Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

di Francesca Cimino

Fare inte(g)razione tra enti locali, scuola e comunità – Il Convegno dei centri interculturali

Concluso la scorsa settimana l'appuntamento di Padova. Esperienze a confronto

Si è concluso venerdì il XIII convegno dei centri interculturali “Fare inte(g)razione tra enti locali, scuola e comunità” dopo una giornata e mezza dedicate alla discussione e all’analisi della strada fatta e di quella da fare. Casualmente, o forse no, il convegno si è aperto pochi giorni dopo due fatti significativi: la presentazione del rapporto “Caritas- Migrantes” sulla presenza degli stranieri in Italia per l’anno 2009 e l’affermazione di Angela Merkel sul fallimento del multiculturalismo.

Le due mattine di giovedì e venerdì sono state dedicate, dopo il saluto delle autorità, agli interventi di accademici come Graziella Favaro, Maurizio Ambrosini, Enzo Pace e al giornalista Staglianò. Si è parlato dell’inserimento degli alunni stranieri nelle classi, tra fattori positivi come l’alta aspettativa delle famiglie e la pluralità dei Paesi rappresentati, e negativi quali l’instabilità e i frequenti cambiamenti della scuola italiana; del “merito” che un immigrato deve conquistare per poter vivere in Italia; del rifiorire di muri, barriere e divisioni materiali e non. Staglianò ha invece concluso con il racconto del suo libro “Grazie”, nel quale ha raccolto diverse testimonianze di come il Belpaese non sopravviverebbe e non manterrebbe l’esclusività in alcuni settori (vedi il pellame di Vedelago) senza il lavoro degli immigrati.
Interessanti i progetti presentati al pomeriggio nei diversi gruppi di lavoro. Nel gruppo “Giovani e cittadinanza” meritano una nota le iniziative presentate soprattutto da Torino e Reggio Emilia. La capitale piemontese ha attivato da ormai quattro anni il “Servizio civile per i giovani immigrati”, rivolto a ragazzi dai 18 ai 25 anni e con modalità simili all’iniziativa nazionale, rivolta però solo ai giovani di cittadinanza italiana. L’ostacolo più grande? Trovare un modo per garantire anche a loro un rimborso spese uguale a quello dei colleghi italiani.

Torino continua con lezioni di lingua italiana, rumena, araba e cinese nella piazza più popolare (nel senso letterale del termine) della città; un progetto per l’utilizzo da parte dei giovani cittadini di una zona caratterizzata da micro- criminalità e spaccio di droga, un cineforum all’aperto nel quartiere della stazione e via dicendo. Insomma, la città di Torino insegna che, nonostante i pochi fondi (sempre più ridotti e striminziti), “si può fare”.

Un’altra bella iniziativa arriva invece dall’Emilia Romagna, dove cinque istituti hanno partecipato al progetto di “Cittadinanza interculturale” avente per obiettivo l’abbattimento delle stigmatizzazioni e dei pregiudizi nei confronti degli stranieri. Laboratori e lunghi momenti di confronto, di discussione e di contrasti su micro- temi legati alla cittadinanza interculturale come, per esempio, la “sicurezza minacciata”, il “lavoro rubato” hanno portato alla creazione finale di un video prodotto e condiviso dai protagonisti.

E poi ancora il centro COME di Milano ha presentato il “Passaporto per l’Italia”, un vademecum di educazione alla cittadinanza per i giovani stranieri nati in Italia che possono chiedere la cittadinanza, il centro interculturale di Bologna (RI.E.SCO) ha attivato corsi di lingua e laboratori estivi per sopperire al vuoto educativo estivo, il comune di Padova ha attivato (tra le altre cose) il “Counseling interculturale”.

Un pentolone di esperienze condivise quindi, raccontate al fine di mostrare l’operato di ogni comune, centro interculturale o ente locale e per dare spunto per nuove iniziative. Iniziative che sono tutte volte all’integrazione, all’accompagnamento dei soggetti stranieri nell’attiva partecipazione alla vita sociale italiana ma che non avanzano di pari passo con l’azione politica del Governo che, come faceva ben notare il prof. Renzo Guolo venerdì, continua a chiedere ai cittadini stranieri di rispettare le leggi e di pagare le tasse senza garantirgli i diritti minimi di cittadinanza. Così facendo si corre il rischio, infatti, di creare delle enclaves, con persone all’interno ancora legate al proprio paese di provenienza e senza nessuna intenzione di interagire ed integrarsi con quello di accoglienza, in quanto impossibilitati a riconoscere ed accettare i doveri formali di cittadini, non potendosi avvalere dei diritti.
Ma non solo: stona sentire esperienze così diverse tra i comuni, percepire la “non- continuità” e una certa discrezionalità tra le iniziative a seconda dei diversi territori. Faulkner nel 1967 diceva che “vivere nel mondo di oggi ed essere contro l’uguaglianza per motivi di razza o colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve”. E dunque mi chiedo: il problema è che in qualche zona del Belpaese non si vogliono vedere i fiocchi di neve cadere e ci si chiude volentieri in casa? Quesito senza risposta.