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Da Il Messaggero dell'8 agosto 2009

«Fatima si è uccisa, non voleva più essere clandestina»

Bergamo (8 agosto) – Alcuni passanti, giovedì pomeriggio, hanno visto il suo corpo che galleggiava a faccia in giù proprio sotto il vecchio e suggestivo ponte sul Brembo, nel centro di Ponte San Pietro. I sommozzatori hanno ripescato il cadavere e i carabinieri le hanno dato un nome: Fatima Aitcardi, 27 anni, marocchina, irregolare, mai censita in Italia e sconosciuta alle forze dell’ordine. «Si è uccisa perché era clandestina e non riusciva a regolarizzarsi», dice disperato il fratello Mohamed. Oggi entra in vigore il reato sulla clandestinità e l’avvicinarsi della scadenza, spiega il fratello venticinquenne, in possesso di documenti a norma di legge come i genitori, la terrorizzava: «Aveva paura di finire in prigione e di essere separata dalla sua famiglia».

Ieri sera Mohamed è stato portato al comando provinciale di Bergamo. Da lui gli investigatori vogliono sapere chi fosse la sorella, come vivesse e soprattutto per quale motivo – nonostante vivesse in Italia da cinque anni – non abbia mai presentato in questura la richiesta di regolarizzazione.

«Abbiamo controllato più volte, effettuato ripetuti accertamenti ma non ci risulta nessuna domanda. E allora, se temeva così tanto il suo stato di clandestina, perché non ha mai sanato la propria posizione?», è la riflessione dei carabinieri bergamaschi. Forse la paura di Fatima è nata proprio nell’ultimo periodo, quando ha scoperto che la sua condizione di immigrata irregolare sarebbe presto diventata un reato.

«Per questo era caduta in depressione», afferma Mohamed. I carabinieri tuttavia sono scettici e scavano nell’esistenza di Fatima: una vita estremamente protetta, tutta all’interno della sua famiglia o comunque del proprio ambiente. Aveva una sola amica e confidente, la zia, e poteva uscire solo per andare da lei. Insomma, in Italia la giovane marocchina era una specie di fantasma. Non girava in macchina e quindi non è mai incappata in alcun controllo, si muoveva nel raggio di poche centinaia di metri e sempre protetta da genitori e fratello, tutti regolari. Solo lei era la clandestina di famiglia. Una situazione diventata insostenibile a tal punto da indurla a uccidersi, secondo Mohamed.

«Da lui vogliamo capire come mai la ragazza non ha mai chiesto la regolarizzazione se le pesava così tanto il suo stato. E perché il fratello ha denunciato solo ieri mattina la sua scomparsa, lasciando passare quasi ventiquattr’ore?», ribadiscono i carabinieri. Certo è che Fatima doveva essere distrutta quando giovedì pomeriggio alle due è uscita di casa ed è andata a gettarsi nel fiume Brembo. Da tempo, sono le scarne informazioni raccolte tra i conoscenti, manifestava segni di depressione. Per una notte il suo copro è rimasto senza nome, fino a quando il giorno dopo Mohamed si è presentato in caserma.

«Il suicidio di Fatima Aitcardi è un atto sconvolgente che mostra in modo drammatico quale sia la realtà della vita per molti immigrati, che spesso rimane sotto silenzio», dice Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera. «Che una giovane donna si tolga la vita – prosegue – è un fatto tragico da non strumentalizzare. Piuttosto deve far riflettere tutti sulla necessità di avere, in materia di immigrazione, regole più eque ed efficaci che non generino paura che è sempre foriera di solitudine e insicurezza. Il punto ineludibile è l’integrazione degli immigrati».
di Claudia Guasco