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Firenze – Il GDP annulla l’espulsione ed il decreto di trattenimento per la violazione delle disposizioni comunitarie (direttiva 115/CE)

a cura dell'Avv Dario Fiorentino

Con un’interessante pronuncia dello scorso 17 febbraio, il Giudice di pace di Firenze ha accolto il ricorso presentato avverso un decreto d’espulsione adottato dal Prefetto di Firenze il 10 gennaio 2011 muovendo dalla mancata osservanza della normativa comunitaria in materia di rimpatri (proc. n. 1378/11 R.G.).

Il caso riguardava un cittadino tunisino che, all’esito di un normale controllo di polizia, era risultato già destinatario di un ordine d’allontanamento dal territorio nazionale, per cui il Prefetto, ritenendo integrata la condotta prevista dall’art. 14 comma 5-ter d.lgs 286/98, aveva adottato un nuovo decreto d’espulsione da eseguirsi mediante accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica, cui seguiva, stante la necessità di acquisire i documenti per il viaggio, il trattenimento dell’immigrato presso il C.I.E di Bologna.

Espulsione che tuttavia è stata annullata dal Giudice fiorentino poiché disposta (rectius motivata) in violazione della direttiva europea n. 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (c.d. direttiva rimpatri), direttamente applicabile nello Stato italiano dal 24 dicembre 2010 (termine ultimo entro cui doveva essere recepita), come ammesso persino dalla circolare del Ministero dell’Interno del 17 dicembre 2010.

Come noto, la direttiva in parola prevede la «partenza volontaria» quale modalità generale di attuazione delle decisioni di rimpatrio, essendo consentito agli Stati membri di astenersi dal concedere un periodo per l’allontanamento volontario solo ove sussista «rischio di fuga, o se una domanda di soggiorno sia stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta, ovvero se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale» (art. 7, par. 4). Pertanto, nel caso in cui l’autorità procedente non ritenga di concedere un termine per l’allontanamento volontario, ma intenda eseguire l’espulsione coattivamente, è tenuta a dar conto nella motivazione delle ragioni che giustificano la decisione assunta, come espressamente sancito dall’art. 12 della direttiva («le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto di reingresso e le decisioni di allontanamento sono motivate in fatto e in diritto»), oltre che in osservanza dell’obbligo di motivazione sancito dagli artt. 13 comma 3 d.lgs 286/98 («l’espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato») e 3 legge 241/90 («la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione»).

Nel caso di specie il Prefetto aveva omesso ogni motivazione sul punto, essendosi limitato ad affermare apoditticamente nel provvedimento che «la persona immigrata risulta essere priva di una qualsiasi dimora stabile, senza un reddito derivante da fonti lecite, e pertanto vi è concreto pericolo di fuga», senza tuttavia precisare da quali eventuali risultanze istruttorie tali circostanze sarebbero risultate effettivamente provate.

Circostanze che tra l’altro neppure corrispondevano al vero. Il ricorrente dimostrava infatti di non essere privo di una fissa dimora ma stabilmente domiciliato a Firenze, dove viveva da anni con il nucleo familiare, composto dalla compagna sposata con rito islamico (regolarmente soggiornante in Italia e titolare di contratto di locazione) e dai loro due bambini (di tre anni e un anno di età). Né lo straniero era privo di redditi leciti, essendo la moglie titolare di un’impresa di sartoria con i cui utili veniva sostenuta economicamente la giovane famiglia.

Tutti elementi sintomatici dell’assenza di un qualsivoglia rischio di fuga e che perciò dovevano necessariamente essere presi in considerazione nella scelta (discrezionalmente vincolata) delle modalità d’esecuzione dell’espulsione, con conseguente illegittimità dell’impugnato provvedimento stante l’insussistenza del presupposto di fatto previsto dalla disciplina comunitaria.

Ulteriore motivo d’annullamento del decreto in parola, si rinviene nella violazione dell’art. 5 della direttiva comunitaria laddove sancisce l’obbligo di tenere in debita considerazione nella decisione di rimpatrio l’interesse superiore del bambino e la vita familiare dello straniero.

Si tenga a mente che il primogenito della coppia soffriva dalla nascita di gravi problemi respiratori e che al momento dell’adozione dell’espulsione l’altro figlio era affetto da varicella e la madre da una sospetta polmonite, non potendosi nemmeno escludere che la donna fosse nuovamente incinta.

Orbene, ai sensi della norma sopra richiamata, il Prefetto di Firenze avrebbe dovuto tenere in considerazione le problematiche di salute dei figli e della moglie dello straniero e più in generale la sua delicata situazione familiare.

L’espulsione del padre avrebbe infatti determinato l’inevitabile frattura dell’unità familiare, non avendo la moglie alcuna possibilità di seguire il marito e di trasferirsi con i figli all’estero, posto che in tal caso avrebbe perso il titolo di soggiorno in Italia (duramente conquistato) e dovuto rinunciare ad un’avviata attività artigianale e, soprattutto, i bambini non avrebbero più potuto beneficiare di adeguate cure mediche, oltre ad essere sradicati dall’ambiente in cui erano nati ed andavano a scuola.

