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Esternalizzazione dei controlli: verso una svolta?

Importante risoluzione del Parlamento europeo, tra sicurezza delle frontiere esterne e rispetto dei diritti fondamentali dei migranti

Photo credit: Patrick Bar/SOS MEDITERRANEE

La Risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2017Come far fronte ai movimenti di rifugiati e migranti: ruolo dell’azione esterna dell’UE”, pur contenendo elementi contraddittori, afferma principi importanti nell’ambito delle relazioni esterne tra Unione europea e paesi terzi nel controllo delle frontiere esterne.

Non c’è la riproposizione del Processo di Khartoum, fulcro della politica italiana e degli accordi che il nostro Paese ha stipulato con Paesi come il Sudan, il Niger e la Libia (o, per meglio dire, con quella parte di Libia che è sotto il controllo del governo di Tripoli). I processi di Rabat e Khartoum sono infatti menzionati solo nel paragrafo 57, dove si invita la Commissione e il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) «a tenere il Parlamento regolarmente informato circa tali dialoghi e a riferire in merito all’esatta attuazione, sul piano operativo».

Si fa riferimento al vertice sulla migrazione di La Valletta dell’11-12 novembre 2015 (ma non alla Dichiarazione di Malta del 3 febbraio 2017) per chiedere analoghe garanzie alla Commissione e al SEAE di tenere il Parlamento regolarmente informato, e per osservare che «3,6 miliardi di EUR avrebbero dovuto essere destinati al fondo fiduciario di emergenza per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa».

Sono richiamate esigenze di trasparenza e compatibilità finanziaria – come emerge dal riferimento alla Corte dei conti europea – a fronte degli importi particolarmente elevati che vengono stanziati o dovranno essere stanziati per l’esternalizzazione dei controlli e la cooperazione dei Paesi terzi nelle attività di arresto, trattenimento e deportazione dei migranti irregolari.

Dalla risoluzione emerge un forte richiamo – del tutto assente nei documenti del Processo di Khartoum e, soprattutto, nelle prassi applicate dall’autorità italiana con le deportazioni in Sudan, Nigeria ed Egitto – alle garanzie dei diritti fondamentali che si dovrebbero riscontrare nei Paesi con i quali si collabora.

Vi è poi una valutazione assai critica degli accordi tra Unione europea e Turchia, accompagnata dall’esplicita dichiarazione che tali accordi non sono replicabili in altre situazioni – come potrebbe essere il caso della Libia.

Tra gli aspetti più importanti della risoluzione vi è un espresso riconoscimento del ruolo delle organizzazioni non governative, tanto nei Paesi di transito quanto nei Paesi di arrivo, che risulta nettamente in contrasto con gli attacchi sistematici rivolti da Frontex agli operatori umanitari che prestano soccorso in mare a nord della costa libica.

Ulteriore aspetto da non sottovalutare è la critica rivolta agli altri organismi dell’Unione e ai singoli Stati membri riguardo l’adozione di prassi prive di base legislativa – in quanto frutto di decisioni che si collocano al di fuori delle procedure previste dai Trattati – che richiederebbero una co-decisione dello stesso Parlamento europeo, e non soltanto atti di iniziativa e di attuazione del Consiglio e della Commissione.

Un voto importante, quello del Parlamento europeo, che dovrebbe indurre ad una riflessione anche a livello interno nazionale, in occasione del voto dei decreti Minniti in corso di approvazione in questi giorni.

La risoluzione contiene sicuramente elementi contraddittori – probabilmente è stata approvata anche per questo motivo – ma segna sicuramente uno spostamento di equilibri rispetto a precedenti votazioni di compromesso del Parlamento europeo, come ad esempio la relazione Metsola Kyenge sulla situazione nel Mediterraneo, in cui il punto di compromesso raggiunto, appariva a livello più basso, con mere enunciazioni di principio sul rispetto effettivo dei diritti umani e delle convenzioni internazionali, a fronte di prassi, che tuttora continuano, di sostanziale negazione di questi diritti.

Si tratta di vedere quali conseguenze avrà questa importante decisione del Parlamento, che ha visto una scomposizione dei tradizionali gruppi presenti in aula rispetto alle iniziative del Consiglio e della Commissione, che continuano a essere rivolte prevalentemente all’inasprimento del regime Dublino, all’aumento dei casi di deportazione forzata verso Paesi come l’Afghanistan e la Turchia, e al rafforzamento delle misure securitarie a livello interno.

La risoluzione costituisce comunque un punto di partenza per nuove aggregazioni, dentro e fuori il Parlamento europeo, per frenare la deriva securitaria che sembra travolgere tutti gli organismi politici a livello interno ed europeo, e per realizzare davvero il valore della solidarietà: non quella tra gli Stati che violano i diritti umani, ma quella tra le persone che li difendono e tutti coloro che ne sono titolari nei loro percorsi di migrazione.