono stati correttamente ritenuti dal Collegio sufficienti a ritenere integrata un’ipotesi di tratta meritevole di tutela ai sensi della Convenzione di Ginevra.

Secondo i giudici in tutti e tre i casi la condizione di fragilità della donna nigeriana ha reso verosimile il pericolo in caso di rientro in patria di “cadere ancora vittima di tratta, di abusi o maltrattamenti, atteso il particolare sviluppo della prostituzione in Nigeria e tenuto conto, comunque, della condizione femminile nel paese di provenienza, notoriamente priva della necessaria tutela per le specificità di genere, e dei conseguenti trattamenti degradanti la dignità della sua persona”.

E’ infine da rilevare come la Sezione specializzata bene informata anche sulla sussistenza in Nigeria di tutela da parte dello Stato delle vittime di tratta affermi ciononostante che tale tutela non sia di fatto sufficiente a proteggerla. Scrive il Collegio “sebbene il quadro normativo ed istituzionale nigeriano preveda forme di tutela a favore delle vittime di tratta, tali misure, considerata anche l’incidenza e l’estensione del fenomeno nel Paese (di cui si è detto sopra), non sono risultate idonee a scongiurare il fenomeno rappresentato ed il rischio ad esso connesso, stante anche la generalizzata corruzione delle forze di polizia del Paese”.

Insomma un vero e proprio inferno vissuto da molte donne nigeriane, dal quale, una volta che ci sono finite, non riescono nella maggior parte dei casi ad uscire, men che meno in caso di rientro patria.

– Scarica le ordinanze:
1 – Tribunale di Venezia, ordinanza del 18 gennaio 2019
2 – Tribunale di Venezia, ordinanza dell’8 febbraio 2019
3 – Tribunale di Venezia, ordinanza dell’8 febbraio 2019