In tal senso, la pronuncia in esame si spinge addirittura ad affermare che, «alla luce di quanto sopra illustrato, non può legittimamente essere negato permanentemente al ricorrente il diritto di ottenere un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare e/o per lavoro autonomo, oltre ad un permesso speciale ex art. 31, II co. D.lgs 286/98 nell’interesse dei figli minori».

Del resto, la stessa Suprema Corte ha recentemente consolidato l’orientamento secondo cui il Tribunale per i Minorenni può autorizzare lo straniero alla permanenza sul territorio dello Stato laddove esistano gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico, all’età e alle condizioni di salute dei minori (cfr. Cass., n. 823 del 19.1.2010 e Cass., sez. unite, n. 21799 del 6.7.2010), e ciò indipendentemente dall’eccezionalità o meno del caso (cfr. sentenza n. 2647 del 3.2.2011).

Per tali motivi, in ottemperanza al disposto dell’art. 5 della direttiva, il provvedimento d’espulsione veniva ritenuto anche contrario al diritto all’unità familiare del ricorrente ed al diritto alla salute dei figli minori.

L’impugnato decreto si poneva in contrasto con la normativa comunitaria anche per violazione dell’art. 11 paragrafo 2, laddove viene imposto di determinare la durata del divieto di ingresso «tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso», non essendo consentito superare il termine di anni cinque a meno che il cittadino non costituisca «una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale», correndo in tal caso uno stringente e specifico obbligo di motivazione in capo al Prefetto.

Obbligo del tutto disatteso nel decreto in esame. Il Prefetto si limitava infatti ad affermare che lo straniero «non potrà rientrare nel territorio italiano prima che siano decorsi dieci anni», senza tuttavia nessun riferimento alle circostanze che in concreto avrebbero giustificato tale decisione; omissione che risulta ancor più grave in considerazione della peculiare situazione familiare del ricorrente. Né si rinveniva motivazione alcuna circa l’eventuale sussistenza del presupposto che in astratto consentirebbe di superare il termine di anni cinque per il divieto di rimpatrio (la pericolosità sociale dello straniero).

Invero, solo nella comparsa di costituzione dell’amministrazione resistente venivano dedotti elementi a sostegno della supposta pericolosità sociale: numerosi precedenti penali, tra cui anche alcune condanne per stupefacenti ed altri reati ostativi all’ingresso nello Stato.

Al riguardo, il Giudice ha affermato il seguente principio di diritto: «secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 4, III co., D.lgs. 286/98, in relazione soprattutto al principio della funzione rieducativa della pena enunciato dall’art. 27 comma 3 Cost. anche in caso di una o più pregresse condanne per una o più reati ivi indicati (come quelle in cui è incorso il ricorrente), non possa legittimamente essere negato permanentemente allo straniero, irregolarmente presente sul territorio nazionale il diritto di ottenere un permesso di soggiorno, allorquando egli, successivamente all’esecuzione della pena o delle pene inflitte, abbia intrapreso un modo di vivere in linea con i valori tutelati dalla Costituzione (famiglia e lavoro) e perciò sicuramente sintomatico del raggiungimento della finalità rieducativa».

Né, sempre a parere del Giudice fiorentino, può ritenersi sufficiente «al fine di giustificare un’espulsione del ricorrente dal territorio italiano una motivazione che si richiama sic et simpliciter ad un provvedimento di rifiuto del rilascio di permesso di soggiorno emesso dal Questore di Caserta il 29.10.2007 (motivato essenzialmente in ragione di un fatto che appare ormai irripetibile, quale il matrimonio fittizio con una cittadina italiana)» poiché tale fatto risulta «ormai largamente superato dall’attuale conduzione di vita operata dal ricorrente, anche alla luce di quanto a suo tempo enunciato dal Consiglio di Stato (Sez. IV, 20.5.1999, n. 870)».

Infine, la rilevanza della vicenda giudiziaria in parola si attesta sul riconoscimento della sussistenza di un potere del Giudice di pace di sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato nelle more della decisione di merito sul ricorso ai sensi dell’art. 13 della direttiva n. 2008/115/CE, che riconosce appunto mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio dinanzi all’autorità giudiziaria, con facoltà per tali autorità di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione.

Nel caso in esame non vi erano dubbi circa l’integrazione di un pericolo imminente ed irreparabile al diritto all’unità familiare del ricorrente ovvero al suo diritto a non essere allontanato dal nucleo familiare. Invero, lo straniero avrebbe potuto in qualsiasi momento essere rimpatriato in Tunisia, con divieto di rientrare in Italia per anni dieci, eventualità questa che certamente non consentiva di attendere i tempi necessari per addivenire alla pronuncia di merito. Tanto che, a seguito della sospensione dell’espulsione, lo straniero veniva anche liberato dal C.I.E. in attesa di conoscere l’esito del ricorso.

In conclusione, per la prima volta a Firenze, un provvedimento prefettizio d’espulsione è stato dapprima sospeso e poi annullato in ragione della mancata osservanza della c.d. direttiva rimpatri, avendo il Giudice di pace dato in concreto diretta attuazione alla disciplina comunitaria non ancora recepita dallo Stato italiano.

Pronuncia del Giudice di Pace di Firenze del 17 febbraio 2011